Massimo Mercati

L’impresa come sistema vivente: sussidiarietà circolare, creazione di valore, responsabilità integrale

di Marco Dotti

Mentre la cellula ha un confine biologico rappresentato dalla membrana, ogni rete sociale, tra cui l'impresa - racconta Massimo Mercati, AD di Aboca - ha un confine immateriale, culturale e di senso. «Più si ha una forte dimensione di significato, meno compromessi si fanno. Alla lunga l’utente lo riconosce e crea una filiera di fiducia che ti permette anche di guadagnare di più reinvestendo il tutto. Si alimenta un circuito virtuoso e valoriale. Anche l’utile cresce, ma bisogna aver presente lo scopo. Altrimenti l’immediato si divora tutto. Anche l’impresa»

Territorio, salute, ambiente. Aboca è una healthcare company nata oltre quarant'anni fa a Sansepolcro, in Toscana. Oggi ha millecinquecento dipendenti ed è presente in sedici paesi.

Il suo obiettivo? Lo spiega l'amministratore delegato di Aboca, Massimo Mercati: «ricercare nella complessità della natura le soluzioni per la cura dell’uomo». Ne deriva un modello di responsabilità attiva «sempre connesso con le comunità». Perché, racconta Mercati in questa intervista, «l'impresa è comunità nelle comunità, è un'impresa vivente».

La crisi ha mostrato una dimensione civica delle aziende e ha riaperto il grande tema della responsabilità d’impresa. Come vi siete mossi?
Di fronte alla crisi ci siamo chiesti cosa potevamo fare. Il primo impegno è stato mantenere la nostra produzione. Facciamo prodotti per la salute, con una specializzazione forte sulle vie respiratorie e ci è sembrato giusto restare aperti mettendo a disposizione della comunità ciò che sappiamo fare. La nostra produzione si è orientata anche sull’emergenza, ovviamente, realizzando velocissimamente alcuni prodotti ad hoc come i disinfettanti per le mani. Questo ha comportato una conversione altrettanto rapida di alcune linee di produzione. Ma quello che importa è altro e sta sullo sfondo: questa crisi ha portato in evidenza la necessità di una responsabilità integrale d’impresa.

La nostra visione d’impresa nasce dallo studio della natura, da una visione sistemica e dal concetto di interconnessione. Questi elementi sono la base della nostra ricerca e della nostra attività, sono oggi più che mai il motore di ciò che facciamo. Ma ciò che facciamo non è “per noi”: è legato e connesso al bene comune. Questa visione non è solo scientifica, ma è integrata nella nostra visione d’impresa. Per questo amo parlare di impresa come sistema vivente.

L’azienda come sistema complesso e interconnesso, ossia dotata di una sua inevitabile socialità…
La nostra ricerca parte dalle regole di base che servono per comprendere i sistemi complessi naturali e li applica alla visione d’impresa. L’impresa non può essere vista avulsa dal contesto, perché l’impresa è una comunità fra le comunità. Impresa come comunità fra le comunità significa accoppiamento strutturale fra impresa e ambiente. Significa un particolar modo di vedere il ruolo dei membri all’interno della comunità. Se cerchiamo nella natura risposte ai bisogni dell’uomo è perché crediamo che vi sia una condivisione di pattern e schemi che possono consentire un dialogo. Ma, in questa visione, l’uomo non lo abbiamo mai visto come esterno alla natura. L’uomo non è dominus naturae.

Da questo approccio che definizione di impresa possiamo trarre?
Per dare una risposta dobbiamo andare ancora più a fondo nella domanda e chiederci: che cosa crea quel confine che definisce un limite dell’impresa? Un giorno, in un workshop in azienda, il fisico Fritjof Capra spiegò che mentre la cellula ha un confine biologico rappresentato dalla membrana, una rete sociale si identifica per un confine immateriale. Il confine delle reti sociali è culturale. È un confine di significato. Una rete sociale non può esistere senza significato, ma nel corso del tempo, il significato di “impresa” è stato molto ridotto, anche per legge. Si è creduto che “impresa” fosse un’organizzazione unicamente volta alla creazione di utili.

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Con quali conseguenze?
​Ci siamo trovati con imprese segnate da visioni che non tenevano conto del contesto e, così facendo, non si interconnettono con le reti sociali. L’accoppiamento fra impresa e società è sbagliato se calibriamo la visione d’impresa sugli utili e, poi, eventualmente su qualche restituzione marginale alla comunità.

Ma i nodi, oggi, stanno venendo al pettine. Tanto nei confronti della società, quanto della comunità d’impresa.

Qual è la criticità di fondo di questo riduzionismo nella visione e nella pratica dell’impresa?
L’idea che far utili e, al massimo, donare qualcosa non siano un significato condiviso. L’utile dell’azionista divide non unisce. Io e la mia azienda abbiamo sempre cercato di lavorare sul significato e lo scopo della nostra azienda. Il senso è cruciale per non scambiare mezzi e fini.

Siete diventati B-Corp per questo?
Nel 2015 non abbiamo aderito al movimento delle Benefit Corporation. Temevamo il greenwashing. Poi, quando è passata la legge sulle società benefit abbiamo visto che andava in una buona direzione e tutte le società del nostro gruppo – Aboca, Apoteca Natura e Farmacie di Firenze – hanno incorporato le finalità sociali nello statuto. Perché le dico questo? Perché questo è il punto di partenza a cui guardare per capire come un’azienda si muove nei vari contesti.

Anche il contesto di crescita di un’azienda viene ridefinito?
Sì, perché a quel punto il contesto di crescita all’interno di un’azienda non è più “quanto guadagno”. Si ha un’inversione mezzo-scopo.

L'utile diventa il mezzo per raggiungere uno scopo in un quadro di senso. Nel nostro caso il senso è studiare la natura come sistema complesso e capire le risposte che dà alla salute dell’uomo. Risposte che rispettino organismo e ambiente. È un’intuizione che ha un corpo valoriale molto forte e in azienda si traduce in comportamenti coerenti rispetto allo scopo

Massimo Mercati

L’utile scompare?
No, l’utile diventa il mezzo per raggiungere uno scopo in un quadro di senso. Nel nostro caso il senso è studiare la natura come sistema complesso e capire le risposte che dà alla salute dell’uomo. Risposte che rispettino organismo e ambiente. È un’intuizione che ha un corpo valoriale molto forte e in azienda si traduce in comportamenti coerenti rispetto allo scopo.

A volte sacrificando il profitto immediato…
Più si ha una forte dimensione di significato, meno compromessi si fanno. Alla lunga l’utente lo riconosce e crea una filiera di fiducia che ti permette anche di guadagnare di più reinvestendo il tutto. Si alimenta un circuito virtuoso e valoriale. Anche l’utile cresce, ma bisogna aver presente lo scopo. Altrimenti l’immediato si divora tutto. Anche l’impresa.

Questo accade anche dentro l’azienda?
Dentro e fuori. Nel momento in cui le persone che lavorano in azienda – 1500 in tutto il gruppo – comprendono cosa stiamo facendo, interiorizzano il senso e diventano motori attivi anche al di fuori dell’impresa. Questa interiorizzazione del concetto di valore penso sia il vero punto di svolta. Quando ogni parte sa di far parte di un tutto valoriale al quale compartecipa in forma attiva.

Questa dimensione di senso interroga anche di fronte alla tensione alla solidarietà che vediamo in questi giorni…
Soprattutto perché ci interroga su cosa succederà quando la crisi sarà superata: torniamo come prima o rimettiamo realmente in discussione il concetto di valore? Questo è il bivio in cui ci troviamo.

Un bivio dove bene pubblico e privato inevitabilmente saranno rimessi in questione…
Oggi è evidente che non può più esistere il bene di uno senza il bene dell’altro. La pandemia ci ha fatto toccare con mano che il benessere e la salute sono bene comune. Ci ha fatto capire che la natura non può essere vista come un oggetto da dominare. La nostra impotenza è evidente rispetto alla forza della natura. Ma questo ci deve spingere a cogliere una logica diversa anche per l’economia. Una logica espressa da grandi come Genovesi o Dragonetti che all’ homo homini lupus preferirono l’homo homini natura amicus.

Cogliamo ovunque segni di un cambiamento, ma mancano ancora i presupposti che mettono in evidenza due traiettorie divergenti. Da un lato quella di Hobbes e Adam Smith: una visione di lotta e di conflitto che viene temperata dal Leviatano e dal mercato. Dall’altro, la traiettoria dell’homo homini natura amicus che si svolge attraverso la responsabilità d’impresa, la sussidiarietà circolare e la creazione di valore. Un valore che va oltre i parametri del Pil e si traduce in quella che Fritjof Capra chiama crescita qualitativa. Su queste logiche, una volta comprese, c’è da sviluppare un sistema

Massimo Mercati

Questo cambio di paradigma è stato tracciato dalla Laudato Si’ di Papa Francesco e ripreso dalla scuola di economia civile italiana. Oggi arriva fino a Larry Fink e gli americani…
Sono segni di un cambiamento, ma manca ancora a molti la base culturale. Mancano i presupposti che mettono in evidenza due traiettorie divergenti. Da un lato quella di Hobbes e Adam Smith: una visione di lotta e di conflitto che viene temperata dal Leviatano e dal mercato. Dall’altro, la traiettoria dell’homo homini natura amicus che si svolge attraverso la responsabilità d’impresa, la sussidiarietà circolare e la creazione di valore. Un valore che va oltre i parametri del Pil e si traduce in quella che Fritjof Capra chiama crescita qualitativa. Su queste logiche, una volta comprese, c’è da sviluppare un sistema.

Per esempio lavorando sulla fiducia, in un momento in cui proprio le filiere del valore si sono rotte…
C’è da sviluppare un sistema, come dicevo. In Toscana stiamo creando filiere sostenibili di fornitori, abbiamo sollecitato la creazione di un consorzio per la stampa ecologica, ecoVprint, che poi diventa un brand che può essere giocato a livello internazionale. Un’impresa come la nostra può diventare stimolo e risorsa per la collettività.

Dal punto di vista dell’impresa non sopravviverà il più forte, ma il più adatto. La nostra scommessa è che il soggetto più adatto sia l’impresa vivente, che sa creare valore su tutti i livelli: sul livello del profitto, dell’ambiente e della società. Questa tendenza verrà accelerata dalla situazione che stiamo vivendo. Non solo potremo, ma dovremo perseguire il bene di tutti. Questa è la sfida

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Dobbiamo però lavorare tutti insieme per comunicare questa visione. Una visione che è anche visione dell’uomo. Una visione non riduzionistica. Purtroppo, c’è un mondo scientifico, non solo economico che ancora è schiavo di paradigmi riduzionistici. Andare oltre è il nostro scopo.

Cosa troveremo dopo questa crisi?
La mia sensazione è questo tipo di crisi andrà a incidere fortemente sulla domanda. Credo che il cambiamento debba arrivare dal basso e, oggi, questa crisi ha messo tutti di fronte alla necessità di un ripensamento dei nostri stili di vita. Capra ci ha insegnato che la crescita qualitativa è una crescita selettiva: in natura qualcosa cresce e qualcosa muore. La crescita non è un fenomeno lineare, ma un equilibrio. Dal punto di vista dell’impresa non sopravviverà il più forte, ma il più adatto. La nostra scommessa è che il soggetto più adatto è l’impresa vivente, che sa creare valore su tutti i livelli: sul livello del profitto, dell’ambiente e della società. Questa tendenza verrà accelerata dalla situazione che stiamo vivendo. Non solo potremo, ma dovremo perseguire il bene di tutti. Questa è la sfida.

Aboca, una healthcare company italiana

Nata oltre 40 anni fa a Sansepolcro, in Toscana. Grazie alla sua piattaforma di ricerca unica al mondo, che applica i criteri della Evidence Based Medicine alle sostanze naturali complesse, Aboca sviluppa dispositivi medici e integratori che rispondono ai problemi di salute con un approccio basato sulla Systems Medicine.

I prodotti Aboca non contengono conservanti né eccipienti di sintesi: in tutta la filiera produttiva, dall’agricoltura biologica agli stabilimenti farmaceutici, sono escluse sostanze artificiali e non biodegradabili. La filiera si completa con una distribuzione diretta di tipo selettivo, con il network di farmacie Apoteca Natura e con una formazione continua a medici e farmacisti.

Aboca ricerca con il proprio lavoro anche un beneficio per la comunità e per l’ambiente, operando in maniera responsabile, sostenibile e trasparente. Un impegno sancito formalmente nello statuto di Società Benefit e misurato secondo standard internazionali con la certificazione B Corp. L’impegno di Aboca per il bene comune si concretizza anche nell’organizzazione di eventi di divulgazione scientifica e culturale, nelle attività di Aboca Museum e con le pubblicazioni di Aboca Edizioni.

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