Gino Cecchettin

L’impegno contro la violenza di genere è l’unico modo per far rivivere Giulia

di Ilaria Dioguardi

La decisione di mettersi a disposizione degli altri, per guardare avanti. Una fondazione creata un anno dopo l'uccisione di sua figlia con l'obiettivo, un giorno, di arrivare a zero femminicidi a fine anno. L'esperienza con i detenuti del carcere di Padova. In dialogo con "il padre di Giulia"

Giulia, una figlia uccisa a 22 anni, dall’ex fidanzato Filippo Turetta. La decisione di «trovare un barlume di senso in quanto è accaduto» con l’impegno contro la violenza e per la parità di genere. La nascita della Fondazione Giulia Cecchettin ad un anno dalla sua morte. L’enorme sofferenza per ogni femminicidio: «La scorsa settimana, quando ci sono stati i casi di Ilaria e di Sara, che erano due studentesse entrambe di 22 anni come Giulia, mi sembrava come se fosse successo nuovamente a mia figlia». L’incontro con i detenuti nella Casa circondariale di Padova per «vedere altre prospettive di vita e imparare tanto». Il racconto di Gino Cecchettin, per tutti il “padre di Giulia”.

«Quando leggevo storie di femminicidi ne rimanevo colpito, scosso, ma poi egoisticamente giravo pagina», dice nel libro, scritto insieme a Marco Franzoso, Cara Giulia. Quello che ho imparato da mia figlia (Rizzoli). Adesso cosa prova ogni volta che legge o sente la notizia di un femminicidio?

Non posso che ritornare indietro nei giorni della mia vita, a quel famoso 11 novembre. Soprattutto la scorsa settimana, quando ci sono stati i casi di Ilaria e di Sara, che erano due studentesse entrambe di 22 anni come Giulia. Nel primo sono rimasto stupito, per come possa succedere ancora e ancora… Con il secondo stavo proprio male, non avevo voglia di fare nulla, di lavorare, di ricevere telefonate. Mi sembrava come fosse successo a Giulia nuovamente. A dire la verità, sei anche un po’ disarmato perché pensi che dopo un anno di attività nel quale ti spendi per parlare di violenza, di femminicidi, due casi così ti mettono ko. Poi sono un combattivo, mi dico che il lavoro non è andato perduto, mi rimbocco le maniche e riparto con più forza di prima.

Quale forza interiore l’ha portata ad essere un uomo, sicuramente sofferente, ma non arrabbiato, concentrato sul bello e sulle cose positive, e nell’impegno?

È un po’ difficile da dire, forse è un po’ l’ispirazione che mi dà mia figlia. Giulia si spendeva per il prossimo, rappresentava l’altruismo con un esempio veramente cristallino, esemplare. Ho fatto una considerazione della mia vita. Ho lavorato tantissimo per il benessere della mia famiglia, ma non mi ero mai speso più di tanto per gli altri, non avevo mai impiegato ore della mia vita per il volontariato. E allora mi sono ispirato a Giulia, forse è lei che mi dà la carica e mi dà l’ispirazione a fare questo. Cerco un po’ di assomigliare a lei.

A novembre 2024 è nata la Fondazione Giulia Cecchettin voluta da lei e dai suoi figli Elena e Davide per onorare la memoria di Giulia, figlia e sorella. Uno degli obiettivi della fondazione è fare formazione nelle scuole. Ce ne vuole parlare?

L’ora di affettività è un desiderata che abbiamo tutti, non è detto che ci si arrivi in tempi brevi e il decorso dipende anche dal consenso che si riuscirà a avere e dai risultati di alcuni progetti pilota, che stiamo iniziando adesso. Noi stiamo lavorando tantissimo, abbiamo messo insieme un comitato scientifico fatto da docenti universitari che studiano il problema da molto tempo, da tutta la loro carriera universitaria. Loro creeranno una proposta di valore che porteremo nelle scuole agli insegnanti e agli studenti. Grazie ai supporti telematici riusciranno a fare dei corsi che potranno far capire ai docenti che cos’è la rieducazione alla relazione, che cos’è la violenza di genere e come ci si difende. Probabilmente presenteremo questo corso all’inizio del nuovo anno scolastico 2025-2026, a livello nazionale, e proseguirà.

Secondo i dati del rapporto delle Nazioni Unite i femminicidi nel mondo nel 2022 sono stati 8mila, quasi uno ogni cinque minuti. In Italia, nel 2024, sono state 115 le donne uccise, 99 in ambito affettivo e familiare.

Purtroppo siamo assuefatti ai numeri. Il parlare di morti tutti i giorni non ci scandalizza più. Di ogni morte dovremmo pensare come se fosse un po’ un nostro fratello. Cosa succede quando ci manca un caro? Viene sconvolta tutta la comunità, la famiglia. Dovremmo fare lo stesso per gli altri, solo così si riesce ad empatizzare.

Come si fa a stare accanto al dolore degli altri? Al mondo che le chiede risposte, come se la sua fermezza e la sua risposta al dolore possano essere un appiglio di fronte all’impotenza?

Estraniandosi un po’ dalla propria storia e tenendo, però, fermi i mezzi che ti ha dato l’attraversare una storia del genere. Chiaramente ogni esperienza, allorché dolorosissima, qualcosa ti lascia, anche in termini di forza e di determinazione. Se tu tieni fuori per un attimo il tuo caro e ti concentri su quelle che sono le storie degli altri, riesci quantomeno a mettere la tua forza al servizio del prossimo. È solo così che si riesce perché, se continui a ripensare a quanto è successo a te, non sei utile neanche a te stesso. L’unico modo è quello. E poi ti permette comunque di riattraversare il dolore quando, in alcuni casi, non riesci a non ritornare indietro, che è un modo, di fatto, per rivivere e stare vicino alla persona che ti manca.

Se tu tieni fuori per un attimo il tuo caro e ti concentri su quelle che sono le storie degli altri, riesci quantomeno a mettere la tua forza al servizio del prossimo

L’impegno è l’unico modo per «trovare un barlume di senso in quanto è accaduto», come scrive nel libro?

Il mio impegno è l’unico modo che ho a disposizione per far rivivere Giulia. L’impegno della fondazione è un percorso lunghissimo, ne siamo coscienti, però bisogna pur iniziare, se non si inizia non si ottengono risultati. Io vedo che il fatto di parlarne, di esporsi, ha fatto sì che qualcosa succeda, quanto meno la sensibilità della gente è aumentata. Tutti mi dicono che c’è un “prima” e un “dopo” Giulia. Questo è potuto succedere perché mia figlia Elena si è esposta, ha parlato in un modo magari forte, però ha mosso la sensibilità di moltissime persone. Io con la fondazione mi sono adoperato, ma tantissimi altri hanno continuato a parlare, anche le associazioni stesse, e hanno trovato un po’ di energia in tutto questo. E dovremmo continuare ad andare avanti, finché quella famosa conta delle donne uccise, a fine anno, speriamo diventi zero.

C’è stato un momento in cui lei ha capito che voleva fare qualcosa, che voleva impegnarsi per contribuire ad arrivare a zero donne uccise a fine anno? Oppure è stato un processo?

Forse il giorno stesso che mi hanno dato la comunicazione del ritrovamento di Giulia. Penso sia stato lì perché in quella settimana avevo già vissuto tutto. E sapendo quello che avevo vissuto ho detto: «Mi metto a disposizione degli altri. Questo è il momento».

Qualche mese fa è andato nel carcere Due Palazzi di Padova, ad un incontro con i detenuti della redazione di Ristretti Orizzonti. Vuole raccontarci com’è andata?

L’esperienza in carcere con la redazione di Ristretti Orizzonti è stata molto intensa. Non sapevo cosa aspettarmi. Pensavo, inizialmente, ci fossero carcerati con pene minime, non mi aspettavo di trovarmi persone che avevano anche pene severe, che avevano fatto reati molto gravi. E mi sono trovato davanti, per esempio, degli omicidi. Mi sono sentito subito un essere umano che aveva dei pregiudizi, però parlando con queste persone capisci che, a volte, nella vita si può sbagliare. Ho visto un percorso, chiaramente difficile, che stanno facendo tutti.

Gino Cecchettin e Ornella Favero (direttrice di Ristretti Orizzonti) nel carcere di Padova

Cosa le ha lasciato quell’incontro?

Penso di aver avuto tanto da quell’incontro. Mi ha aiutato a eliminare alcuni pregiudizi che avevo raccolto da una vita, solo per sentito dire. Spero di aver lasciato un po’ della mia esperienza, del mio vissuto. So che hanno poi scritto un articolo, mi hanno invitato di nuovo. Sono felice di incontrare le persone detenute, sono gli incontri di questo tipo che ti fanno vedere altre prospettive di vita, altri punti di vista e ti fanno imparare tanto.

In che modo si può aiutare la Fondazione Giulia Cecchettin?

Il modo migliore per aiutarla, e soprattutto aiutare la causa, è aderire ai suoi valori e comportarsi di conseguenza. Quindi, continuare a parlarne e cercare di arruolare il più possibile persone che capiscano che c’è un modo nuovo di vivere, diverso, non basato sul possesso, sulla gelosia, soprattutto rivolto ai maschi. Ecco, quello è il modo migliore, perché solo così si riuscirà a fare sistema. E poi ci sono anche i modi pratici di aderire, mettendo a disposizione il proprio operato, facendo una donazione. Ma soprattutto si può aderire alla carta dei valori e non stare zitti.

Foto ufficio stampa Fondazione Giulia Cecchettin. Foto dell’incontro nel carcere di Padova di “Ristretti Orizzonti

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