Vincenzo Manes, imprenditore e filantropo, fondatore di Dynamo Camp primo camp di terapia ricreativa in Italia che ha aperto le porte nel 2007, ha fortemente voluto e lavorato all'ideazione e definizione della Fondazione Italia Sociale: istituita dalla legge di riforma del Terzo settore (L.106 del 6 giugno 2016, art.10) e finalizzata allo sviluppo dell’economia sociale attraverso risorse private. Si tratta di una persona giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, dotata di autonomia statutaria e gestionale. Vi possono aderire enti pubblici e privati, sia profit che non profit. Dal dicembre 2017 la Fondazione è operativa e Manes ne è diventato ufficialmente presidente, affiancato nella governance dai Consiglieri Andrea Sironi, Cristina De Luca e Gabriele Sepio. In questi giorni con due articoli, il primo su Il Corriere della sera e il secondo su Milano Finanza, Manes ha proposto un’idea di concreta per ridare slancio all’occupazione senza sussidi. In un dibattito povero di idee concrete e ricco solo di polemica politica tra fazioni approfondiamo con lui i contenuti della sua proposta.
Cominciamo dall’inizio, il suo è prima di tutto un appello a ritrovare urgentemente una comune passione civica e una condivisione e una responsabilità di tutti alle sorti del Paese.
Manes: Se l’analisi documentata e razionale dei fatti lascia il campo all’intensità delle passioni il risultato è un clima di eccitazione sociale in cui i punti di intesa svaniscono. E al venir meno del comune sentire l’unica regola che resta è pensare ciascuno per sé. Con le paure del futuro che si mescolano insieme: dal timore per la precarietà del lavoro e l’impoverimento a quello per la perdita dell’identità minacciata dall’immigrazione. Le conseguenze sono devastanti perché si ritorcono contro la parte più debole della società italiana. Quella per cui fare affidamento solo su di sé significa partire con uno svantaggio incolmabile. Quella che ha più da perdere dal venir meno di un ethos di solidarietà diffusa. Non è vero infatti che dall’inasprimento del clima sociale siano colpiti tutti alla stessa maniera: i più deboli, quelli con meno risorse e mezzi, lo sono molto di più rispetto ai cosiddetti “ceti riflessivi” o ricchi. La rassegnazione con cui ci stiamo adattando all’idea che più di tutto conta difendere il proprio particolare ha un prezzo molto alto da pagare. Il Paese oggi è agitato nel profondo da un istinto di autodifesa che bada al destino individuale più che a quello collettivo, si tratti dell’artigianato veneto o del disoccupato campano. La tenuta del tessuto sociale è necessario per ogni progetto di governo. Senza c’è solo un penalizzante clima di rancore che finirà per ritorcersi contro chi lo alimenta. Torna allora la necessità di pensare in termini di bene comune, di responsabilità civica. Un impegno che richiede la partecipazione di tutti ma che è più grande per chi detiene posizioni di potere e più ricchezza.
Lei, in particolare, sottolinea come la ricchezza netta familiare in Italia sia particolarmente alta e come un piccolo sforzo da parte di tutti contribuirebbe a far ripartire crescita e occupazione.
Manes: La ricchezza netta familiare, calcolata come la somma delle attività reali e finanziarie e al netto dei debiti, presenta (dato 2013) un valore medio per l’area dell’euro di circa 230.000 euro. Tra i paesi con maggiore popolazione, l’Italia ha una ricchezza netta media familiare relativamente elevata nel confronto internazionale (275.200 euro). Il totale complessivo supera i 10mila miliardi euro. Di questi poco meno della metà sono riferibili alla ricchezza finanziaria. Se calcolata in rapporto al reddito disponibile, la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è in media ancora più elevata rispetto agli altri paesi del confronto. Tuttavia, secondo i dati Eurostat nel decennio 2006-2016 l’aumento della ricchezza netta degli italiani è coinciso con l’aumento del numero di persone che soffrono di gravi deprivazioni materiali, che è uno degli indicatori con cui si misura la povertà. Il numero delle persone in difficoltà è aumentato in tutta l’Eurozona, mentre è diminuito in Germania e in Francia. In Italia si è assistito ad una crescita abnorme, che la si misuri in termini assoluti o relativi: nel 2017 si stimavano in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie residenti in cui vivevano 5 milioni e 58 mila individui; rispetto al 2016 la povertà assoluta è cresciuta in termini sia di famiglie sia di individui. L’Italia quindi, che ha una ricchezza finanziaria netta fra le più alte dell’area euro, ha visto un’esplosione del numero cittadini in difficoltà. L’effetto della disuguaglianza è più marcato che negli altri paesi europei: siamo più ricchi, ma abbiamo più poveri. Gli effetti di questa situazione si ripercuotono su più fronti: dalla riduzione del livello di coesione sociale alla polarizzazione degli atteggiamenti politici, fino alla sfiducia crescente nei confronti delle istituzioni pubbliche. Il paradosso di un paese che è cresciuto contemporaneamente in ricchezza e in povertà genera dunque una situazione in cui il peggioramento del clima sociale e politico mette a rischio il risparmio accantonato dalle famiglie.
Per questo lei propone una sorta di patrimoniale responsabilizzante, coesiva e leggera sulla ricchezza finanziaria
Manes: In un contesto in cui gli strumenti tradizionali destinati a tutelare la ricchezza delle famiglie sembrano non funzionare più, o non abbastanza, occorre trovare altri modi per rendere la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane un fattore di contrasto al crescente senso di insicurezza sociale. Uno di questi è quello di promuovere una responsabilizzazione diretta dei cittadini, che passi attraverso l’utilizzo di una parte di tale ricchezza privata per ridurre il senso di incertezza e migliorare la qualità della convivenza civile riducendo le disuguaglianze e creando occupazione attraverso il potenziamento dell’offerta di servizi sociali e di interesse collettivo. Per mettere così in sicurezza il Paese e, in definitiva, garantire il godimento futuro della ricchezza accumulata. Senza un intervento sulla coesione sociale è più difficile infatti tutelare il risparmio degli italiani. L’impegno di ciascuno nel mettere in gioco una minima parte delle proprie risorse finanziarie non ha quindi soltanto una finalità altruistica ma serve a difendere il legittimo interesse di ciascuno nell’evitare che i propri risparmi vengano erosi dall’instabilità.
La proposta “Unopermille” intende agire in entrambe queste direzioni. In sintesi, consiste nella creazione di un fondo nazionale alimentato da un prelievo dell’uno per mille (eventualmente elevabile fino al due per mille) sulla ricchezza finanziaria degli italiani, da destinare alla creazione di occupazione nel settore sociale attraverso il coinvolgimento delle organizzazioni non profit e destinato a progetti rivolti al miglioramento del livello di coesione sociale e della qualità della vita associata. L’uno-due per mille è una percentuale irrisoria per chi è chiamato a contribuire, ma moltiplicato per lo stock complessivo delle risorse finanziarie del paese può rendere disponibile una somma significativa per interventi di sviluppo strategico.
La proposta “Unopermille” intende agire in entrambe queste direzioni. In sintesi, consiste nella creazione di un fondo nazionale alimentato da un prelievo dell’uno per mille (eventualmente elevabile fino al due per mille) sulla ricchezza finanziaria degli italiani, da destinare alla creazione di occupazione nel settore sociale
Una proposta che ha come presupposto il Terzo settore e il ruolo di Italia sociale
Manes: Il presupposto del progetto è che in Italia il Terzo settore ha un potenziale elevato per incrementare l’offerta di servizi e per generare nuova occupazione in ambiti ad alto “impatto civico”, ovvero in aree critiche per la tenuta del tessuto sociale (istruzione, assistenza, salute, cultura, integrazione). Il trend degli ultimi quindici anni ha indicato una crescita costante del settore, sia in termini occupazionali sia quanto agli ambiti di attività. Oggi in Italia operano quasi 350mila organizzazioni nonprofit, che danno lavoro a circa 1 milione di dipendenti, soddisfano i bisogni di oltre 7 milioni di utenti e si rivolgono a 20 milioni di “destinatari dei servizi con specifico disagio” (Istat 2011). Dall’inizio della crisi è l’unico settore ad essere cresciuto costantemente, con un +50 per cento di occupati e fatturato in quindici anni. Inoltre, gran parte delle analisi che riguardano il futuro del lavoro segnalano che questa tendenza è destinata a rafforzarsi. In un contesto di progressiva automazione e digitalizzazione le occupazioni rivolte alla cura della persona e all’aiuto sociale saranno con molte probabilità quelle destinate a svilupparsi maggiormente. E rispetto alle quali occorrerà uno straordinario sforzo di formazione e di ideazione di nuove forme di organizzazione e tutela.
Il fondo generato dall’Unopermille sulla ricchezza finanziaria andrebbe gestito tramite l’intervento di soggetti nazionali, non profit, di diritto privato e vigilati dallo Stato, per garantire omogeneità, rapidità e efficacia di esecuzione. Fondazione Italia Sociale è il prototipo del genere di soggetti che potrebbero farsi carico della realizzazione del progetto: la capacità di operare con spirito e modalità imprenditoriali è infatti una condizione altrettanto determinante della natura non lucrativa e della finalità di accrescimento del benessere sociale.
A quanto ammonterebbe il Fondo secondo le sue previsioni?
Manes: L’uno per mille della ricchezza finanziaria degli italiani è pari a circa 5 miliardi di euro (o 10 miliardi, nel caso si applichi il due per mille), consentirebbe di finanziare un piano strategico per sostenere significativamente la crescita di un settore labour-intensive come il Terzo settore, sostenere gli investimenti destinati a potenziare l’offerta di servizi e la qualità dei lavoratori e per favorire l’accelerazione della sua trasformazione imprenditoriale, già peraltro in atto. Intervenendo sul finanziamento di imprese e organizzazioni sociali, un piano straordinario per l’occupazione nel sociale sarebbe in grado di raddoppiare in pochi anni il numero di addetti del terzo settore, producendo servizi di utilità sociale che migliorerebbero le condizioni di vita di persone oggi in condizioni di grave disagio e quindi anche il benessere collettivo e favorirebbero un maggiore livello di coesione sociale.
L’impegno richiesto ai cittadini italiani sarebbe modestissimo e certamente meritevole del loro sostegno, perché potrebbero beneficiare dei vantaggi che ne deriverebbero in termini di maggiore coesione e migliore qualità del clima sociale. Il fondo non si sostituirebbe agli attuali strumenti di contrasto della povertà (ad es reddito di inclusione o di cittadinanza) perché sarebbe diretto principalmente al potenziamento dell’offerta di servizi e alla creazione di posti di lavoro, e avrebbe come destinatari gli enti che assumono (e non direttamente i soggetti individuali). A differenza inoltre degli strumenti attuali, la copertura del costo non graverebbe sul bilancio dello Stato ma verrebbe sostenuta dalle risorse finanziarie dei cittadini, con un evidente beneficio per la finanza pubblica e un vantaggio ai fini del rispetto dei vincoli europei.
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