Riappropriarsi degli spazi pubblici per denunciare discriminazioni, violenze e molestie di strada. Questo avviene da diversi anni a Marsiglia dove i muri sono stati ricoperti da una nuova forma di comunicazione di massa, la street art, considerata il più diretto mezzo d’azione femminista.
Ed è con il film “J’irai crier sur vos murs (Griderò sulle vostre mura)” che le registe marsigliesi Charlotte Ricco ed Elodie Sylvain hanno voluto raccontare come le donne, vestendo i panni di nuove messaggere, si appropriano dello spazio pubblico dando vita a processi creativi che puntano e arrivano all’azione, sollevando una semplice domanda: “L‘uso dello spazio pubblico, al crocevia tra pratica artistica e azione militante, può scuotere la realtà?”.
Essere donna oggi pone un problema. In qualunque parte del mondo. Dobbiamo, quindi, cominciare a educare i ragazzi sin da piccoli, aiutandoli a capire che non ci sono “cose da donne”
– Charlotte Ricco, regista marsigliese
Spesso i libri, i film, le produzioni artistiche nascono dall’esigenza personale di raccontarsi, comunque portano con sé esperienze vissute in prima persona. Così è stato anche per questo film?
Sono figlia unica di genitori che mi hanno fatto fare ogni esperienza. Per me era tutto possibile, pensavo veramente che tra uomini e donne non ci fossero disparità. A poco a poco, però, mi sono accorta che la realtà era molto diversa. Quando metti gli occhiali del femminismo, del sessismo, vedi molto chiaramente le differenze, anche nelle più piccole cose. Solo quando ho avuto 20 anni ho scoperto il femminismo, quindi tardi rispetto alla media. Ero andata a una riunione del “Centro informazione diritti donne e famiglie” in Francia, dove sono entrata in contatto con l’Ong Mediter che lavora su questi temi, conoscendo Elodie Sylvain con cui è nata questa collaborazione che dura tutt’ora. Insieme, infatti, abbiamo deciso di fare un progetto con le donne tunisine e libanesi. Poi, è arrivato un momento di depressione personale causato da un lavoro stressante. Volevo cambiare e, attraverso un’associazione di mobilità internazionale, ho partecipato a un progetto in Egitto. È allora che ho percepito veramente cosa volesse dire essere donna. La street harassment, il fenomeno delle molestie per strada, lo avevo conosciuto in Francia, ma in Egitto sono stata rimessa al mio posto di donna vittima degli uomini perché, già solo camminare per strada, era molto difficile. Tutti i colleghi e le colleghe mi dicevano di prendere il taxi per muovermi, ma non potevo crederci. Ti sembrava di essere nuda tanto erano pesanti gli sguardi degli uomini. E quelle nei miei confronti non sono state solo molestie verbali. Ancora più pesante essendo una donna europea che non portava il velo. A dire il vero, anche il velo non protegge in strada perché la maggior parte delle donne in Egitto subisce ogni tipo di molestia. È l’essere donna che pone un problema. Era anche il momento della rivoluzione egiziana, gli anni a cavallo tra il 2011 e 2013, quando tutti dicevano che il popolo doveva essere unito. Eppure le donne che uscivano a lottare venivano attaccate dalle stesse loro famiglie che dicevano che la strada non era il posto giusto in cui stare. Ci sono stati anche diversi stupri collettivi che non sono stati denunciati.
Da tutto questo, anche la percezione del suo essere donna è cambiata?
Era la prima volta che percepivo una differenza. Toccavo con mano che le donne non venivano trattate allo stesso modo degli uomini, quindi ho pensato che fosse il momento di passare all’azione decidendo di fare un film sulle donne egiziane che, in quel momento, si volevano aprire e raccontare. Un’esperienza fortissima che, una volta tornata a Marsiglia dopo due anni, ho deciso di portare avanti e sviluppare insieme a Elodie.
In quel momento decidete di lavorare sullo spazio pubblico.
Si, incontrando donne che facevano painting legale e illegale per dire come si può e si deve essere donne in questo mondo maschilista. Volevamo capire se la libertà delle donne di essere grafic artist dipendeva dalla libertà che c’era nei loro Paesi. Per esempio, in Marocco abbiamo trovato solo due donne che lavoravano con la street art, ma lo facevano nascondendosi. A Stoccolma, invece, ce ne sono di più; comunque tutte, in qualunque parte del mondo, dicono la stessa cosa: “Il patriarcato esiste in ogni dove, cambia solo il livello con cui si esercita”.
Un mondo, una realtà svelatasi con il tempo.
Quando ho scoperto tutto questo, è diventato per me fondamentale parlarne, denunciare. Vivendo con le donne nello spazio pubblico, maturi un’altra coscienza. Ecco la genesi di questo film che stiamo portando in giro e che ha avuto il capoluogo siciliano tra le ultime tappe grazie al progetto “Palermo chiama Marsiglia”, promosso da un gruppo di realtà, tra cui Mediter Italia, l’Institut français Palermo, l’UdiPalermo, il Dipartimento Culture e Società dell’Università degli studi di Palermo, l’associazione “Mala fimmina” e il Collettivo Medusa.
Volevamo non solo mettere in luce le donne artiste, ma anche quelle che scrivono messaggi femministi per strada. Ancora più diretto e funzionale al nostro lavoro il messaggio molto forte che ho visto su un muro di Marsiglia: “Qui c’è stato uno stupro“. Ti fa pensare che, in un luogo familiare, dal quale passi ogni giorno per andare a scuola o al lavoro, per fare una passeggiata, da sola o con i tuoi bambini, è accaduta una tale atrocità. Purtroppo quel messaggio è stato cancellato dopo poche ore e non abbiamo potuto sapere chi fosse stato. Ecco anche perché siamo andate avanti.
Da lì avete cominciato a interrogare le mura delle città…
Ci siamo chieste cosa volevano dire le mura davanti alle quali passavamo tutti e tutte ogni giorno. Siamo partite dalle donne che vivevano nei pressi, nel centro città di Marsiglia, per poi incontrare altre provenienti dal resto della città, per esempio le periferie dove la cultura non trova sede. Ognuna ha detto la sua e ha dato il proprio contributo. A Palermo, poi, grazie a ’Ndrame, artista pugliese da anni residente a Marsiglia, il contributo è arrivato da 400 studenti e studentesse delle scuole del capoluogo siciliano che hanno realizzato un collage urbano su uno dei muri dei Cantieri Culturali alla Zisa, dove è stato presentato il film. Un lavoro che, anche attraverso un video sul lavoro fatto, testimonia la forza di messaggi che nascono dalla sinergia.
Il film ha cambiato qualcosa?
Non so se ha cambiato qualcosa, ma quello che ho visto e che mi ha colpito è che ha fatto capire che si può scrivere sui muri utilizzando la tecnica del collage in maniera molto semplice: basta un foglio, pittura nera e, per la colla, acqua a farina. Ora so che anche io, che non sono artista, posso dire qualcosa in maniera molto semplice, utilizzando i muri della mia città. L’anno scorso, in occasione della “Giornata contro la violenza sulle donne”, il 25 novembre, la municipalità di Marsiglia ha fatto la sua comunicazione riprendendo lo stile del collage, quindi questo ci ha fatto capire che si tratta di una modalità espressiva che arriva e viene condivisa. Hanno tutte compreso che chiunque può fare lo stesso, ma soprattutto essere orgogliose del fatto che, ripassando da quel muro, l’indomani, troveranno il tuo messaggio ancora lì. Lo si può fare senza appartenere a nessun collettivo, ad alcuna associazione, solo come donne e, perché no, magari anche uomini, senza aspettare l’8 marzo o il 25 novembre. Il film vuole lanciare questo messaggio raccontando, da una parte l’azione, dall’altra cosa succede il giorno dopo. Purtroppo ci sono uomini che continuano a giustificare chi uccide, perchè “era una brava persona, chissà cosa gli era successo”. Ribadiscono che quel femminicidio era una conseguenza dell’amore. È assurdo, ma siamo ancora davanti all’idea che si può morire di passione. Se lo Stato non capisce che deve investire sull’educazione, su campagne di informazione che occupino gli spazi degli autobus, delle metropolitane, i muri delle città, non cambierà molto.
Qual è la situazione in Francia?
In Francia la polizia che viene chiamata dalla vittima di violenza, per fare qualcosa, deve trovare la flagranza di reato. Diversamente, la donna non viene creduta. Poi, a lasciare la casa, anche se ha figli, deve essere lei e non l’uomo. Assurdo, ma vero. In Spagna, per esempio, è l’uomo violento che viene allontanato e, sia quelli condannati sia quelli sotto sorveglianza, indossano tutti il braccialetto elettronico. Ovviamente, se non consideri tutto questo, le molestie e le violenze non finiranno mai.
Un altro problema della Francia è anche non ci sono case a indirizzo segreto. A Marsiglia ce n’è una sola e ovviamente non è sufficiente. Ci sono luoghi di emergenza, nei quali una donna, specialmente se con bambini al seguito, non può andare perché si troverebbe coinvolta in situazioni di violenza di strada che non può e non deve affrontare. Così è costretta a rimanere a casa con il marito o compagno violento. Le associazioni fanno quel che possono, considerato che i finanziamenti sono pochi e cambiano da territorio a territorio.
Cosa si aspetta da questo film?
Vorrei che creasse coscienza rispetto al fatto che le donne sono ancora e sempre di più vittime di tabù, disuguaglianze, violenze di ogni genere. Mi piacerebbe soprattutto che ci fossero più uomini a vederlo, differentemente da quel che accade. E che desse la forza alle donne di non avere paura, riprendendosi le strade.
L’esperienza fatta in questi anni, girando anche il mondo grazie ai suoi lavori, cosa le fa credere sia necessario?
Credo che bisogna lavorare anche sui più piccoli perché, per esempio, riflettevo l’altro giorno con una ragazza sul fatto che, quando si entra in una scuola elementare, le bambine vanno in bagno da una parte e i bambini dall’altra. La riflessione veniva dopo avere sentito sua figlia dire: “A casa, papà va nel bagno della mamma. Perché a scuola è diverso?”.
Creiamo le differenze già in tenera età. È ovvio che siamo diversi, uomini e donne, ma anche tra persone dello stesso sesso; del resto, io non vorrei essere uguale a nessuno e nessuna, ma dobbiamo trovarci insieme nei valori, quelli universali. Vedo che per le ragazze, adottare atteggiamenti maschili le fa sentire belle e forti, cosa che non avviene nei maschi, per i quali per esempio se giocano con le bambole vengono criminalizzati. Dobbiamo aiutare i ragazzi a capire che il mondo delle donne non è inferiore al loro. Farli mettere nei panni delle compagne, delle amiche, delle mogli eviterebbe di far dire loro un giorno: “Non capisco, non mi interessa perché sono cose di donne”.
Le foto e i video sono gentilmente concessi dalle registe e dall’ufficio stampa del progetto “Palermo chiama Marsiglia”
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