Italian Social District

L’economia del welfare per fermare la fuga dei giovani dal Piceno

di Redazione

Il viaggio nei distretti sociali italiani che Vita sta percorrendo insieme al sociologo Aldo Bonomi, per la sua quinta tappa, ci ha portato nel Piceno, in provincia di Ascoli, dove è nato un hub che unisce sociale e impresa

Il Piceno e la provincia di Ascoli sorgono su una faglia storica e geografica. Da qui passava la frontiera fra Stato della Chiesa e Regno di Napoli, qui scorre il Tronto, il fiume che separa le Marche dall’Abruzzo, questo era il confine settentrionale della Cassa del Mezzogiorno. E se dall’asse nord-sud guardiamo a quello est-ovest, ecco emergere un’altra crepa. Di là sulla costa, San Benedetto del Tronto. Di qui, poco più di trenta chilometri all’interno, Ascoli Piceno. Di là una città che non ha mai fatto vanto della sua storia, una città sorprendentemente in crescita demografica (grazie anche all’arrivo delle popolazioni dell’interno vittime del terremo) che sta cercando di sostituire l’antica vocazione della pesca, con un turismo familiare poco spendaccione, ma spesso fedele. Di qui uno dei più bei borghi d’Italia, il vecchio capoluogo signorile e per certi versi feudale, sempre meno popolato, che fatica ancora oggi a farsi una ragione della fine dell’epoca dei finanziamenti a pioggia della Casmez e del rinsecchimento delle casse delle pubbliche amministrazioni che tanta occupazione hanno dato da queste parti. A collegare i due poli, oltre al raccordo autostradale, una ferrovia e una linea di autobus molto poco utilizzate.

Eppure come documenta la recente “Analisi dei fabbisogni del territorio” ben curata dall’università Politecnica delle Marche su mandato della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli c’è un’istantanea che lega assieme questo crocevia: «L’immagine di un territorio debole dal punto di vista economico e con fragilità sociali che, sebbene non emergano in modo marcato al pari di quelle di natura economica, potrebbero diventare sempre più evidenti in un prossimo futuro». Continua il documento: «Un primo e rilevante elemento di criticità è rappresentato dagli andamenti demografici particolarmente negativi, che stanno portando ampie porzioni del territorio – soprattutto nell’entroterra – in una direzione di progressivo spopolamento… In tale contesto, il tema della “fuga dei giovani” dal territorio (soprattutto dei soggetti con elevata scolarizzazione) assume un’importanza centrale e rende opportuno ragionare sui processi da innescare per fare in modo che le nuove generazioni trovino opportunità professionali in questa area e scelgano di sviluppare qui i loro “progetti familiari”. Creare le condizioni per un mercato del lavoro più dinamico e attrattivo potrebbe così rappresentare una possibile chiave per la rigenerazione non solo economica, ma anche sociale del territorio». Mai come in questo territorio e in questa epoca, occorre dunque creare “luoghi comuni”.

Da dove partire, allora? A gettare il sasso nello stagno è stata proprio la Fondazione Carisap che a novembre ha definito gli indirizzi, gli obiettivi e le linee strategiche per il prossimo triennio 2020-2022 con una grande novità: l’inaugurazione di una linea di fondi dedicata espressamente allo sviluppo locale. Una scelta che arriva da lontano. La costituzione dell’associazione della Bottega del Terzo Settore nel dicembre 2016 con l’inaugurazione della sede il primo ottobre dell’anno successivo insieme all’elezione a grande maggioranza al vertice della Fondazione di un giovane imprenditore come Angelo Davide Galeati nel febbraio 2018 sono stati passaggi cruciali nel gettare le basi di una concezione innovativa di sviluppo imprenditoriale fortemente orientato al sociale e basato su un modello originale di welfare di comunità.

Galeati, 42 anni è uno dei due amministratori delegati del caseificio di famiglia Sabelli spa, una delle poche aziende dell’area che in questi anni non ha smesso di assumere. L’altro amministratore delegato è il cugino di Galeati, Simone Mariani, presidente della Confindustria locale che riunisce Ascoli Piceno e Fermo. È di Galeati la scelta di affiancare al segretario generale della Fondazione Fabrizio Zappasodi una vera e propria direzione d’area strategica, ricerca e pianificazione affidata a Marco Perosa che ha curato la lunga fase di audit e ascolto del territorio da cui è nato il piano di azione. Piano che si dovrà sviluppare, precisa Galeati (lo incontriamo nel suo ufficio al primo piano della sede che Fondazione Carisap condivide con la Bottega del Terzo Settore a due passi da piazza dell’Arengo), «sostenendo preferibilmente l’avvio di nuove forme sostenibili di impresa sociale, in grado di generare benessere al di là delle risorse stanziate dalla Fondazione, favorendo la costruzione di reti collaborative e la coprogettazione per produrre un effetto moltiplicatore di ricaduta sul territorio». «Inoltre», aggiunge il presidente, «occorrerà introdurre meccanismi di valutazione degli impatti generati». Una piccola rivoluzione all’interno di un motore, quello di una Fondazione da 300 milioni di attivo patrimoniale, che la continuità dei 17 anni della precedente presidenza, avevano reso molto affidabile e rodato, «ma che» è sempre il suo successore a parlare, «aveva bisogno di cambiare marcia per poter rispondere in modo più elastico ed efficiente all’emerge di bisogni nuovi come appunto quello occupazionale e alla fuga dei giovani. Da qui la necessità di massimizzare l’effetto dei nostri interventi avendo ben presente che sviluppo locale e welfare privato non possono che innovare operando su un piano comune». Conclude Galeati: «Jeff Bezos con Amazon ha saputo registrare prima di tutti un bisogno, immaginare una soluzione e farsi trovare pronto quando il bisogno è diventata una domanda di mercato. Lo dico da imprenditore: noi dovremo fare lo stesso con le imprese sociali che sapremo formare e avviare sul territorio. È un rischio e una sfida. Ma faremo di tutto per vincerla».

“L’esplosione” della Bottega del Terzo Settore è già un primo segno tangibile. Dagli undici fondatori, i soci ormai sono quasi 150, «una bella fetta delle circa 800 organizzazioni del Terzo settore maggiormente attive sul territorio. E nei prossimi mesi cresceremo ancora», prevede il presidente dell’associazione Roberto Paoletti. Oggi questo spazio rigenerato dopo la chiusura del cinema Olimpia è diventato un vero e proprio hub di innovazione sociale a disposizione dei soci, ma anche della città.

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Un co-working, uno spazio multimediale, un’area lab: è in questo perimetro che nel solo 2018 si sono registrate 12.583 visite, 108 eventi, 105 riunioni e 50 conferenze stampa. Dalla scuola di cooperazione alla formazione sul fundraising, dagli incontri con le aziende profit del territorio ai corsi di trasformazione digitale e di change management tenuti in collaborazione con Techsoup («è un luogo estremamente vivace», conferma il ceo di Techsoup Italia Davide Minelli) «l’obiettivo», ragiona Paoletti, «è quello di sostenere una nuova generazione di imprenditori sociali che possano immaginare strade nuove al di là della crisi del manifatturiero e al di fuori dalla dinamiche del finanziameno pubblico».

In questa galassia è rappresentata una grossa quota la food economy. È il caso di Ama Terra, la fattoria bio-sociale nata nell’alveo di Ama Aquilone, l’impresa sociale che a Castel di Lama gestisce 6 comunità di accoglienza (per psichiatrici, adolescenti e tossicodipendenti). Con il sostegno della cooperativa Officina 1981, l’impresa agricola che già oggi sta dando lavoro a dieci persone e fatturando circa 200mila euro (grazie alla vendita diretta e via internet), si occupa della coltivazione in biologico di 30 ettari di terra e alleva suini e bovini allo stato brado.

A metà strada fra la riviera delle Palme di San Benedetto del Tronto e Ascoli Piceno invece, nel comune di Spinetoli, c’è un ristorante che per il secondo anno di fila ha ottenuto il prestigioso inserimento nella guida Slow Food. Non solo. Se provate a digitare locanda Centimetro Zero su Tripadvisor scoprire che è la prima in classifica quanto a recensioni digitali. Qui lavorano 15 ragazzi in borsa lavoro, tutti dai 20 ai 40 anni, con disabilità intellettive, più o meno gravi, sindrome di down, autismo. Martina, Veronica, Giulia, Francesca, Clarissa, Davide, Fabio, Daniele, Marino, Gabriele, Costantino, Riccardo, Emidio, Alessio e Lorenzo si prendono cura dell’orto e degli arredi, della cucina e della sala, dei clienti. Lavorano 20 ore a settimana, tre giorni su sette. «Non è stato facile formali, per loro è importante avere e riconoscere una guida e lavorare in un ambiente conosciuto, ma presto credo alcuni siano pronti per andare a lavorare in altri ristoranti, magari sotto la nostra supervisione, ma con una buona dose di autonomia», spiega la responsabile del progetto Roberta D’Emidio.

Il Pas è un primo mattoncino che va nella direzione indicata da Galeati e Paoletti. Pas sta per Polo Accoglienza e Solidarietà e si trova a ridosso del centro storico di Ascoli Piceno. È stato inaugurato a metà ottobre ed è stato costituito con il supporto della Fondazione e della diocesi da un network di dieci associazioni (di diversa estrazione culturale e dimensione), che prima dell’inaugurazione erano diventate già 17. A uno sguardo di superficie potrebbe essere qualcosa di già visto: mensa, centro diurno (il primo in città), distribuzione di vivere e vestiti, docce, barbiere, centro d’ascolto a cui presto si aggiungeranno un ambulatorio, 2 poltrone dentistiche e un dispensario farmacologico. «In realtà», interviene il presidente di Pas Giuseppe Felicetti, «questa è soltanto la prima soglia e la modalità per rispondere all’emergenza povertà che viviamo, ma noi vogliamo fare non uno ma due passi in avanti: il primo è quello di mettere a disposizione della città questi spazi partendo dalle scuole in modo che non siano un luogo a se stante, ma uno spazio fruito dalla comunità. Il secondo passaggio sarà quello di creare meccanismi di reinserimento sociale e occupazione anche grazie alla rete e alla formazione di Bottega del Terzo Settore».

Insomma un presidio sociale «che si deve evolvere in un’ottica di rete e di sviluppo locale», chiosa Felicetti. Un’impostazione che fa il paio con quella di Franco Zazzetta che, oltre ad essere vicepresidente della Bottega del Terzo Settore, è il presidente della cooperativa sociale Primavera di San Benedetto del Tronto: con il progetto La fabbrica dei Fiori impiega stabilmente 9 persone di cui 7 con disabilità mentali impegnati nella coltivazione in serra di piante da fiori e di fiori in vivaio destinati alla vendita diretta oltre che in attività di manutenzione di parchi e giardini presso committenze private. «Considerando il turn over dei soggetti titolari di borse lavoro e gli assunti diretti, possiamo dire che l’intervento coinvolge almeno 35 giovani con disagio sviluppando complessivamente 8mila ore circa di lavoro assistito», specifica Zazzetta. Che aggiunge: «Per conservare la sostenibilità economica sempre di più dovremo emanciparci dal circuito dei servizi pubblici stando sul mercato e creando alleanze con soggetti non profit e profit come abbiamo fatto per un verso con Ama Aquilone grazie alla rete di Bottega e per l’altro verso con Conad e Brosway».

Ad accompagnare questa trasformazione l’università Politecnica delle Marche. «Io credo», esordisce il rettore Gian Luca Gregori, «che noi debbiamo fare un investimento forte nei confronti delle imprese che si occupano di welfare. Un pezzo di futuro dell’economia della nostra terra passa da qui. L’obiettivo è quello di creare una vera e propria economia di comunità, dove profit e non profit parlino una lingua comune. In un tessuto dove il 99% delle aziende hanno meno di 50 addetti l’ipotesi di creare meccanismi di collaborazione sistemici non è scontata. Ma è una via che, di fronte alla crisi dei distretti industriali tradizionali, non può non essere esplorata».

Una posizione confermata dai fatti: dallo scorso luglio lo stabilimento della Pfizer di Ascoli Piceno si è dotato di una responsabile della Ssr, ovvero della “site social responsability”, una sorta di csr a chilometro zero. La funzione è stata assegnata a Serena Minischetti. Per il comune piceno la fabbrica della multinazionale del farmaco americana rappresenta il maggiore polo occupazionale con i suoi circa 700 dipendenti, che con l’indotto arrivano a superare il migliaio. «La “felicità” di un’azienda è determinata anche dal contesto», spiega la resposnabile, «per questo è fondamentale il grado di soddisfazione delle comunità a cui noi dobbiamo contribuire. Tra i nostri obiettivi c’è quello di fare la nostra parte affinchè i colleghi possano lavorare nella maniera più serena possibile. Oltre a varie misure di welfare già esistenti in stabilimento, ci stiamo guardando intorno a livello locale per capire come possiamo aiutare i colleghi, soprattutto nel bilanciare vita lavorativa e vita privata, ad esempio con supporti per assistenza di familiari con problemi di salute, rete di baby sitter qualificate da chiamare in caso di necessità».

«Non siamo di fronte a quelli che abbiamo chiamato distretti sociali ma ad un progetto sociale di coalizione di area vasta. Siamo in presenza di un territorio che alza lo sguardo, dove non si resta trincerati dentro le rispettive “oasi”, ma si incomincia a capire che l’identità non sta solo nei soggetti ma nelle relazioni», sottolinea il sociologo Aldo Bonomi. «Nell’area vasta del Piceno», continua «il sociale ha intercettato alcuni attori forti, come la Fondazione, che è stata capace di staccarsi dalle logiche della finanziarizzazione e ha rivolto le sue attenzioni al territorio; o l’università Politecnica che sotto la guida di Gian Luca Gregori lavora a rafforzare le competenze per un’economia di comunità varando l’Accademia del Non profit. Ma tra gli attori forti non bisogna dimenticare la diocesi e la rete del commercio equo solidale. È un tessuto di innovazione dall’alto che incrocia una spinta di innovazione dal basso e che trova nella Bottega del Terzo settore il luogo dove fare condensa».

«Questo “sociale coalizionale”», conclude il sociologo, «arriva anche ad interrogare la grande multinazionale farmaceutica, soggetto chiave nell’economia del territorio con i suoi 700 addetti; una grande impresa che ha scelto di rapportarsi con il Terzo settore nella prospettiva di far crescere il welfare aziendale sui temi della non autosufficienza e dei figli dei dipendenti. Obiettivi ambiziosi resi possibili solo se si continua a investire su questo processo di consolidamento delle coalizioni tra diversi attori».


Nella foto di copertina i ragazzi delle foto di queste pagine hanno partecipato al programma “Crescere Innovatori-Noi al centro” promosso in Bottega del Terzo Settore in collaborazione con Ashoka

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