A Pieve di Soligo, in provincia di Treviso, c’è uno stabilimento produttivo in cui, su 130 dipendenti, solo 10 sono italiani. Un microcosmo in cui convivono persone provenienti da tre continenti diversi (Europa, Africa e Asia) e quindici nazioni (Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia, Cameroun, Cina, Croazia, Macedonia, Moldavia, Pakistan, Romania, Senegal, Serbia e Kosovo).
Una Babele di lingue, culture e tradizioni che, per alcuni anni, ha causato non pochi grattacapi ai dirigenti dell’Eurovo, questo il nome dello stabilimento. Tra questi il primo era l’alto tasso di turnover che rallentava le fasi della produzione. Lasciavano in troppi e troppo frequentemente: serviva una strategia capace di creare un legame tra i dipendenti e l’azienda.
Diversità in azienda, un puzzle da comporre
«Inizialmente avevamo pensato di suddividere i gruppi di lavoro sulla base della nazione di provenienza», racconta Roberto Borsato, responsabile dello stabilimento, «ma questa scelta, accentuava ancora di più la distanza tra i gruppi di lavoro che erano già diversi per lingua, credo religioso, modi di relazionarsi fra colleghi».
Serviva un’idea per diventare una squadra compatta.
«Pratico atletica leggera da diversi anni», racconta Borsato, «so che lo sport è in grado di avvicinare le persone. Ne ho parlato ai miei dirigenti e abbiamo avviato un’attività ludico sportiva pomeridiana con chi, liberamente, voleva partecipare».
Il gruppo coinvolge, nel 2018, un allenatore federale Fidal e organizza un calendario extralavorativo di allenamenti di atletica, fitness e ginnastica aperto a tutti i dipendenti.
Affiatamento batte turn-over
«L’adesione è stata superiore a ogni aspettativa», prosegue, «le richieste di partecipazione sono arrivate anche dai figli dei nostri dipendenti e così abbiamo aperto gli allenamenti ai ragazzi. Il risultato più importante è stata la riduzione in breve tempo del turnover in azienda che è passato dal 30% al 2%. È così che siamo diventati una squadra di atletica e di lavorare».
Tanti i segnali del cambiamento. Per esempio nelle pause in mensa, mamme di nazionalità diversa, che prima non si parlavano, ora si raccontano i successi sportivi dei loro figli, si scambiano ricette o foto.
«La coesione sociale che lo sport ha generato nella nostra azienda si riflette, anche, all’interno della comunità di Soligo dove vive chi lavora in Eurovo. Non ci sono più cittadini considerati “stranieri”, ma siamo tutti abitanti di uno stesso luogo».
Nasce la squadra
Dopo due anni dall’inizio dell’attività sportiva amatoriale, nel 2021 è stata costituita la Eurovo atletica Pieve di Soligo, un’associazione sportiva con un consiglio direttivo composto dai tre donne e due uomini. E per gli allenamenti l’amministrazione comunale ha messo a disposizione la pista di atletica dello stadio di Soligo.
«In città mancava una società di atletica leggera e in tre anni siamo costantemente cresciuti arrivando ad avere oltre 200 soci praticanti, di ogni estrazione sociale e provenienti da quindici nazioni e da tre continenti diversi», prosegue Borsato, «durante gli allenamenti si parlano lingue diverse perché il gruppo è estremamente eterogeneo ma tutti sono uniti da un’unica grande passione: l’atletica. Favoriamo l’aspetto agonistico dell’attività, dando la possibilità agli atleti di crescere da un punto di vista sportivo. Ma il nostro scopo principale, lo abbiamo indicato chiaramente nell’articolo 1 del nostro statuto, è quello di promuovere attraverso lo sport la crescita personale, l’integrazione nella società dei nostri soci e la diffusione dei valori sportivi di rispetto degli avversari e di solidarietà. Per noi il vero campione non è colui che vince sempre ma chi a ogni gara dà il massimo delle proprie possibilità».
Storia di Viorica, rinata con l’atletica
Tra le atlete dell’associazione c’è la cinquantanovenne Viorica Hazota che da 29 anni lavora in Eurovo. La sua storia è emblematica di come lo sport può cambiare la vita. Viorica negli anni Ottanta, rimasta vedova, si era trasferita dalla Romania in Germania per lavorare e riuscire a dare un futuro alle due figlie rimaste in patria. In quegli anni la vita nel suo paese natale era davvero dura sotto il regime di Ceausescu. Dopo alcuni anni si sposta in Italia, ospite di parenti, e inizia a svolgere due lavori, sette giorni su sette. Ha il sogno di far arrivare in Italia le due figlie ma non è facile. Il regime non concede facilmente il visto. Alla fine ce la fa e con un viaggio avventuroso finalmente le ragazze la raggiungono. Intanto acquista una piccola casa e tutto sembra finalmente procedere per il meglio finché nel 2004 un tragico incidente stradale le porta via una figlia. Disperata, non riesce più a dare un senso alla sua vita e pensa di ritornare a vivere tra i boschi di Maramures, in Romania.
«È in quel momento che viene a conoscenza dell’associazione sportiva Eurovo», prosegue Borsato, «inizia a partecipare ai nostri allenamenti e scopre di avere una grande passione per lo sport. Si tessera nella società sportiva e si iscrive alle prime gare. È un successo dopo l’altro, si aggiudica una lunga serie di titoli di campione regionale Fidal su gare sia in pista che corsa in montagna. Fino al titolo di campionessa europea a squadre del 2021».
Un team inclusivo
Alle attività dell’associazione partecipano, anche, ragazzi con vari gradi di disabilità. «La loro presenza in quadra è importante per tutti noi perché ci insegna a migliorare il nostro modo di metterci in relazione con l’altro diverso da noi», spiega Borsato, «corriamo, anche, maratone con atleti non vedenti. Si partecipa in due, legati da una cordicella. L’atleta non vedente si affida completamente al suo compagno di gara. Sperimentarsi nell’essere guida durante la gara è un’attività molto formativa e complessa. È una grossa assunzione di responsabilità».
La storia dell’associazione Eurovo atletica Pieve di Soligo sta diventando esempio per altre aziende del territorio che stanno cercando nuovi modi per far collaborare i propri dipendenti sempre più eterogenei per nazionalità, culture e abitudini.
«Molte di loro hanno già dei piani di welfare avviati ai quali stanno pensando di affiancare la nostra associazione sportiva perché nessuno di queste aziende aveva mai pensato di fare inclusione sociale attraverso lo sport», conclude Roberto Borsato, «questo ci permetterà di allargare la platea di possibili soci. È bello pensare che un’iniziativa nata un po’ per gioco sta diventando un punto di riferimento per il welfare aziendale di tutto il nostro territorio».
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