Le cinque stelle Michelin tatuate sull'avambraccio destro raccontano di una storia iniziata tanti anni fa. Igles Corelli, ferrarese classe '55, inizia la scalata nell'Olimpo della cucina gourmet a fine anni '70 al Trigabolo di Argenta.
Da quel momento non si ferma più in un susseguirsi di locali e riconoscimenti. Oggi non è un nome di massa e chi segue Masterchef e i vari Cracco e Cannavacciuolo difficilmente lo conoscerà. Ma è stato lui il vero rivoluzionario della gastronomia, l'altro grande nome degli anni ottanta insieme a Gualtiero Marchesi e Frédy Girardet. Aveva già cominciato a portare attrezzi e tecnologie all'avanguardia in cucina quando Ferran Adrià lavava piatti all'Hotel Playafels e Hervé This, il chimico che insieme allo chef spagnolo ha dato vita alla cucina molecolare, non aveva ancora terminato i suoi studi di scienza alimentare. Ma soprattutto Corelli è l'inventore della Cucina Circolare, chiamata così perché «lo stesso ingrediente viene declinato in diversi modi in base ai diversi metodi di preparazione e cottura che permettono di ottenere diverse consistenze, gusti e aspetti partendo dalla stessa materia prima».
Come è arrivato alla circolarità ai fornelli?
L'inizio è legato al concetto di “chilometro Italia”, in contrasto al chilometro zero. Che è poi l'idea “garibaldina”: l'andare a cercare tutto il meglio che c'è in giro per il Paese. Per arrivare a una grande cucina è necessario lavorare con grandi prodotti. È l'unica via, altrimenti non si va da nessuna parte. Questo però ha un costo. Così con la ricerca e la dedizione, oltre che qualche intuizione e idea, si può arrivare a risparmiare anche comprando prodotti molto costosi.
Possiamo fare un esempio?
Certo, usiamo lo stesso esempio che ho sempre fatto nel mio programma, “Il Gusto di Igles”, su Gambero Rosso Channel che ha avuto molto riscontro. Suggerisco ai telespettatori di comprare i gamberi rossi di Porto Santo Spirito (in provincia di Bari ndr) che costano cinquanta euro al chilo piuttosto che quelli congelati da venti euro. Naturalmente all'inizio tutti rimangono un po' perplessi. Si tratta di cifre importanti. Ora, il pesce congelato non è mai generalmente di alta qualità e per quello che riguarda i gamberi parliamo di un prodotto che ha la testa che puzza di ammoniaca e con i bulbi oculari amari. Significa che le uniche preparazione possibili sono la bollitura o la cottura in forno. Quindi quei venti euro mi rendono un solo piatto.
E invece con quelli di Porto Santo Spirito?
Invece con quelli, ma in generale con prodotti freschi di alta qualità, ogni parte è utilizzabile. Prendendo le teste e frullandole possiamo in primo luogo creare una maionese, basta estrarre le proteine e legarle con acqua gasata e olio. Possiamo poi usare il risultato per farne un risotto strepitoso di gambero. Una volta fatto questo, con i carapaci e lo scarto della maionese, possiamo fare il brodo. Una volta filtrato il brodo possiamo essiccare i rimasugli e creare un sale aromatizzato. E tutto questo senza aver ancora usato il gambero. Ecco che con quei cinquanta euro abbiamo creato quattro o cinque piatti. Questa è, semplificando, la cucina circolare. Usare tutto il prodotto non avendo scarti.
Quindi la casalinga oggi ha un modo per rendere ancora più efficiente la spesa famigliare. Ma in un ambito aziendale, come un ristorante, la circolarità ha lo stesso impatto?
Partiamo da una grande verità: un ristorante in regola con la legge, pieno o vuoto che sia, oggi è fallimentare. Non sopravvive perché risponde a un concetto vecchio di ristorazione e a normative che non aiutano. Il tasto dolente è naturalmente il personale che vale il 70 per cento dei costi. Il discorso della circolarità è uno strumento vincente che permette di sopravvivere e far quadrare i conti. Ma a patto che sia combinato con l'innovazione, con la tecnologia. La circolarità si basa sullo sfruttamento in toto del prodotto. Per farlo però è necessario usare macchinari e tecniche particolari.
Quindi circolarità fa rima con innovazione tecnologica…
Sì, ma non solo. Chiudiamo il cerchio. I tre ingredienti sono: cucina chilometro Italia, circolarità e tecnologia. Queste tre componenti sono il modo per stare in linea con le esigenze aziendali di una attività ristorativa oggi. Questa è la strategia vincente. E che dà anche un grande messaggio
Quale?
In questo modo potremo, forse, farla finita con la revisione della tradizione basata su assurdità. Potremo fare vera innovazione.
Può spiegarsi meglio?
Oggi si vedono in giro cose assurde. Come le carbonare scomposte e ricomposte. Sono fesserie. Il mio metodo permette di codificare la ricetta andando a prendere i migliori prodotti: il guanciale abruzzese, la pasta di Gragnano, le uova di Parigi. Poi, una volta codificato, si porta questo pacchetto all'estero. È il motivo per cui mi sono battuto contro i marchi Dop (Denominazione di Origine Protetta, denominazione registrata presso la Comunità Europea per indicare un prodotto tipico italiano di alta qualità. Ndr) che sono a mio avviso una truffa pazzesca.
Perché?
A Ferrara hanno dato la certificazione Dop ai tortelli di zucca. Ora gli ingredienti , come tutti sanno, sono la zucca Violina, il Parmigiano Reggiano, uova, noce moscata e farina. La ricetta della Camera di Commercio dice: zucca in generale; formaggio in generale, che significa poterci metter anche il groviera; zucchero, perché se la zucca non è dolce bisogna intervenire; pan grattato, per tenere insieme tutto. È evidente che sia una bufala, una ricetta fatta ad uso e consumo dell'industria. Fatta per permettere ai grandi player di poter scrivere sulle confezioni che si tratta di tortelli di zucca Dop.
E questo cosa significa?
Significa che l'intera filiera non premia i prodotti di qualità ma esclusivamente la quantità.
Mi sfugge il nesso con l'economia circolare…
Provo a spiegarmi con un esempio. Un anno fa sono stato da amici a Porto Santo Spirito che hanno un'azienda alimentare e lavorano molto con i pescatori. Ho visto che i pescherecci spesso oltre al pesce raccoglievano grandi quantità di plastica che veniva rigettata in mare. Ho chiesto perché non avessero pensato di portare a terra anche quella e magari darla a qualcuno in cambio di qualcosa. Non solo. Sono poi stato allo stabilimento e ho scoperto che buttavano via una quantità enorme di scarti. Teste, carapaci e interiora. Li ho consigliati e oggi fanno delle pastiglie per insaporire i piatti. Proteine, nero di seppia, sali aromatizzati. Oggi non buttano via più nulla e hanno accresciuto l'introiti del 4-5 per cento.
E la plastica?
Se ieri o la lasciavano in mare o dovevano pagare per eliminarla oggi la cedono ad aziende che riciclano. Insomma un modo per metter ogni cosa al posto giusto si trova.
Il piatto “Pomodoro Tuttopomodoro” di Corelli è un esempio di circolarità. Nel piatto il pomodoro si presenta come sugo per il riso, pomodorini confit, spuma, gelato e polvere
Quindi anche l'industria può e deve essere circolare…
Certo. Tornando ai tortelli di zucca è chiaro che non premiare il prodotto di qualità e pensare solo in termini quantitativi da una parte non permette di abbattere gli sprechi e dall'altro non crea ricchezza sui territori. Questo senza contare il fatto che così facendo non si porta all'estero la nostra vera eccellenza ma prodotti scadenti.
Ma lei se lo aspettava che questa idea del circolare in cucina oggi sarebbe diventato un trend economico?
Sì, le basti sapere che cinque anni fa ho depositato il nome “Cucina Circolare”. È evidente che è la strada da seguire per il futuro. Vale sempre e funziona in ogni ambito. Ci faccia caso: abbiamo parlato di economia domestica, gestione di piccole aziende, economia industriale, filiera ed export. In ogni ambito la circolarità premia e conviene.
Agli inizi questa sua proposta com'è stata accolta?
Per quanto riguarda il grande pubblico, clienti e telespettatori, ha subito avuto successo. Le persone mi fermano per strada per ringraziarmi perché risparmiano e mangiano cose nuove. I miei colleghi non mi hanno mai dato meriti esplicitamente. Mi basta vedere che oggi in tutte le cucine professionali tecnologia e circolarità sono una costante. Significa che hanno guardato e imparato.
Se dovesse identificare il prodotto simbolo della circolarità, quello di cui è più fiero, quale direbbe?
Il sedano. Era uno di quegli ingredienti bistrattati nelle cucine. Arrivava, gli chef lo tagliavano e lo usavano per fare i soffritti e poi lo gettavano. Invece è un vegetale particolarmente complesso e composto. Con i miei collaboratori in primo luogo essicchiamo le foglie per fare il sale aromatizzato al sedano. Essicchiamo anche i filamenti della parte esterna per poi frullarli e creare una polvere da usare con le farine per fare i grissini o per aromatizzare le cialde croccanti. La parte esterna che è quella più coriacea ma più aromatica si usa per fare i fondi di cucina e infine il cuore, che è tenero, viene usato per le insalate. Da un prodotto umile e molto in ombra oggi abbiamo un protagonista. E questo è il modo in cui voglio che i miei collaboratori guardino ai tutto quello che entra in cucina.
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