Una carriera politica tutta a sinistra, dal Partito Comunista Italiano al Partito Democratico passando per Pds e Ds. Più volte ministro, della Salute e del Welfare, nei governi Prodi e D’Alema, oggi è presidente della Fondazione “Nilde Iotti: le donne, la cultura, la società”. Livia Turco è una donna che si è battuta spesso su temi “eticamente sensibili”. È stata in prima fila sul dibattito per l’aborto ieri e apertamente favorevole all’adozione gay oggi. Vita.it per questo l’ha intervistata sulla maternità surrogata che, con l'approvazione al senato del ddl Cirinnà e il caso Vendola, è tornata prepotentemente di attualità.
Il dibattito sulla maternità surrogata era inziato ben prima dell’affaire Vendola. L’appello di Se non ora quando e la Carta di Parigi hanno svelato un grande movimento di femministe e lesbiche contrario a questo strumento. La discussione ha posto una prima questione terminologica. In molti sostengono che non si debba chiamare Maternità surrogata o utero in affitto ma “gestazione per altri”. Che ne pensa?
Che non cambia la sostanza. Capisco che c’è una profonda differenza tra lo sfruttamento e il cosiddetto dono. Ma la sostanza è sempre la stessa. Non a caso si stanno mobilitando tante femministe. La generazione non è un pezzo di corpo umano. Uno dei frutti della battaglia femminista riguarda proprio la differenza sessuale e il riconoscimento della differenza di genere e della peculiarità dell’essere donna. Una differenza che è vista come ricchezza e incardinata sulla relazione tra uomini e donne. Mi spiace che tanti si dimentichino che queste lotte ci hanno insegnato, anche attraverso travagli, a vivere la maternità non come un fatto biologico, non come uno stereotipo, non come un destino, non come un ruolo sociale entro il quale c'è il genere femminile. Ma come scelta. La consapevolezza che la generazione, che ha inizio sin dal grembo materno, è una relazione umana.
Mi spiace che tanti si dimentichino che queste lotte ci hanno insegnato, anche attraverso travagli, a vivere la maternità non come un fatto biologico, non come uno stereotipo, non come un destino, non come un ruolo sociale entro il quale era c'è il genere femminile. Ma come scelta
Eppure lei fu molto attiva nella battaglia sull’aborto…
Sì, e vorrei ricordare ai tanti uomini e donne di sinistra che quando facemmo la battaglia per l’autodeterminazione della donna riguardo all’aborto dicemmo che era un scelta che competeva esclusivamente alla donna perché solo lei sa e vive quella relazione umana con la vita che ha nel grembo. Sin dall’inizio del concepimento si costruisce quella relazione. Dicemmo che il grembo materno non è solo fisico ma anche psichico. Come possiamo oggi arretrare di fronte a questa acquisizione che è così vera e che infatti rende così drammatico l’aborto?
In molti invece mettono in contrapposizione gravidanza e maternità sostenendo che siano due cose diverse. Lei invece ritiene che siano la stessa cosa?
Certamente. Ma non lo sostengo io. La distinzione si può fare tra il generare e il crescere un figlio. Maternità e gravidanza invece semplicemente sono la stessa cosa. Chi pensa che la maternità sia la relazione arretra pesantemente culturalmente. È su questo punto che mi preoccupo perché siamo di fronte ad un vero baratro culturale. C’è il rischio del ritorno biologistico della gravidanza. Poi certo generare non significa necessariamente anche crescere. Generare è una facoltà femminile, crescere invece può avere tante forme. Ecco perché sono contrarissima all’utero in affitto. Perché vedo alterato questo punto. Anche quando si parla di dono.
Maternità e gravidanza invece semplicemente sono la stessa cosa. Chi pensa che la maternità sia la relazione arretra pesantemente culturalmente. C’è il rischio del ritorno biologistico della gravidanza
Che si tratti di dono o di sfruttamento la questione viene stabilita per contratto. Da oggi dunque la vita è un bene disponibile?
In nome della libertà noi oggi consentiamo qualunque mercificazione. La vita umana non si compra. È un bene indisponibile. Qualunque forma di contratto associata alla maternità è abominevole. Sono disposta a discutere con toni pacati di tutto, ma con molta fermezza sui valori. Vedo uno scivolamento retorico sui diritti come se la parola diritto abbia perda il suo valore. Dietro la parola diritto oggi ci sono cose, beni. Diritto invece è dignità umana, non merce. Poi certo il desiderio di maternità e paternità è bello. Ma la genitorialità non è un diritto e non si può perseguire a tutti i costi. Io sono d’accordo che le coppie gay possano adottare. Tenendo ben presente che l’adozione è una cosa difficile. Che non è detto che vada a buon fine. E che quando capitano questi casi ci sono altri drammi e altre tragedie. Ma questa è un’altra faccenda…
È vero. Ma questo fa immaginare anche nel caso di gravidanza surrogata ci possano essere un sacco di casualità negative. In quei casi cosa capita. Questi contratti che lei sappia prevedono qualcosa in caso l’accordo salti o il figlio abbia problemi?
Non saprei. Voglio sperare che se una coppia desidera un figlio poi lo cresca. E spero che la madre biologica abbia sempre l’ultima parola. Ma non conosco nello specifico come sono costruiti questi contratti.
Vedo uno scivolamento retorico sui diritti come se la parola diritto abbia perda il suo valore. Dietro la parola diritto oggi ci sono cose, beni. Diritto invece è dignità umana, non merce
Del caso Vendola si sa che l’operazione è costata 130mila euro. Si dice che siano i costi sanitari sostenuti anche se una gravidanza normale è chiaro che non costi quelle cifre. Per questo però in molti ritengono che il nodo sia il denaro. Nel senso che essendo una pratica molto costosa e quindi appannaggio esclusivamente dei ricchi sia discriminatoria. La risposta sarebbe dunque la surrogazione low cost. Che ne pensa?
Credo che questa pratica sia folle. Ed è una battaglia culturale, le norme non servono. Deve essere semplicemente bandita questa possibilità. Certo il fatto che sia costosa accentua le distanze sociali. Ma non mi preoccupo sinceramente del povero che non può comprarsi un bambino. È evidente che è una pratica per ricchi. Sono altri i poveri per cui mi preoccupo.
Il pensiero che molte donne in Peasi poveri come l’India o l’Ucraina o l'Indomesia siano sfruttare così mi scandalizza. Io sono di sinistra e voglio pensare queste persone il cui sfruttamento mi fa indignare
Quali?
Le persone povere sono le donne che ricorrono a questa pratica per bisogno economico. Che vendono la prole per denaro. Il pensiero che molte donne in Peasi poveri come l’India o l’Ucraina o l'Indomesia siano sfruttare così mi scandalizza. Io sono di sinistra e voglio pensare queste persone il cui sfruttamento mi fa indignare. Perché dobbiamo ricordare solo la cosiddetta parte evoluta, come il Canada o gli Usa, in un’accezione vermante un po’ starna di evoluzione? Se dobbiamo parlare di poveri e ricchi si sappia che è questa pratica che sfrutta i più deboli. Anzi le più deboli. Da un punto di vista femminista tutto questo è inaccettabile e preoccupante.
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