Cosa manca per completare la struttura dell’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo?
Manca molto. Siamo stati costretti ad affrontare vari passaggi di carattere organizzativo sul personale. Abbiamo iniziato a compilare i profili professionali di tutte le risorse umane interne, il che ci ha consentito di intervenire sull’organigramma e mettere le persone giuste ai posti giusti in base alle loro esperienze e competenze. Ci ha anche permesso di capire i profili che ci mancavano. Stiamo cercando di ottenere l’approvazione per un concorso per 60 profili tecnici. Quando l'Agenzia è partita, era l'unica dirigente, affiancata da un dirigente non generale proveniente dall’ex istituto agronomico di Firenze che abbiamo incorporato. Al momento abbiamo provveduto alla selezione di uno dei due vicedirettori responsabile delle funzioni giuridico-amministrative proveniente dal Ministero delle Finanze, e tre dirigenti non generali per gli uffici giuridico, bilancio e relazioni istituzionali ed esterne.
Quanti dirigenti mancano all’appello?
Tutti i dirigenti tecnici per gli uffici di Roma e Firenze, quindi sei. Ma poi la legge 125 aveva dato all’Agenzia un totale di 18 posizioni in organico con l’idea che alcuni dei dirigenti andassero a dirigere gli uffici più importanti nei paesi in cui interveniamo. Come vede, oggi la differenza tra i 18 dirigenti necessari e quelli a disposizione è molto alta.
C’è un altro problema. Non tutti condividono la sua volontà di aprire i bandi a personale esperto esterno alla pubblica amministrazione…
Qui si tratta di semplice differenziazione tra le funzioni giuridico-amministrative di cui l’Agenzia necessita e che troviamo nelle varie amministrazione dello Stato, e le funzioni dirigenziali tecniche che storicamente in Italia non esistono per il semplice fatto che non c’è mai stata un’Agenzia tecnica come quella che è stata appena creata. Come sappiamo, la cooperazione italiana è stata ospitata per 30 anni al’interno del ministero degli Esteri e della Direzione Generale, i cui funzionari sono funzionari diplomatici. Lo stesso discorso vale per i dirigenti.
Questo cosa significa?
Significa che queste figure erano multifunzionali, non avevano un’esperienza dedicata alla cooperazione e tra loro c’è chi aspirava a fare una carriera diplomatica diversa all’interno del Ministero degli Esteri piuttosto che rimanere alla Direzione generale sviluppo. L’idea dell’Agenzia per lo sviluppo è quello di avere un corpo di esperti tecnici guidati da dirigenti tecnici. Purtroppo è molto difficile trovare queste figure all’interno dello Stato.
L’idea dell’Agenzia per lo sviluppo è quello di avere un corpo di esperti tecnici guidati da dirigenti tecnici. Purtroppo è molto difficile trovare queste figure all’interno dello Stato.
Non era il caso di inserire nel decreto missioni internazionali un articolo di legge che prevedesse la possibilità di aprire le gare a dirigenti esterni alla pubblica amministrazione?
C’è stato un articolo all’interno del decreto missioni che fino ad ora non è stato approvato. Il decreto missioni deve essere discusso in aula. Come sa c’è in corso un processo di riforma generale per quanto riguarda la definizione del ruolo unico per i dirigenti, e la nostra richiesta sembra un pò andare nella direzione opposta a quella solitamente seguita dalla Pubblica amministrazione. Ma non si può parlare di opposizione, piuttosto è in corso un confronto in cui cerchiamo di difendere le nostre posizioni nel tentativo di spiegare perché è importante aprire le gare ad un personale esterno all’amministrazione pubblica. In ballo c'è l’opportunità di dare all’Agenzia gli strumenti che le consenta di svolgere i compiti che la Legge 125 le attribuisce.
Ci sono 94 milioni euro per gli impegni pregressi della DGCS e 418 milioni per il 2016, di cui la metà deve essere impegnata entro la fine dell'anno. L’Agenzia riuscirà a spendere questi soldi? Se sì, in che modo?
Se ha seguito i lavori e le decisioni prese del Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo, si accorgerà che sono già stati adottati un buon numero di progetti. Certo, l’assenza di quadri tecnici all’interno dell’Agenzia limita la nostra capacità operativa. Qui ci sono due priorità: completare il più presto possibile l’organigramma dell’Agenzia e asicurarsi che tutto quello che viene fatto attraverso questa struttura incompleta venga fatto nel miglior modo possibile. Non è facile muoversi senza dirigenti, ma rimango fiduciosa.
Che tempi ci vogliono a completare l’organigramma?
Il grande punto di domanda sarà l’autorizzazione o meno a fare questi concorsi per reclutare i profili che cerchiamo. Altrimenti si passa al piano B, identificando quelle figure professionali che possiamo prendere all’interno dell’amministrazione pubblica.
Quale ruolo deve avere l’Agenzia nell’elaborazione dei piani della cooperazione italiana, e in particolar modo nelle pianificazioni annuali e nella pianificazione paese?
La pianificazione annuale è il riflesso del documento di programmazione triennale che presenta gli obiettivi strategici e politici della nostra cooperazione, le linee guida, ecc. Per come vedo la complementarietà tra il ruolo di indirizzo della direzione generale e il ruolo operativo dell’Agenzia, la DGCS presenta questi obiettivi strategici, mentre l’Agenzia elabora una proposta di programma sulla base della sua analisi di cosa accade sul terreno, degli input che arrivano dai suoi uffici tecnici. Questa proposta viene poi sottoposta alla DGCS, che ha un ruolo di advisor nei confronti del vice ministro e del ministro degli Esteri, e anche a questi ultimi, che sono a capo di tutto questo meccanismo. La proposta è sucessivamente valutata per capire se risponde agli obiettivi strategici della cooperazione italiana e viene presentata al Comitato congiunto per approvazione.
E' in corso un confronto in cui cerchiamo di difendere le nostre posizioni nel tentativo di spiegare perché è importante aprire le gare ad un personale esterno all’amministrazione pubblica. In ballo è l’opportunità di dare all’Agenzia gli strumenti che le consenta di svolgere i compiti che la Legge 125 le attribuisce.
La prossima programmazione triennale dovrebbe integrare nuovi paesi in cui l’Agenzia sarà chiamata ad intervenire. Si parla della Repubblica centrafricana, il Mali, la Guinea Conarky. Visto il budget e le forze che ci sono in campo, non è chiedere troppo all’Agenzia?
Da un punto di vista di sviluppo, allargare il numero dei paesi è sempre un’opportunità. Naturalmente, quando le risorse sono limitate c’è bisogno di utilizzarle con giudizio e di fare in modo che questi programmi siano coerenti e soprattutto che ci consentano di intervenire al cuore di problematiche cruciali per il paese in cui operiamo. Per esperienza, posso assicurare che a volte i piccoli interventi possono rivelarsi più efficaci rispetto a progetti colossali. Prendiamo il caso delle donne in Africa. Nel lungo periodo che ho trascorso alla Banca Mondiale, ricordo che era molto più importante lavorare con un piccolo programma di dieci milioni di dollari che appoggiasse un processo di riforma della legge sull’accesso alla proprietà terriera. L’impatto non è sempre e necessariamente legato all’aumento dei fondi. Se mi attengo allo spirito della legge, i fondi pubblici fanno da catalizzatore di tanti altri fondi.
La Legge prevede anche il coinvolgimento di molti attori nella nuova cooperazione italiana. Ha la sensazione che sta nascendo un “sistema Italia” che tanti auspicano?
Il vice ministro Mario Giro si sta impegnando tantissimo affinché questo avvenga. Il coordinamento, si sa, è un’arte che richiede molta pazienza. Il fatto che nel Comitato congiunto il vice ministro apra le porte ad altri soggetti rispetto alla DGCS e all’Agenzia, e quindi cerchi di coinvolgere più attori, è un segnale politico forte. Poi c’è tutta la parte riguardante l'implementazione della legge: noi tutti sappiamo i ruoli che questa legge ci attribuisce, ora si tratta di capire come mettere in pratica la teoria.
Ritiene che l’Agenzia abbia l’autonomia necessaria rispetto alla legge 125 oppure pensa che sia stato ridotta in fase di implementazione?
Penso che ogni attore sta cercando di trovare la posizione ottimale per rendere il più efficiente possibile l’implementazione della legge. Il Ministero si sta costruendo il ruolo importantissimo di indirizzo e di vigilanza senza entrare nella dimensione gestionale, per noi è il contrario, si tratta di recepire gli indirizzi che ci vengono dati senza cercare di fare il passo più luno della gamba. All’Agenzia c’è un clima di euforia che può essere a volte percepita come una volontà di farne un pò troppo per raggiungere gli obiettivi, mentre la DGCS sta attraversando un periodo complesso di riaggiustamento delle sue funzioni. Su questo ci misuriamo quotidianamente.
Il fatto che nel Comitato congiunto il Vice ministro apra le porte ad altri soggetti rispetto alla DGCS e all’Agenzia, e quindi cerchi di coinvolgere più attori, è un segnale politico forte.
Che relazioni sussistono oggi tra la sede centrale dell’AICS e gli uffici tecnici sparsi nel mondo?
Sarò sincera, in quest primi mesi avrei voluto essere molto più presente sul terreno, perché soltanto cogliendo le difficoltà a cui gli uffici vanno incontro si riesce a mettere in piedi una struttura organizzativa che risponde alle loro necessità. Purtroppo sono stata per oltre due mesi da sola. A fine giugno verrà organizzato un incontro che riunirà tutti i direttori degli uffici tecnici, che non stanno certo attraversando un periodo molto semplice perché da direttori di uffici riallacciati alle ambasciate che mettevano a disposizione le loro amministrazioni, sono diventati responsabili primari di tutti i progetti.
Come giudica i rapporti tra l’Agenzia e la DGCS?
Se vedo quanto è stato fatto finora, direi ottimi. Tutto quello che andava fatto è stato fatto, anzi di più. Questo è stato possibile anche grazie al supporto della DGCS.
Tra le difficoltà che ha incontrato, ce n'è una che l'ha sorpresa?
Se devo citarne una riguarda l’autorizzazione dei concorsi che ancora aspetto. Quello che mi ha invece molto colpito è l’entusiasmo del personale dell’Agenzia. Nessuno si è mai tirato indietro di fronte alle difficoltà che abbiamo incontrato, soprattutto nei primi mesi. Molti hanno paragonato l’Agenzia a una start-up, ma è una nostra start-up un pò particolare che ha eredito dalla DGCS oltre 1.200 progetti da portare avanti. E’ stato sicuramente molto importante l’appoggio che abbiamo ricevuto dagli attori esterni, penso alla società civile, alle Ong, al settore privato, alle diaspore, non solo dal punto di vista operativo, ma anche sul piano del dibattito e delle idee.
In quest primi mesi avrei voluto essere molto più presente sul terreno, perché soltanto cogliendo le difficoltà a cui gli uffici vanno incontro si riesce a mettere in piedi una struttura organizzativa che risponde alle loro necessità. Purtroppo sono stata sola per oltre due mesi.
Quando pensa di rendere pubblico lo staff per consentire agli stakeholders di capire chi fa che cosa all’interno dell’Agenzia?
Gli incarichi individuali sono già stati assegnati e resi pubblici, manca l’articolazione in sezioni. Molto dipenderà da come andrà a finire la vicenda dei concorsi. Da lì capiremo meglio la struttura dell’Agenzia.
Che rapporti è riuscita ad instaurare con le diaspore?
Molto positivo. Si sono tenuti vari incontri che ci hanno permesso di scambiare opinioni sul contributo che possono dare le diaspore alla cooperazione italiana e il modo con cui noi possiamo rafforzare il loro ruolo.
Non crede che sia opportuno organizzare degli Stati generali sul ruolo delle diaspore nell’ambito della cooperazione allo sviluppo? E’ un’idea che il rappresentante delle organizzazioni e associazioni di immigrati e coordinatrore del gruppo “Migrazioni e Sviluppo” del Consiglio nazionale sviluppo, Adrien Cleophas Dioma, vorrebbe concretizzare…
Sono favorevole a qualsiasi iniziativa, e quella sulle diaspore, se organizzata bene, potrebbe essere molto utile al nostro sistema. Debbo dire che Dioma è una persona di grande competenza che sta portando molta coerenza all’interno di un mondo come quello delle diaspore che è molto parcelizzato.
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