Kingsley (foto di cover) ha 41 anni e da 5 vive a Matera con i suoi figli. In Nigeria era un medico tradizionale: i suoi infusi erano richiesti da conoscenti e parenti per allontanare malanni e sortilegi. Ora fa il papà a tempo pieno, ma riesce sempre ad organizzarsi, tra babysitter, volontari e campo estivo, per assicurare la sua presenza in birrificio, il suo nuovo lavoro. Che non è molto diverso dal primo, a sentir lui: “con le mie pozioni allontanavo le cose brutte dalla gente che veniva a chiedermi aiuto; anche adesso con la mia birra aiuto a sorridere”.
Il birrificio dove lavora Kingsley è gestito dalla cooperativa sociale MEST, nasce da un progetto del Consorzio La Città Essenziale e prende forma grazie ad un finanziamento di Fondazione con il Sud. Il primo obiettivo è quello di creare opportunità occupazionali per persone straniere in uscita dai progetti di accoglienza SAI gestiti dalla cooperativa il Sicomoro; oggi sono in quattro infatti a lavorare stabilmente per il birrificio e in venti hanno potuto acquisire competenze legate alla produzione brassicola. Ma sin dall’inizio le sfide sono state tante, rivelandosi presto preziose opportunità per immaginare nuovi modelli, a partire dalla scelta del nome: GRUYT, una parola di origine sassone che indica l’insieme di aromi che fino alla fine del XV secolo venivano utilizzati per la produzione di una birra di qualità superiore. Eccellenza del prodotto o inclusione sociale? Non è semplice tenere insieme i due aspetti.
La prima scommessa è stata quella di puntare sul coinvolgimento di un partner tecnico dall’anima profit, capace di coniugare visioni e valori progettuali con tecniche e standard qualitativi elevati che reggessero il confronto con un mercato molto esigente. La scelta non è caduta su un consulente con buone soluzioni chiavi in mano, ma su giovani mastri birrai del posto che con tanto studio, esperienze e passione alle spalle, avevano già dato vita ad un loro impianto di produzione di birra artigianale, anche questo a Matera. In qualsiasi business plan il loro nome sarebbe comparso tra i principali competitor. Invece Birrificio79 ha subito accettato l’idea di condividere con il progetto GRUYT conoscenze e passione. Una collaborazione del tutto fuori dagli schemi, che ha fatto saltare tanti sospetti e pregiudizi tra soggetti abituati a giocare su campi diversi – profit da un lato e sociale dall’altro – dando vita ad un inatteso laboratorio che ha ibridato culture aziendali e linguaggi, pur preservando l’identità di ciascuno.
Produrre birra non è per tutti, o forse sì. Per i ragazzi di religione musulmana coinvolti nel progetto decidere se fosse loro permesso collaborare non è stato scontato. L’alcool per l’Islam è proibito, fino a dover rinunciare al lavoro? La birra dell’integrazione poteva trasformarsi in motivo di divisione ed esclusione. È così che è nata l’idea di accorciare la filiera e ricomprendere nel progetto anche la coltivazione di orzo e frumento, utili alla produzione delle birre. Già nelle prime fasi progettuali è stata perciò data a ciascuno dei giovani la possibilità di scegliere il segmento dell’intero processo produttivo cui si sentivano più portati, per competenze, interesse e credo religioso. Poter seguire l’intera produzione, dalla cernita del seme alla spillatura, non solo permette di certificare la birra come “agricola”, ma in un territorio profondamente segnato dal fenomeno del caporalato diventa segnale importante di un’agricoltura diversa e possibile. Anche la scelta del seme non è scontata: sono state selezionate qualità antichissime di frumento, ormai quasi fuori mercato per la resa molto bassa e la fragilità delle spighe, che si spezzano facilmente. Solo fino a qualche decennio fa ricoprivano per intero le colline materane. Le spezie utilizzate per le birre sono coltivate invece nell’orto della vicina casa di riposo per anziani: alle loro mani pazienti e sapienti è dunque affidata la cura delle giovani pianticelle, ultimo ingrediente di una birra che racconta di un grande dialogo aperto a tutta la città, dai suoi nuovi abitanti giunti da lontano, fino ai più longevi, radici profonde di un’identità in cui riconoscersi e da cui ripartire.
Le birre ora in produzione sono due. Una british bitter ale ad alta fermentazione dal gusto maltato con un amaro elegante conferito da luppoli inglesi, in cui si distingue un leggero aroma di miele di castagno con note di tostatura di pane. Il corpo è leggero e fluido e la carbonazione è leggermente pronunciata ma in stile. È già possibile degustare la british bitter ale nel bistrot etico Panecotto, gestito dalla stessa cooperativa MEST nel cuore dei Sassi di Matera. Panecotto, già riconosciuto tra i migliori ristoranti in Italia dalla prestigiosa guida 50 Top Italy, si sta preparando a diventare vetrina e motore di questo nuovo progetto. La seconda birra, ottenuta grazie al recupero dei grani antichi del territorio, è una blanche, che non abbiamo potuto assaggiare perché ancora in fermentazione. Tutte le birre potranno essere degustate in bottiglia oppure spillate dai fusti. Ora l’obiettivo della cooperativa è affiancare alle produzioni proprie, birre di altri marchi interessati ad affidare al birrificio linee di produzione dedicate o ricette da sviluppare insieme a marchio proprio.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.