Europa, populismo, élites. Tre questioni che si incrociano, tre questioni sulle quali fare chiarezza. Abbiamo chiesto al professor Ernesto Galli della Loggia di aiutarci a capire.
L’Europa, o più in generale la parte del globo che viene definita “emisfero occidentale”, è attraversata da un’ondata di populismo. Cos’è e dove affonda le proprie radici tale fenomeno?
Le ragioni sono molteplici. Sostanzialmente io credo che ci sia l’elemento della crisi dello Stato nazionale. Questa crisi, che ci rimanda ad altre ragioni che comportano una serie di decisioni che influiscono sulla vita delle persone, non viene affrontata nell’ambito dello Stato nazionale tradizionale e quindi non è più sottoposta all’approvazione del parlamento e, dunque, all’espressione dei cittadini. Oggi un gran numero di decisioni non sono prese secondo questa procedura e in questo ambito, bensì all’esterno. Ciò avviene anche perché la globalizzazione ha accentuato il potere del libero mercato, generando una concorrenza di livello mondiale che è entrata nella vita degli Stati che invece prima avevano barriere doganali, avevano diversi tipi di protezione che tenevano al riparo le società nazionali dagli influssi esteriori. Tutto questo si è molto allentato provocando un’ondata di disagio che si traduce in una rivendicazione di sovranità nazionale, il sovranismo.
Le rivendicazioni di sovranità nazionale che, sono anche rivendicazioni di sovranità popolare, chiedono che all’interno di un determinato Stato le regole sul come dobbiamo vivere debbano essere fatte dai cittadini di questo Stato. Questa è una rivendicazione che accomuna tutti i populismi e alimenta anche inauditi separatismi che spesso si accompagnano al populismo sovranista.
L’altro elemento fondamentale è la crisi delle élite che si è generata all’interno degli stati nazionali. Tutte le élite tradizionali che hanno dominato gli ultimi 50 – 60 anni della vita europea erano sostanzialmente élite cristiano democratiche o social democratiche; per varie ragioni tali élite sono state conquistate da ideali internazionalisti europeisti, da ideali transnazionali e si sono sempre più integrate in circuiti ideologici che avevano il proprio centro di verità fuori dal proprio Paese, diventando, per l’appunto, élite transnazionali impregnate anche di cultura transnazionale, in genere con un forte segno progressista. Tutto questo le ha allontanate dalle loro opinioni pubbliche e dai loro elettorati tradizionali favorendo politiche transnazionali.
Il populismo è un fenomeno trasversale difficile da collocare all’interno delle tradizioni ideologiche della nostra cultura politica. Sono esistiti a suo avviso dei fenomeni parimenti trasversali a cui l’attuale fenomeno del populismo potrebbe essere accostato per entità e diffusione?
Le nostre tradizioni politiche del novecento sono state fatte fuori con la caduta del muro di Berlino e con “mani pulite”. Due eventi che hanno sostanzialmente azzerato tutte le tradizioni politiche italiane creando un grande vuoto. Non è il populismo che produce questo vuoto, ma è esso stesso un esito di questo vuoto perché, fino al ’92 – ’94 trovava un suo alveo nelle culture cattoliche e comuniste. Quando queste due culture sono scomparse non c’è stato più un alveo in cui il sentimento populista potesse incanalarsi e, quindi, si è solidificato in modo autonomo.
Le culture politiche italiane del novecento hanno tutte avuto una fortissima impronta populista, basti pensare che il Partito cattolico si chiamava Partito Popolare – “popolarismo” – e, come si può ben notare, anche nel nome tra popolarismo e populismo vi è qualche assonanza. Si pensi al mazzinianesimo “Dio e popolo”, un concetto che oggi potrebbe essere fatto proprio da Salvini se ci fosse ancora spazio per Dio nella testa di Salvini.
L’Italia ha avuto una fortissima cultura populista nella tradizione democristiana, cattolica, popolare e comunista. A tal proposito basti pensare le rivendicazioni portate avanti dal Partito Comunista, contro la presenza delle basi americane in Italia e contro l’adesione alla NATO (adducendo motivazioni quali quelle che ci vendevamo ed eravamo succubi e subalterni agli Stati Uniti), in cui vi era un forte elemento di sovranismo nazionale e in cui lo strumento ideologico adoperato era di tipo populista. Sovranità nazionale contro internazionalismo occidentalizzante della Democrazia Cristiana.
Il populismo, quindi, è stato un elemento fondamentale della cultura politica italiana della modernità: della modernizzazione e della modernità. Oggi, però, mancano quegli involucri politici che avevano sì una base populista, ma avevano anche altre componenti. Mancando quegli involucri, il populismo si presenta in modo diverso, autonomo e anche aggressivo perché, appunto, non temprato da altre componenti
L’Italia ha avuto una fortissima cultura populista nella tradizione democristiana, cattolica, popolare e comunista. A tal proposito basti pensare le rivendicazioni portate avanti dal Partito Comunista, contro la presenza delle basi americane in Italia e contro l’adesione alla NATO (adducendo motivazioni quali quelle che ci vendevamo ed eravamo succubi e subalterni agli Stati Uniti), in cui vi era un forte elemento di sovranismo nazionale e in cui lo strumento ideologico adoperato era di tipo populista. Sovranità nazionale contro internazionalismo occidentalizzante della Democrazia Cristiana
Ernesto Galli della Loggia
È evidente che tale fenomeno è ascrivibile alla crisi delle politiche economiche liberistiche e pro globalizzazione. Tuttavia, tali movimenti, spesso propongono soluzioni nazionalistiche. Considerato il nuovo quadro geopolitico, in cui sono emerse nuove potenze come Russia, Cina e India e in cui si sta sviluppando il neo isolazionismo statunitense, l’ascesa dei nazionalismi potrebbe accentuare il frazionamento del quadro europeo all’interno del quale singoli Stati nazionali hanno già difficoltà a confrontarsi autonomamente con questi nuovi attori?L’Europa è già debolissima e non esiste come attore politico se non ad un livello puramente retorico. Non vi è alcuna importante decisione di politica estera presa negli ultimi cinque/dieci anni dall’Europa. Quindi bisogna avere la proprietà intellettuale di smettere di parlare in questo modo, in modo verosimile di una cosa che non esiste. Ci vuole molta fantasia a pensare all’on. Mogherini come attore della politica internazionale.
Questa ondata di globalizzazione a dominanza liberista non ha indebolito tutte le identità nazionali, tutti gli Stati. Ma, come lei ricordava, ne ha favorito alcuni come la Cina e l’India e, nel campo europeo, ha favorito la Germania, seppur in modo molto minore, ma questo per altre ragioni.
Quindi non è vero che questa ondata di globalizzazione ha in qualche modo diminuito tutte le dimensioni nazionali, come possiamo notare ne ha favorito alcune e ne ha danneggiate altre. Questo suscita un forte contrasto contro l’ideologia liberista che si presenta come un qualcosa di cui tutti si avvantaggiano, ma la cosa fa sorgere dei dubbi dal momento che alcuni si avvantaggiano di più. Abbiamo, infatti, visto che negli ultimi quindici anni la Cina si è avvantaggiata molto più dell’Italia o della Spagna e questo è da attribuire al fatto che le condizioni politico sociali non sono uguali dappertutto. La Cina, infatti, non riconosce nessun diritto sindacale agli operai, non riconosce i diritti politici, non ci sono elezioni e, quindi, ha la possibilità di dare bassissimi salari ai propri operai rispetto a quelli europei, producendo così una concorrenza di tipo sleale. Questo è un altro elemento di diversità all’interno del meccanismo che premia alcuni e punisce altri.
L’Europa non esiste, non riesce ad avere una politica estera comune perché non riesce ad avere uno strumento militare comune. Non vi può essere politica estera senza uno strumento militare e, pertanto, non possiamo parlare di un ruolo internazionale dell’Europa
Ernesto Galli della Loggia
Venendo dunque alla domanda, possiamo dire che la politica estera si disegna nel momento in cui non ci sta l’Italia e c’è la Cina. E’ chiaro che quest’ultima conta molto più dell’Italia.
L’Europa non esiste, non riesce ad avere una politica estera comune perché non riesce ad avere uno strumento militare comune. Non vi può essere politica estera senza uno strumento militare e, pertanto, non possiamo parlare di un ruolo internazionale dell’Europa.
Io vedo una prospettiva in cui gli Stati Uniti a tentoni cercano una via d’uscita dalla fortissima perdita di influenza subita negli ultimi dieci anni. Se ci riusciranno o meno, e come lo faranno, è ancora difficilissimo dirlo; mentre l’Europa è sempre più paralizzata. Vi è soltanto un elemento forte nazionalmente che è la Germania che ha una sua politica estera anche se è fortemente andicappata dal non aver uno strumento militare che comunque è compensato dalla forza economica del Paese. Quella della Germania è, tuttavia, una politica estera che in qualche modo tende a tutelare i suoi interessi economici e a costruirsi un’area di influenza molto forte nell’Europa orientale, un rapporto di buon vicinato con la Russia. Ciò, nel lungo periodo, potrebbe rappresentare di fatto una egemonia Russa sull’Europa, considerando pure che la Russia detiene i rubinetti dell’energia.
La prospettiva per gli Stati Uniti è da definire un grande punto interrogativo, mentre per l’Europa è una prospettiva che comincia a colorirsi di grigio.
Dal populismo potrebbe nascere una nuova classe dirigente, l’élite del futuro?
Vedendo il personale politico che finora il populismo è riuscito a reclutare, mi pare difficile che possa nascere qualcosa di importante, di significativo e di autorevole. Il populismo attuale, rispetto a quello storico italiano, ha una caratteristica molto negativa, un aspetto plebeo, che si tramuta anche nel carattere molto plebeo dei suoi esponenti politici che lo rivendicano facendo esibizione dello stesso. La felpa di Salvini è una tipica espressione della volontà di introdurre un’immagine plebea, contraria alla cravatta e alla grisaglia che era il costume tipico della classe politica tradizionale. I populisti hanno bisogno di far vedere che loro sono diversi e pertanto Salvini, non potendo vestirsi da contadino padano, non gli rimane che la felpa con su scritto Milan.
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