Ventisei anni fa vedeva la luce la normativa – ovvero la legge n. 109 del 1996 – che ha permesso allo Stato italiano l’utilizzo dei beni confiscati alla criminalità organizzata con scopi sociali. Superato il quarto di secolo di questa legge è tempo di bilanci ma anche di nuovi obiettivi. Milano ha dovuto fare i conti, con la criminalità organizzata – le inchieste a Milano e in Lombardia raccontano la sua presenta e azione mafiosa, soprattutto della ’Ndrangheta già negli anni ’70 con la prima inchiesta giudiziaria, Wall Street, dei primi anni ’90 -, ma non solo. Il capoluogo lombardo e tutto il territorio regionale ha per anni e fino a tempi recenti, dovuto far fronte al pensiero culturale – condiviso dalla politica e dal tessuto sociale – che la criminalità organizzata fosse un “problema solo” del Sud.
Se ora questa cultura è – in gran parte – sradicata, il seme della legalità del riuso sociale dei beni confiscati ai mafiosi deve “attecchire” nei 215 immobili confiscati alla criminalità organizzata, il cui valore è di quasi 18 milioni di euro.
A Milano il bene confiscato più grande della Lombardia
Si tratta per lo più di appartamenti (105 unità), box (34), locali commerciali (26), magazzini (11) e terreni (8). Delle 215 unità immobiliari nel solo comune di Milano, solo 128 sono assegnate gratuitamente con avviso pubblico a enti del terzo settore. La più nota tra queste è Casa Chiaravalle, che è anche il bene confiscato più grande della Lombardia e assegnato a Passepartout fino al 2026. «Abbiamo 17 stabili che sono andati in gestione a Mm come edilizia popolare pubblica convenzionata e tredici sono invece sono in locazione e i proventi dell’affitto tornano nel bilancio comunale per finanziare interventi sociali, come prevede la legge, mentre sette sono gestiti direttamente dall’assessorato per servizi e attività di tipo sociale. Per 14 unità è in corso un nuovo bando di assegnazione che si concluderà presumibilmente entro l’estate», spiega l’assessore al Welfare di Palazzo Marino, Lamberto Bertolé.
“Beni confiscati e riassegnati, presidi di legalità”
Dopo 26 anni dalla legge 109 secondo l’assessore Lamberto Bertolé: «La scelta di assegnare questi beni ai Comuni è stata molto lungimirante perché gli enti locali conoscono i territori e i loro bisogni e possono sviluppare collaborazioni virtuose con le associazioni e il Terzo settore. Il loro ruolo deve essere quello di far rivivere questi posti, trasformandoli in presidi di legalità che i cittadini possano animare e vivere. Progetti che vogliamo ancorati ai quartieri, perché le stesse persone che negli anni hanno assistito al declino di questi posti e al malaffare che vi dimorava, possano vedere adesso la loro rinascita». Anche perché Milano sta vincendo la sua sfida vista la percentuale molto alta – rispetto alla media nazionale – di beni utilizzati rispetto a quelli disponibili.
«Questo è possibile – chiosa Bertolè – grazie alla grande pluralità delle organizzazioni, cooperative sociali e associazioni impegnate nella loro valorizzazione nonché la varietà dei campi del riuso sociale, che va dalla cultura alle emergenze abitative, dalla assistenza sociale all’integrazione linguistica».
La 109 in Italia, 26 anni di riutilizzo ma la strada è lunga
I beni censiti dall'Agenzia nazionale per i beni sequestrati (Anbsc) e confiscati alle mafie a livello nazionale è di 18.518 immobili e 2.929 aziende, distribuiti in 2.176 Comuni. Questi sono i numeri presentati nell'ultima relazione della Commissione bicamerale anti-mafia nell'agosto 2021.
Un patrimonio ancora più grande di quello che è già stato destinato in 26 anni di applicazione della legge 109: finora, infatti, sono stati 17.300 i beni immobili sequestrati e riassegnati. Il numero è mostruoso se si considera che i beni immobili confiscati alla mafia dal 1982 ad oggi sono oltre 36 mila, secondo il dossier Fattiperbene dell'associazione Libera nel marzo 2021, il maggior numero di beni immobili confiscati si trova in Sicilia (6.906), segue la Calabria (2.908), Campania (2.747), Puglia (1.535) e Lombardia (1.242).
Sul fronte del riutilizzo sociale, tra gli 867 soggetti del Terzo settore, come cooperative, associazioni, e parrocchie, che gestiscono almeno un immobile confiscato alla criminalità organizzata, 218 si trovano in Sicilia, 147 in Calabria, 135 in Campania e 133 in Lombardia, prima regione tra quelle del Nord.
“Dai diamanti non nasce niente…”
Per chiudere il quadro della situazione milanese, è utile fare un focus su via Mosso 4, la “casa col buco” come tutti la chiamavano in via Padova e dintorni, per anni lasciata alle intemperie e poi trasformata in un covo di spacciatori. L’immobile era di di Stefano Reccagni, finanziere bresciano accusato di dirigere un giro di falsi permessi di soggiorno. L’immobile di via Mosso è ora inserito tra i progetti per cui Palazzo Marino chiede fondi del Pnrr. Secondo Lamberto Bertolò, adesso l’amministrazione di Palazzo Marino presenterà la richiesta di finanziamento ufficiale per riqualificarlo e utilizzarlo, assegnandolo al terzo settore, come possibile sede di progetti di housing first – ovvero appartamenti usati per l’accoglienza dei senza dimora che non vogliono entrare nei centri collettivi -. Se il progetto venisse finanziato, il Comune riceverebbe fino a 500 mila euro per gli interventi strutturali e poi 70 mila euro all’anno fino al 2025. Lo stabile di via Mosso, insieme all’immobile dell’ex Bizarre, un club notturno che stava in fondo a via Ripamonti, sono i gli immobili più importanti tra quelli ancora in attesa di una destinazione stabile. Un riutilizzo sociale del bene confiscato alla malavita organizzata.
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