Non solo vivere e lavorare, ma anche passare per caso dal mercato di Ballarò, nel cuore del centro storico di Palermo, significa inebriarsi gli occhi e respirare i profumi dei mercati arabi, dove le contraddizioni sono dietro ogni angolo. Un luogo magico ma anche molto problematico perché, accanto alle bancarelle che mettono in bella mostra mercanzie di ogni genere, tipicamente siciliane come pure espressione delle tante etnie presenti nel capoluogo siciliano, si sviluppa un altro mercato a cielo aperto, quello dell’illegalità, la cui merce non si gusta ma si assume, spesso con il beneplacito di Cosa Nostra che consente alla mafia nigeriana di portare avanti i propri affari.
Una realtà della quale si preferisce non sapere, soprattutto quando si devono fare ammirare ai turisti gli splendidi monumenti che si affacciano tra una bancarella e l’altra, tra un vicolo e l’altro, riconosciuti Patrimonio dell’Umanità da parte dell’Unesco nel 2015 e inseriti nel Percorso Arabo – Normanno che fa di Palermo meta ambita da molti.
Una miscellanea, quindi, di culture, quella che ha sempre contraddistinto Ballarò, facilitando la nascita, nel 2014, di una realtà come “Moltivolti”, impresa sociale alla cui base c’è l’idea del diritto allo spostamento da parte di ogni essere umano. Un tema facilmente comprensibile che, se è valso per noi quando abbiamo lasciato il Sud per cercare terre nelle quali ricostruire la nostra vita, deve valere anche per chi ha scelto la Sicilia per lo stesso motivo.
Una realtà che è ristorante, coworking, luogo di aggregazione e d’incontro, punto di arrivo e di partenza, un arcobaleno di colori e culture come pochi.
«Non siamo la classica organizzazione che fa advocacy – spiega Claudio Arestivo, socio fondatore di “Moltivolti” insieme a Giovanni Zinna, il legale rappresentante, Arina Nawali, Roberta Lo Bianco, Jessica Riccobono e Lillo Gangi – . Partiamo dalle storie delle persone che sono con noi. Come per "Mediterranea", che abbiamo sostenuto perché alcuni dei ragazzi che lavoravano qui, in quei giorni, hanno perso diversi amici che provavano ad attraversare il Mediterraneo. Ora stiamo facendo convergere le nostre forze sul progetto per fare arrivare a Palermo la famiglia di Shapoor Safari, il cuoco afghano che da sette anni lavora con noi. Attraverso un'azione di crowfunding si stanno raccogliendo i soldi per ciò che le serve per riabbracciarlo».
Shapoor è solo una delle 31 persone provenienti da 10 diversi paesi diversi (Afghanistan, Italia, Egitto, Marocco, Gambia, Senegal, Grecia, Zambia, Costa d’Avorio, Spagna, Irak) che si sono nel tempo alternate in quello che è un ristorante siculo – etnico dove è possibile assaporare culture diverse.
«I ragazzi che lavorano con noi – aggiunge Arestivo – ci vengono solitamente segnalati dalle loro stesse comunità. Alcuni, che poi abbiamo inserito in cucina, venivano dagli Sprar a mangiare da noi, hanno partecipato a una borsa lavoro e sono rimasti qui. Chiaramente assumiamo in base a quello di cui abbiamo bisogno. Consideriamo che abbiamo un flusso mensile di 3mila persone che viene a pranzare, cenare o anche solo fare colazione o prendere un aperitivo. Poi c’è il coworking che nasce all’inizio della nostra impresa per affiancare mondo profit e del no profit, sociale e non, facendo convivere e sostenere a vicenda questi due mondi. Dal coworking passano tante realtà; per esempio Libera Palermo, l’Arci Porco Rosso e l’associazione "Kala Onlus" hanno sede fissa qui da noi. Altre si aggiungono all’occorrenza, anche per venire a lavorare solo un pomeriggio».
Una realtà che cresce giorno dopo giorno e della quale si sono accorti in molti. Quest’anno, infatti, è stata premiata come impresa più innovativa d’Italia, ricevendo il Premio "Angelo Ferro", voluto da Intesa Sanpaolo e da diverse fondazioni, con il sostegno e l'avallo di una giuria di rettori e professori universitari.
Un impegno, quindi, a tutto campo che non guarda al dipendente in quanto tale, ma a colui che presta servizio all’interno di un progetto e che porta con sé la sua storia, bella o brutta che sia. Shapoor ne è la dimostrazione. La sua, poi, è la storia di una famiglia che non si vede da 25 anni. A Palermo, intanto, arriveranno 10 persone: sei donne, due bambini e due uomini, uno dei quali è Habib Mansoor Hedauatullah, un giornalista molto noto in Afghanistan, fuggiti dal loro paese preda dei talebani.
«La sua è, a dire il vero, una famiglia più ampia, in tutto 26 persone, tre nuclei. Purtroppo – prosegue Arestivo – , a un certo punto del lavoro, siamo stati costretti a dividerle scegliendo le persone più a rischio e con i documenti. Grazie anche al sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, si è riusciti a entrare in contatto con l’ambasciatore italiano in Pakistan, dove loro si trovano attualmente, e si sono attivate le procedure del caso per fare arrivare questo primo gruppo. Una volta in salvo, penseremo anche agli altri».
Una storia risolta felicemente perché, a Palermo, Shapoor si è fatto una vita ed è in piena sintonia con autoctoni e tessuto sociale. Ma è anche una storia di sofferenza, contraddistinta da tanta rabbia e solitudine.
«Io sono andato via dal mio paese tanto tempo fa. Sono arrivato a Palermo nel 2002 – racconta lo stesso Shapoor – dopo un lunghissimo viaggio tra Iran, Turchia e l'Europa. Sbarcato a Reggio Calabria, sono stato in giro per l’Italia e, alla fine, ho scelto Palermo per il clima e perché qui si vivere bene. Vedere nuovamente i talebani nel mio paese mi ha fatto troppo male. Per me loro sono il diavolo e contro il male non puoi che scappare. Le donne e i bambini sono quelli che subiscono di più. Da noi la donna è sacra, ma per loro non ha valore. Così come i bambini, se sono soli vengono assoldati e gli si mettono in mano le armi. Crescono così e non puoi più cambiarli. Si parla di guerra di religione, ma è tutto falso. Una guerra per il potere, per la ricchezza che da noi è tanta, visto che abbiamo uranio, litio, diamanti e tanto altro che tutti sfruttano tranne noi. Una guerra che non capisci. Sai solo che devi sopravvivere. Non vedo l'ora di riabbracciare la mia famiglia. Sarà impossibile non piangere, ma poi faremo tanta festa».
In tutto 10mila gli euro che la campagna di crowdfunding punta a raccogliere per coprire le prime spese. Ovviamente, quanto più arriverà, servirà anche gli altri familiari che potranno così pensare di riunirsi a tutti prima possibile. Se, dunque, qualcuno vuole aiutare Shapoor, può utilizzare la piattaforma Go Fund Me e il link https://gofund.me/f7f10a25.
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