Claudia Fauzia

L’orgoglio di essere una femminista terrona

di Gilda Sciortino

Più meridionali dei meridionali sono le donne del sud. Non un gioco di parole o una provocazione piuttosto, in sintesi, quello che riassume la condizione femminile in regioni come la Sicilia e la Calabria, territori a cui guarda l’analisi di Claudia Fauzia, fondatrice dell’associazione “Mala fimmina”, ma anche promotrice del femminismo intersezionale

Femminista meridionalista e, non certo incidentalmente, economista esperta di dinamiche di genere. Claudia Fauzia è nota anche come la “malafimmina, dal nome dell’associazione nata in piena pandemia per avviare un dialogo sul femminismo siculo legato all’ambito che afferisce alla questione meridionale.

Perché soltanto femminista non bastava?

Femminista per me è chiunque – uomini, donne e persone che non si identificano nel binarismo di genere – lotta affinché questa società sia più giusta in termini di genere. Per fortuna, però, le nuove generazioni parlano soprattutto di femminismo intersezionale, quello di cui io stessa mi faccio promotrice, in cui vari tipi di oppressione si intersecano. Una di queste oppressioni deriva dalla questione meridionale e riguarda le persone nate o che abitano nel sud d’Italia dove abbiamo vissuto e continuiamo a vivere dinamiche di colonizzazione interna. Dal punto di vista economico il nostro territorio è usurpato dal volere di altri. Ci sono, infatti, aree del meridione, specialmente in Sicilia e Sardegna, dal punto di vista culturale estremamente militarizzate rispetto al resto del Paese.

Il femminismo meridionalista si declinerà sempre come femminismo antimafia perchè da noi non puoi non prendere posizione

– Claudia Fauzia, “Mala Fimmina”
Uno dei mometi del Gay Pride 2023 di Palermo (foto gentilmente concessa da Claudia Fauzia)

Questo vuol dire fare una riflessione anche rispetto alla lingua?

Assolutamente. Il nostro modo di vivere le relazioni sociali, di esprimerci culturalmente, quindi tenendo in considerazione le tradizioni popolari, come possono essere la festa del santo patrono o la lingua declinata in dialetto, vengono stereotipate e discriminate nel senso che vengono considerate altro rispetto a un centro che è il cittadino italiano rappresentato da uomini bianchi, borghesi e del nord, ovviamente sempre eterosessuali. Dobbiamo operare un recupero della lingua, operazione che oggi si declina sotto due aspetti: recupero di offese o dei termini che sono stati sempre considerati offensivi nei nostri confronti: per esempio, la parola “terrone”, che noi rivendichiamo come sinonimo di orgoglio di appartenenza, dicendoci femministe terrone.  Riteniamo che il dialetto, da sempre considerato come una lingua subalterna, la lingua degli analfabeti, degli incompetenti, debba essere rivendicato per esprimere la lotta femminista. Capita, quindi, che nei nostri discorsi, nelle nostre pratiche di divulgazione, nel nostro merchandising, ci si esprima nelle lingue regionali, costruendo una contro narrazione alla narrazione egemonica che ha costruito l’identità nazionale. Il passo successivo della riflessione è quello che noi, all’interno dell’associazione, trasformiamo in meridionalismo, parola che va spiegata perché la storia l’ha sempre riportata come sinonimo di neoborbonico, di qualcosa che appartiene a un passato antico. Il nostro essere meridionaliste significa non potere prescindere dall’appartenenza al Sud sia come persone sia come femministe.  Per portare un esempio, le nostre pratiche di resistenza femminista fanno leva sui saperi anche ancestrali delle madri o nonne di ognuna di noi. Le pratiche di resistenza sociali comunitarie di questi territori del Sud Italia saranno diverse da quelle delle altre zone dell’Italia. Il femminismo meridionalista, inoltre, si declinerà sempre come un femminismo antimafia perché da noi considerarsi antimafioso vuol dire qualcosa di specifico, che non può essere omesso. Non puoi dirti neutrale rispetto a un fenomeno così pervasivo.

Una delle manifestazioni di “Mala fimmina” (foto gentilmente concessa da Claudia Fauzia)

E le donne? I dati sono disarmanti.

Al Sud una donna su cinque con almeno un figlio non lavora perché non ci sono sufficienti infrastrutture come asili nido e scuole che offrono la formula del tempo pieno. La conciliazione famiglia-lavoro è ancora e soprattutto una “questione meridionale”. Secondo gli ultimi dati ISTAT, il tasso del 59,4 % di occupazione femminile nel Nord è vicino alla media dell’UE, mentre quello del Sud, pari a 32,3 %, è di gran lunga inferiore.  In tre regioni (Basilicata, Sicilia e Calabria) i contratti femminili solo un terzo del totale (Inapp, Gender Policies report). Secondo un’indagine del Sole 24, poi, la qualità della vita delle donne cresce al centro nord, mentre le ultime trenta posizioni sono occupate da territori del sud con Caltanissetta 107ma, praticamente ultima. Per trovare la prima città siciliana bisogna arrivare all’81ma posizione, ossia Trapani.

Ho recentemente letto un report che diceva che la conciliazione, il lavoro domestico e retribuito, sono della questione meridionale e questo ti dà la misura di quanto queste due cose siano inscindibili. Non possiamo pretendere di lottare per la giustizia sociale in termini di genere, quindi per l’emancipazione delle donne, il lavoro retribuito e non in nero, per gli asili nido, se non consideriamo la questione meridionale. Al contrario, tutte quelle persone che lottano per l’emersione da questo stato di galleggiamento non possono non considerare che più meridionali dei meridionali ci sono le donne meridionali.

Di questo le donne hanno consapevolezza?

Non so in che misura l’abbiano. Questo il motivo per cui vogliamo lavorare su questo aspetto. Molto spesso la donna, forse al meridione di più, non si percepisce succube di alcune dinamiche, ma cerca di sopravvivere al loro interno. Porto un esempio. La donna è sempre stata costretta nell’ambito domestico, non l’ha scelto, non può lavorare per definizione perché lavora il marito o, se non c’è lui, subentrano i figli maschi. che si occupano di lei dal punto di vista economico, È una fallacea di ragionamento quando si dice che la donna gestisce l’aspetto economico.  La donna gestisce quello che si chiama “pocket money” cioè i pochi soldi che le sono concessi da chi in famiglia ha il potere economico e guadagna. Molto spesso si dice erroneamente che la colpa del maschilismo sia dovuto in parte alle donne, ma credo che la vittima non si possa mai accusare di essere la carnefice. Tuttavia è sicuro che non c’è netta coincidenza tra l’essere donna e l’essere femminista. Sono due cose diverse e, per inciso, dico che il nostro Paese è tutt’altro che femminista, nonostante ci sia un primo ministro donna. Il movimento femminista ha, infatti, accolto con dispiacere la notizia della sua elezione. Paradossalmente, se sei un uomo femminista fai molto meglio rispetto a una donna maschilista.Se, infatti, dobbiamo guardare a quanto fatto sino a ora da questo governo, dobbiamo ammettere che l’Italia sta facendo dei passi indietro allucinanti in termini di diritti, soprattutto per la comunità Lgtb+, peraltro molto attaccata e presa di mira. I diritti delle donne sono diminuiti in maniera sensibile; basta parlare dell’interruzione volontaria di gravidanza, come anche dei diritti quasi inesistenti per le persone che vogliono sviluppare la loro coscienza politica.

In questo contesto, quando il sud può fare affidamento sui movimenti femministi?

Una ricerca su cui ho lavorato e di cui non posso parlare perché deve ancora uscire, scatta la fotografia di un territorio popolatissimo di enti femministi. Sono, però, tendenzialmente piccoli, fanno fatica nell’intessere reti a causa di problemi strutturali, banalmente per i trasporti pubblici. L’unica cosa che viene finanziata nel nostro Paese sono i centri antiviolenza che hanno sempre e solo un’ottica emergenziale; ma tutto quello che è prevenzione, che viene prima, non ha alcun tipo di aiuto. Pensate di vivere al Sud e di essere una giovane ragazza che fa fatica a sostenersi economicamente. Chi glielo dà il tempo di fare attivismo se le servono almeno 3 ore per raggiungere la manifestazione nella grande città? Queste sono le difficoltà del movimento, ma che il Sud sia immobile e non reattivo è una cosa che fa parte di una narrazione egemonica che non ci appartiene. Basti pensare alle lotte contadine, quelle che sono finite nel sangue con tantissima gente massacrata, come anche il brigantaggio; è sufficiente leggere Maria Rosa Cotrufelli per scoprire che erano presenti tantissime donne. Purtroppo la storia la raccontano sempre i potenti e questi non sono mai state donne.

In piazza dopo l’ultimo stupro a Palermo (foto d’archivio)

Quindi, qual è l’attuale condizione delle donne?

Lo dicevo prima, una donna su 5 non lavora e, se ha un figlio, la situazione peggiora. Secondo me, le donne sono messe sotto ricatto, il primo quello di genere. Se sei una donna, certe cose non le puoi fare e questo si declina: “Non puoi andare in giardino a giocare con i compagnetti”, “Non puoi studiare alcune materie, tipo la scienza, perché non hai un’intelligenza tale che te lo permetta” oppure “Non puoi lavorare perché devi occuparti dei bambini”! Una dinamica di ricatto che ci rimanda alla condizione di donne incastrate, neanche necessariamente consapevoli. A Palermo, in quartieri popolare come il Borgo Vecchio o lo Sperone, c’è il tasso più alto di giovani madri, donne minorenni che mettono al mondo dei figli. Quando lo racconto a donne che sono madri o che lo vogliono diventare non capiscono come mai possa essere un problema avere dei figli. Ciò che qualcuno non vede è che, quando sei una donna sedicenne che ha un bambino, la cosa più semplice che ti possa capitare è abbandonare la scuola, con la conseguenza che le tue probabilità di riuscire nel mondo del lavoro si azzerano.  Nei casi migliori, poi, andrai a vivere con il padre del bambino, lui avrà il potere economico su di te ma, se malauguratamente non sarà una brava persona, resterai incastrata in un labirinto dal quale non potrai più uscire.

Ecco perché lavorare per esempio nelle scuole facendo educazione di genere?

Fare educazione di genere non vuol dire convincere le persone a diventare omosessuali, come la maggior parte delle persone erroneamente crede, perché non è una cosa che si decide, ma vuol dire dare gli strumenti per comprendere la realtà che viviamo ed eventualmente fare delle scelte consapevoli.

Il femminismo intersezionale, per esempio, abbraccia vari tipi di lotte, anche quella di classe perché bisogna capire che, se parliamo di emancipazione con una donna borghese e una che non ha soldi per fare la spesa, il confronto sarà differente perché gli strumenti in loro possesso saranno diversi. Alla base di tutto c’è il fatto che una donna senza possibilità economiche resterà intrappolata e senza autonomia decisionale”.

Qual è la strada da percorrere per uscire fuori da uno stato in parte di impasse?

Questo governo non approverebbe la mia proposta di partire dalla scuola per fare una sana educazione sessuale all’affettività finalizzata a scongiurare il pericolo delle nascite precoci, parlando degli anticoncezionali. Questo dal punto di vista pratico. A seguire una formazione sulle questioni di genere alle donne, ma anche agli uomini. Le scelte devono essere totalmente libere perché, se una donna nella sua piena consapevolezza dice che a 18 anni vuole fare un figlio, va benissimo, ma deve averne consapevolezza. Sarebbe la garanzia di autonomia delle donne. Purtroppo, ogni volta che come associazione tentiamo di entrare nelle scuole, ci vediamo bollate come appartenenti al movimento gender. Il movimento gender non esiste, è stato inventato, frutto di una pratica di manipolazione dei movimenti anti-gender e della destra del nostro Paese. Gender è la traduzione inglese di genere e il genere lo abbiamo tutti e tutte; anche coloro che si definiscono anti-gender hanno un genere.

Nella foto di apertura Claudia Fauzia (foto gentilmente concessa dalla stessa Fauzia)


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