Cibo & Migrazioni

Mamma Africa, l’ivoriana che nutre la felicità

di Gilda Sciortino

La vita è chimica, ancor di più in cucina dove, se dosati secondo le regole, anche gli ingredienti a prima vista lontani tra di loro si fondono e creano piatti capaci di emozionare. Lo sa bene Mamma Africa, ivoriana doc che da Palermo ha fatto conoscere in tutto il mondo il suo speciale cous cous, grazie al quale aiuta anche i bambini dei villaggi del Burkina Faso

Per me il cibo deve creare ponti culturali

– Mamma Africa

Non si sbaglia o si esagera assolutamente quando si dice che il suo cous cous è magico. Prima nel 2006, poi anche nel 2008, sia la giuria tecnica internazionale sia quella popolare del “Cous Cous Fest” di San Vito Lo Capo (Tp) lo hanno eletto il migliore tra quelli proposti da Algeria, Costa d’Avorio, Israele, Italia, Marocco, Senegal, Palestina e Tunisia.

Mamma Africa, al secolo Abibata Konate, risplende del sole e della gioia di vivere del popolo africano. Amore per la vita che arriva come un turbine, dirompente, a Palermo nel 1994, per raggiungere il marito che lavorava nel capoluogo siciliano.

«Non conoscevo una parola d’italiano» – si racconta Konate con la generosità che le è propria – «ma non mi sono scoraggiata. Grazie e insieme ai bambini di una famiglia palermitana che accudivo, ho iniziato a imparare. Parola dopo parola, ho fatto mia la cultura di questa splendida terra dalla quale continuo a ricevere tanto».

La sua strada era, però, segnata. Provenendo da una famiglia numerosa, è lei che si è sempre occupata dei fratellini accudendoli anche attraverso il cibo. E non si è mai fermata, trasformando i suoi piatti in un’esperienza sensoriale grazie alla quale portare gioia e felicità a chi li gusta, così come sa fare solo una madre nutrendo i suoi cari.

Lei, però, è sempre andata oltre.

«Non mi ha fatto mai paura cucinare per tante persone» – prosegue Mamma Africa – «così decisi che la casa in cui abitavo di fronte l’oratorio Santa Chiara, vicino al popolare mercato di Ballarò, dove, al tempo, un salesiano illuminato che purtroppo non c’è più, don Baldassare Meli, accoglieva tutti gli stranieri che arrivavano con le prime ondate di sbarchi. Una migrazione assolutamente diversa da quella di oggi».

Chi arrivava aveva bisogno di essere rifocillato, magari anche ritrovando i sapori della terra che avevano dovuto abbandonare.

In cucina tra colori e sapori della vera Africa (foto: Gilda Sciortino)

«Ci fu, però, un momento, in cui a Santa Chiara non c’era più posto, così decisi di trasformare la mia casa in una sorta di dolce rifugio. Tolsi tutti i mobili e li sostituii con dei materassi. Eravamo diventati una grande famiglia e questo mi faceva felice».

Umanità che devono a lei se in quegli anni la disperazione non li ha costretti a seguire altre strade anche perché, oltre al cibo e a un giaciglio, per loro Mamma Africa ha avuto sempre una parola buona, un’amica capace di ascoltare, una spalla cu cui piangere, una mamma pronta a proteggere.

Fu anche allora che Abibata Konate trova il nome del suo colorato punto di ristoro, ma anche quel soprannome che la caratterizzerà per sempre.

Mamma Africa, quindi, si riferisce in modo particolare al continente da cui provieni?

«Non del tutto. C’era un uomo che arrivava puntualmente alterato dall’alcol. Gridava e dava in escandescenze»aggiunge – «ma solo con chi lo stuzzicava. Non aveva di che mangiare, così gli preparavo alcuni piatti. Quasi tutti mi dicevano di non prestargli attenzione perché non era in sé. Dissi loro che “non era giusto trattarlo male. Ci sarà stato un motivo per cui si comportava così”. Ho avuto ragione perché a un certo punto, quasi commosso, mi disse “grazie, sei veramente una mamma”. Da allora sono per tutti Mamma Africa”.

Il cous cous di Mamma Africa simbolo di unione e pace (foto: Abibate Konate)

Da quel momento la fama di Abibata travalica i confini; il suo cous cous, infatti, lo dicevamo all’inizio, è stato premiato a San Vito, ma la sua presenza è diventata il fiore all’occhiello di numerosi eventi culturali.

Cosa ha decretato la vittoria di due edizioni del Cous Cous Fest, al quale da qualche anno e anche durante la prossima edizione di settembre andrà come ospite d’onore?

«Sicuramente l’incontro di tradizioni. Una ricetta di vitello su un letto di attiekè, il cous cous ivoriano di manioca, poggiava anche su una base di melenzane. Come dissi a uno chef ivoriano che credeva di dovere fare un piatto tipico del nostro paese, «se non fai ritrovare un po’ il gusto di casa anche nella ricetta di altra cultura, non favorirai mai quell’incontro, quella fusione che genera armonia. Quello che dovrebbe accadere in cucina».

Cibo che crea ponti attraverso la solidarietà dal momento che, proprio dalla Sicilia, Mamma Africa è riuscita ad aiutare il suo paese.

I bambini del villaggio di Ziga a cui vanno gli aiuti dell’Onlus Mamma Africa (foto: Abibata Konate)

Con l’onlus “Mamma Africa” negli anni ha organizzato eventi che, sempre grazie al cibo, hanno raccolto fondi per aiutare i villaggi da cui sono partiti sia lei sia il marito Jacob, quest’ultimo originario del Burkina Faso.

Tanti gli sforzi, ma anche i risultati ottenuti in questi anni per aiutare prevalentemente il villaggio di Ziga, nella regione di Banwa, un’area rurale del Burkina in cui le condizioni di vita degli oltre 12mila abitanti, 3mila dei quali bambini, sono veramente drammatiche.
In tutta la regione mancano i servizi basilari (acqua corrente, elettricità, assistenza sanitaria) e scarseggiano beni primari quali cibo e medicinali. Le strade dissestate sono pressoché impraticabili e non esistono strutture sanitarie, ad eccezione di un piccolo poliambulatorio privo di personale qualificato.

«Abbiamo intanto messo a disposizione i nostri risparmi, quelli della mia famiglia, per realizzare a Ziga un ospedale, la scuola e da poco un pozzo. Purtroppo è notizia di pochi giorni fa l’arrivo dei terroristi che hanno fatto scappare tutti dal villaggio. I bambini non sono riusciti a prendere nulla, neanche una penna». – racconta in conclusione Abibata, non riuscendo a nascondere il senso di impotenza che la pervade – «Ora, proprio i bambini, ci chiedono di continuare a studiare. Stiamo vedendo come fare, ma queste sono cose che accadono spesso, ma si sa poco perchè dall’Africa le notizie non arrivano o arrivano parzialmente. Con la nostra onlus ben presto organizzeremo un evento per raccogliere fondi che ci serviranno per continuare a colmare carenze e bisogni.  Quando cucino non lo faccio solo per regalare emozioni. Se il cibo rende felici, allora è necessario che parte di questa felicità si trasformi in bene. Insieme possiamo costruire ponti di amore e solidarietà. Questo per me è il messaggio che lancio attraverso il cibo. Questo vuol dire essere fratelli e sorelle».


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