È passato un anno dalla morte di Alexei Navalny e sembra che, in questo periodo, il potere russo abbia cementato ogni azione politica nel paese. Da qui, dall’Europa, appare incredibile che centinaia di milioni di persone in Russia abbiano improvvisamente deciso di tacere. È chiaro che la paura della prigione può costringere una persona a non esprimere pubblicamente le proprie idee, ma nessun potere può impedire a qualcuno di riflettere dentro di sé.
Nell’ex capitale del Gulag, un uomo protesta
Per questo è ancora più sorprendente quanto sta accadendo a Novosibirsk, l’ex capitale del Gulag e un tempo uno dei centri del cambiamento democratico in Russia, prima del colpo di stato autocratico di Putin. In diverse giornate di novembre, dicembre, gennaio e poi il 15 febbraio 2025, nella piazza centrale di Novosibirsk, che dai tempi sovietici porta il nome di Lenin, esce con un picchetto solitario, come vengono chiamate queste manifestazioni, un uomo non più giovane, Vladimir Sukhov.
I picchetti solitari sono ancora formalmente permessi in Russia, ma il loro contenuto non può includere la parola “guerra”, né critiche all’operazione militare speciale o al potere in generale, pena l’arresto immediato e conseguenti procedimenti penali o amministrativi. Per questo il picchetto di Vladimir Sukhov è straordinario: sul suo cartello (vedi foto) si legge “Libertà per Maria Ponomarenko” e una citazione dalle sue dichiarazioni nel secondo processo politico in corso contro di lei, dove è accusata di “aggressione” contro le guardie carcerarie: «L’ultima cosa che ricordo è che sulle scale mi hanno stretto alla gola, poi il cervello si è spento».
Il caso Ponomarenko
Maria Ponomarenko è una giornalista della città siberiana di Barnaul, madre di due figli, riconosciuta come prigioniera politica dall’organizzazione Memorial. È stata condannata a sei anni di carcere per aver diffuso “fake news” sull’esercito russo, con l’aggravante dell’“odio politico”, a causa di un post su Telegram sulla morte di centinaia di persone nel teatro di Mariupol per mano dell’esercito russo. Secondo i media russi in esilio e la stampa occidentale, era nella lista dei prigionieri politici candidati a uno scambio.
Abbiamo parlato con Vladimir Suhov, in esclusiva per VITA, durante il suo ultimo picchetto, sabato scorso.
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Perché continua a uscire per questi picchetti, anche con il freddo (a Novosibirsk, durante i tuoi picchetti, la temperatura è scesa fino a -20°C)?
Perché la società deve rendersi conto che queste proteste nascono forse da una visione diversa della situazione nel Paese, delle sue aspirazioni, delle sfide che affronta la società e della posizione della Russia nel mondo. Questo picchetto è innanzitutto un modo per esprimere un giudizio sulla condizione del nostro sistema penitenziario, sulle ultime sentenze, sull’aumento delle accuse penali che, a mio avviso, non hanno nulla a che fare con la lotta reale alla criminalità, ma servono solo come decorazione. Sto leggendo molta letteratura memorialistica e storica e, confrontando quanto accade oggi con le repressioni sovietiche, arrivo alla triste conclusione che tutto questo ci è già fin troppo noto. Succedeva prima della Rivoluzione del 1917, poi nell’era sovietica e oggi continua: la frattura tra il potere e la società è ancora aperta.
Subisci pressioni da parte delle autorità?
No, no. Almeno, non posso dire di sì.
[Tuttavia, nelle foto si vede la polizia che sta controllando i documenti di Vladimir. È evidente che deve scegliere attentamente le parole e agire con estrema cautela.]
Perché è così importante sostenere Maria e gli altri prigionieri politici, anche a rischio della sua sicurezza e della tua salute?
Tra gli aspetti negativi dello sviluppo del nostro paese ci sono anche alcune tradizioni positive. Un tempo, per volontà del potere supremo, le persone venivano talvolta liberate o amnistiate, anche se avevano commesso degli errori, per un principio di umanità più alto. Ed è quello che desidero anche per Maria Ponomarenko. “In primavera gli uccellini vengono liberati”. Spero che anche nel nostro paese, almeno qualche volta, la giustizia mostri un volto umano.
Grazie mille. A nome della redazione, voglio esprimerle il nostro rispetto, ammirazione e profonda solidarietà.
Non serve. È una cosa normale, secondo la mia visione della vita. Lo considero semplicemente un dovere. Come diceva qualcuno dei grandi: “Fai ciò che devi e accada quel che accada”. Grazie a voi.
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Un uomo fra 140 milioni di russi
Quando a Novosibirsk, in una piazza immensa, al gelo, un uomo di 78 anni sta in piedi da solo, uno tra 140 milioni di russi ridotti al silenzio, per dire con la sua sola presenza che la verità e la giustizia esistono, il valore del suo gesto è immenso. Ma anche a Milano, quasi ogni settimana, la “Comunità dei Russi Liberi” organizza incontri per scrivere lettere ai prigionieri politici russi.
Esprimere solidarietà ai prigionieri politici russi è possibile anche senza uscire di casa: basta inviare una lettera elettronica in qualsiasi lingua. Il team del progetto Letters Across Borders la tradurrà e, se lo si desidera, sarà possibile ricevere una risposta dal prigioniero politico.
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Intervista e foto realizzate con il supporto di Elena Shuvalova, sezione di Novosibirsk del partito “Rassvet”(Alba). cui si devono anche le foto.
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