Pnrr: il grande nodo del Piano oggi è la sua effettiva “messa a terra”. Quale contributo concreto possono dare le fondazioni affinché un importo così rilevante di risorse diventi reale risorsa per le comunità?
Le fondazioni che potranno dare il contributo più incisivo saranno quelle capaci di operare in un’ottica di leadership partecipata. Questo significa passare dalla logica meramente erogativa ad un nuovo modello di rete, dove tutti i nodi convergono verso un obiettivo di bene comune, introducendo ognuno le proprie competenze tecniche, relazionali, finanziarie e progettuali. Il ruolo strategico delle fondazioni, oggi, è quello di implementare queste reti, lavorando come “agenti di sviluppo e di valorizzazione”. Non a caso il Pnrr prevede, in particolare per la Missione 5 dedicata a “inclusione e coesione”, un approccio integrato e sistemico, un reciproco scambio di competenze ed esperienze tra pubblica amministrazione e Terzo settore. Possiamo dire che il Pnrr comporterà un’accelerazione e potrebbe determinare una svolta nell’attuazione della Riforma del Terzo settore, soprattutto in ambiti come servizi sociali, disabilità e marginalità, rigenerazione urbana, sport e inclusione sociale. Quindi il contributo delle fondazioni è aggregare su obiettivi specifici di sviluppo sociale ed economico, mettere a disposizione credibilità e solidità, coraggio di sperimentare, capacità strategica e progettuale, orientando tutti verso una logica di misurazione di impatto. Con quali criteri verrà effettuata la distribuzione delle risorse? Come parteciperanno i territori e la società civile? Questo è un altro tema centrale. Credo sia necessaria una rivoluzione culturale, un cambio di mentalità. Il problema vero non è il controllore, ma il controllato. Mi spiego. Fino a quando dovremo immaginare un’entità terza pronta a scovare pecche e lacune, non saremo veramente liberi di osare, di esprimerci, e anche di sbagliare. Il principio fondamentale, a mio modo di vedere, è la corresponsabilità. Coprogettare significa individuare problemi, soluzioni ed azioni condivise, dove ogni organizzazione coinvolta mette del suo per il raggiungimento di risultati positivi, per se stessa e per la comunità. Coprogettare significa assumersi responsabilità precise, essere protagonisti del proprio operato, non subirlo. In quest’ottica, è il singolo attuatore di un pezzo di progettualità che ha interesse a valutare ed essere valutato nel merito delle proprie azioni. Ma perché tutto questo si realizzi serve un ingrediente fondamentale rappresentato dalla fiducia. E per generare fiducia bisogna ripartire dai legami di comunità.
Innovazione: per la fondazione che presiede questo termine cosa significa in concreto nel rapporto con le comunità di riferimento?
L’innovazione, come l’economia, fiorisce dentro un rapporto, uno scambio, una relazione: per innovare, dobbiamo per forza ripartire dalla comunità. Ne consegue che l’impegno della fondazione per l’innovazione individua nella coesione il substrato dello sviluppo sostenibile. La Bottega del Terzo settore incarna questo ideale di fondazione che sta insieme alla società civile, non al di sopra o al di sotto, ma accanto, insieme. Ogni giorno abbiamo giovani che studiano, lavorano, progettano insieme nello stesso luogo dove ci troviamo a lavorare. È da questa contaminazione che si può generare innovazione. Da soli non solo si perde, ma si procura anche la sconfitta dell’altro. Molti centri urbani nel mondo, tra cui Parigi, Barcellona, Milano, stanno facendo passi avanti in questa direzione, in cui innovazione sociale, beni comuni, comunità locali e lavoro diventano parole chiave di una progettualità che accorcia le distanze, intrecciando costruzione e rigenerazione.
Coprogettazione: come pensa di favorire l’implementazione di questo modello di policy nel rapporto con Terzo settore e pubbliche amministrazioni
La coprogettazione è, insieme alla valutazione di impatto, lo strumento che la fondazione ha individuato come cardine nella definizione degli obiettivi programmatici per il triennio 2020-2022. È uno strumento delicato, ma decisivo nell’ottica dell’ottimizzazione di competenze, risorse, esperienze, risultati. Consapevoli della difficoltà di superare e di far superare barricate e resistenze, di uscire e di far uscire dalla propria “comfort zone”, abbiamo prima studiato e ci siamo formati a Milano, poi abbiamo messo in pratica creando Tavoli di coprogettazione su temi come assistenza domiciliare integrata, lavoro per i disabili, contrasto alla povertà educativa minorile. Le valutazioni in itinere di questi interventi ci rivelano risultati straordinari, di cui renderemo conto nel prossimo bilancio sociale. Non solo. Nel corso del 2021 la fondazione ha presentato, insieme al Comune di Ascoli Piceno, una coprogettazione sociale nell’ambito del “Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare”, a cura del ministero delle Infrastrutture e dei trasporti volto alla riduzione del disagio abitativo, culturale e della coesione sociale. Abbiamo ottenuto un finanziamento di 90 milioni di euro grazie al progetto-pilota “Forme dell’abitare in Ascoli”, classificatosi al sesto posto assoluto in Italia, che contribuirà in modo decisivo alla rigenerazione del centro storico di Ascoli Piceno.
Impresa sociale: può essere davvero l’architrave di un nuovo modello economico? Come le fondazioni possono costituire un fattore di spinta su questo fronte?
Il modello economico della massimizzazione del profitto è risultato fallimentare, lo sappiamo. L’impresa sociale nasce dalla consapevolezza della necessità di sviluppare un’economia che non sia solo alternativa al capitalismo, ma sia un nuovo modo di produzione di valore, dove il profitto rimane un elemento che serve a fare impresa, ma non è l’obiettivo ultimo. Senza dubbio, le imprese sociali sono strategiche per superare la dicotomia Stato- mercato. Come possono le fondazioni sostenere le imprese sociali? Attraverso l’inclusione. Se il metodo per generare valore postula l’inclusione, ciò significa che la più grande sfida è quella di ridisegnare le istituzioni in senso inclusivo. Non sto parlando solo delle fondazioni e degli Enti del Terzo settore, bensì di quelle economiche, e di quelle pubbliche, spesso condizionate da una visione del consenso. Ridisegnare le istituzioni, includere, è una responsabilità di tutti.
Le priorità: quali sono i bisogni del territorio che sentite come prioritari nei prossimi anni e su cui farete i maggiori “investimenti"?
Nel 2022 apriremo una strutturata procedura di ascolto della comunità per capire, insieme, dove è più urgente intervenire. Al di là dei singoli ambiti di intervento, che definiremo con il coinvolgimento degli stakeholder, direi che la Fondazione deve continuare a lavorare per divenire essa stessa un investitore territoriale e locale, continuando a tessere reti di prossimità capaci di generare capitale sociale, attraverso progetti condivisi che producano un ripensamento degli spazi in cui le nostre comunità studiano, s’incontrano, lavorano e crescono, rigenerando e rivitalizzando le periferie ed i centri storici, implementando progetti di housing sociale, di assistenza domiciliare ai più fragili, di contrasto alla povertà. Nel nostro territorio l’indice di dipendenza strutturale è arrivato 60 punti, ossia ci sono 60 individui a carico su 100 che lavorano. Questo dato deve richiamare tutti ad una chiara assunzione di responsabilità, per un impegno comune a generare non tanto nuovi posti di lavoro, ma nuovi imprenditori e nuove visioni condivise per rafforzare il tessuto produttivo esistente.
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