Giuseppe Guerini è il presidente delle cooperative sociali di Federsolidarietà (il comporto sociale aderente a Confcooperative) e portavoce dell'Alleanza delle cooperative sociali italiane, nonchè membro del Cese-European Economic and Social Committee. A lui abbiamo chiesto un commento all'inchiesta che apre il numero di Vita di giugno che dimostra come i livelli occupazionali del Terzo settore abbiamo tenuto, malgrado il morso della crisi più ampia dell'era industriale. Ecco le sue risposta
Le Cooperative sociali aderenti a Federsolidarietà contano 227.100 occupati + 23,4% negli anni 2008/2016. È un dato in clamorosa controtendenza rispetto ai dati macro sull’occupazione. Come si spiega?
Si è un dato molto significativo che però è coerente a quanto avvenuto anche in molti altri Paesi europei che hanno visto le diverse organizzazioni dell’economia sociale aumentare significativamente il loro ruolo e il numero degli occupati. Questo dimostra che un modello economico diverso e non orientato alla massimizzazione del profitto e alla rincorsa della rendita finanziaria è un valido e sostenibile strumento di sviluppo e di crescita, capace di assicurare equità e posti di lavoro. Certo in questo quadro il dato riferito alle cooperative sociali italiane è quello che raggiunge i risultati più eclatanti. A dimostrazione che nella cornice degli enti dell’economia sociale il modello della cooperativa sociale è uno dei più efficaci. A questo si aggiunge il fatto che il settore del welfare e dei lavori di cura risponde a bisogni incomprimibili ed in continua evoluzione ed espansione. La domanda di cura e di protezione sociale è molto forte e anche se la spesa pubblica per i servizi di assistenza è in continua diminuzione, la capacità di organizzare risposte efficaci in forma imprenditoriale e partecipata, come appunto fanno le cooperative sociali, è uno strumento di tutela e protezione dei cittadini. Questo si osserva anche dall’analisi dei bilanci delle nostre associate che vedono sempre più diminuire le quote di fatturato che derivano dalla Pubblica Amministrazione, mentre aumentano le capacità di intercettare domanda privata e aprire canali di finanziamento complementari.
Quali sono i canali di ingresso per un giovane nel mondo della cooperazione/impresa sociale?
La presenza delle cooperative sociali è capillare sul territorio per cui in molti casi c’è un accesso diretto da parte di ragazze e ragazzi che si rivolgono alle cooperative sociali per conoscenza diretta, poi evidentemente il sistema di formazione, soprattutto per le professioni sociali ed educative, che prevede comunque periodi di stage e tirocini rappresenta un’occasione di incontro molto significativa. Tuttavia la porta di accesso principale e che porta le risorse migliori, sul piano della motivazione e dell’orientamento al lavoro sociale sono le reti di volontariato, le parrocchie, le associazioni e naturalmente il servizio civile volontario. Questo fa si che e cooperative sociali più radicate sul territorio, più autenticamente collegate al tessuto sociale sono anche quelle che riescono ad attingere a personale più motivato e qualificato.
Uno dei nei di questo mondo sono storicamente i livelli di retribuzione. La forbice storica rispetto al mondo profit parla di circa un -30%. È ancora così? Sarà così in futuro?
No non è più così da tempo, chi afferma di una differenza del 30% nelle retribuzioni degli operatori alimenta una falsa percezione e dimostra di conoscere affatto le cooperative sociali e di non conoscere nemmeno il sistema di welfare del paese. In linea generale possiamo dire che per quanto riguarda i diversi contratti delle realtà del Terzo settore siamo perfettamente allineati e in molti casi ormai assicuriamo anche standard di tutela e di stabilità maggiore. Rispetto al pubblico poi sempre se raffrontiamo le retribuzioni base a le differenze sono ridotte a poca cosa. Chi alimenta questi pregiudizi evidentemente lo fa comparando stipendi diversi, certamente un assistente sociale assunta in un ente pubblico da 30 anni e che ha magari ruoli di responsabilità ha una retribuzione molto più elevata rispetta a quella di una assistente sociale assunta da poco in una cooperativa ma è una comparazione scorretta. Un'analisi diversa andrebbe fatta invece in generale sul quanto purtroppo nel nostro Paese vengono ancora sottovalutate e sotto-pagate tutte le professioni sociali ed educative, ma è un problema di comparto, anzi se non ci fossero state le cooperative sociali, molte professioni sociali sarebbe state ancora più impoverite. Basta fare il raffronto con il modello che si è diffuso per le assistenti familiari, dove lo Stato da anni accetta surrettiziamente o finge di non vedere il livello squalificante e semi-sommerso in cui famiglie e badanti hanno regolato un mercato grigio in cui si vivono situazioni di solitudine e disagio. Lo Stato si mette la coscienza apposto aumentando il volume complessivo dei trasferimenti monetari diretti e le famiglie si arrangiano come possono. Diverso sarebbe invece una vera possibilità di regolarizzazione di queste professioni .
I numeri dimostrano che un modello economico diverso e non orientato alla massimizzazione del profitto e alla rincorsa della rendita finanziaria è un valido e sostenibile strumento di sviluppo e di crescita, capace di assicurare equità e posti di lavoro: la domanda di cura e di protezione sociale è molto forte e anche se la spesa pubblica per i servizi di assistenza è in continua diminuzione, la capacità di organizzare risposte efficaci in forma imprenditoriale e partecipata, come appunto fanno le cooperative sociali, è uno strumento di tutela e protezione dei cittadini
In questo settore quali sono le differenze fra i dirigenti e i dipendenti a livello di stipendio rispetto al profit?
Quello che possiamo dire è che in linea generale c’è maggiore equità di trattamento, mentre nei settori privati e pubblici, le retribuzioni dei livelli apicali hanno continuato a crescere ad una velocità molto superiore di quella dei dipendenti di base o intermedi. Questo spiega anche la leggenda che le “cooperative sociali paghino poco”, infatti se si fanno i calcoli sul monte stipendi complessivo e si dividono tra i lavoratori, appaiono differenze significative, ma che sono lo specchio di diseguaglianze crescenti, che nella maggior parte delle cooperative sociali abbiamo sempre saputo contenere. La maggior parte delle cooperative paga i propri dirigenti nel quado del CCNL e questo comporta che le differenze tra un lavoratore base e un dirigente stanno ampiamente entro un rapporto 1 a 3. Per certi versi questo spiega anche alcune difficoltà che si fanno nel trovare dirigenti con elevate competenze anche se posso assicurare che ci sono direttori di cooperative sociali che per competenze, professionalità e risultati potrebbero competere con molti top manager di grandi imprese ordinarie, ma che hanno uno stipendio che non arriva ai 3.000 € mensili. Devo però dire che esistono anche cooperative (?) sociali (?) che applicano il CCNL ai lavoratori della “massa produttiva” e poi per un pugno di dirigenti applicano uno specifico contratto con retribuzioni equivalenti a quelle dei settori profit. Esiste addirittura un Contratto Collettivo del Dirigenti di Cooperative sociali firmato da alcune sigle sindacali ma non da Federsolidarietà. Io da tempo affermo che questa è una cosa molto fastidiosa. Anzi senza mezze misure dico che questi comportamenti sono un tradimento del senso stesso dell’essere cooperative
È vero che nel vostro settore l’occupazione femminile è più valorizzata rispetto ad altri settori? Come si spiega?
Sì è vero. Direi che ci sono più motivi, il primo è che le donne sono oltre il 60% del totale delle persone occupate, sono mediamente più preparate e più brave soprattutto nel lavoro di cura e quando assumono funzioni di responsabilità e direzione, in misura ancora non sufficiente ma comunque superiore alla media delle altre forme di impresa, sanno essere più attente valorizzare le risorse umane. Inoltre in linea generale c’è anche una maggiore propensione alla flessibilità e alla conciliazione delle esigenze di lavoro con quelle familiari.
Se un giovane sogna un lavoro tranquillo oppure un posto dove sgomitare per fare carriera rapidamente è meglio che non guardi al nostro mondo. Se invece ama l’avventura dell’umanità e la complessità delle vite che si incontrano allora si in cooperativa sociale potrebbe trovare un luogo sfidante. Attenzione però a scegliere una cooperativa sociale autentica e non certe realtà che della cooperativa sociale hanno solo il nome e la forma giuridica!
Ad un ragazzo che esce dall’università o dal liceo consiglierebbe di fare il cooperatore sociale?
Io continuo a pensare che sia una delle esperienze professionali ed imprenditoriali più interessanti e generative, certo serve una grandissima passione, molta pazienza e molta capacità di stare in situazioni molto complesse, dove le dinamiche relazionali fra le persone sono molto importanti e impegnative; dove la propensione al cambiamento e alle incertezze è molto elevata. Insomma se un giovane sogna un lavoro tranquillo oppure un posto dove sgomitare per fare carriera rapidamente è meglio di no! Se invece ama l’avventura dell’umanità e la complessità delle vite che si incontrano allora si in cooperativa sociale potrebbe trovare un luogo sfidante. Attenzione però a scegliere una cooperativa sociale autentica e non certe realtà che della cooperativa sociale hanno solo il nome e la forma giuridica!
Nella foto di apertura: gli adetti della cooperativa sociale agricola Maramao
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