Il colpo d’occhio entrando al civico 10 di via Francesco Brambilla nella sede di Casa della Carità è quello di un caldo abbraccio. Sulla parete si sviluppa infatti un dipinto murale che è la nuova Porta dell’Accoglienza della struttura: i gialli e gli arancioni luminosi, i cesti e le figure che sembrano danzare sulla parete e le scritte di benvenuto in tutte le lingue e alfabeti. A dare gli ultimi tocchi, insieme ad altre persone c’è Mor Talla Seck, artista senegalese che ha progettato e realizzato il murales insieme agli operatori, ai volontari e agli ospiti della Fondazione Casa della Carità.
Nato poco fuori Dakar nel 1976, si è diplomato all’Accademia delle Belle Arti di Dakar è pittore e sculture. Resta in Senegal fino al 2004, si reca poi a Parigi nella cornice di un progetto interculturale e artistico. A fine esperienza l’arrivo in Italia dove prosegue gli studi al centro di trattamento artistico dei metalli della fondazione Arnaldo Pomodoro di Pesaro e Urbino nelle Marche. Nel 2016 immagina e realizza "Pensieri sospesi tra cielo, terra e mare", una mostra che racconta il dramma dei migranti morti nel Mediterraneo, troppo spesso dimenticati. Dal 2021 è presidente dell'Associazione Black Diaspora Art, un'associazione che vuole promuovere l'inclusione attraverso l'arte.
Abbiamo incontrato Mor Talla Seck (nella foto) davanti a questa nuova opera che viene inaugurata sabato 5 novembre con un pomeriggio di festa, laboratori artistici e musica (dettagli in agenda online) per chiedergli della nascita del murales. «È stata un’ispirazione collettiva, eravamo almeno in sedici a ragionare sul da farsi ed è stato facile perché l’accoglienza fa parte della loro vita. Ognuno ha dato il suo pensiero sia chi accoglie sia chi è accolto ed è stato uno scambio ricco e collaborativo».
Ogni parola scritta, ogni forma e colore sono stati pensati per dire “Accoglienza”, per mostrare allegria e dare il "Benvenuto".
Mor Talla Seck
Dominano i colori solari, ma non mancano le parole….
Ogni parola scritta, ogni forma e colore sono stati pensati per dire “Accoglienza”, per mostrare allegria e dare il "Benvenuto". I colori sono un linguaggio universale per questo dominano quelli caldi. Se chiedi a un bambino di disegnare il sole lui usa il giallo e l’arancione, non sono i colori del sole ma danno calore alla luce. Per questo abbiamo pensato a colori vivi.
Nel murales ci sono scritte di benvenuto in tutte le lingue perché non lasciare il messaggio solo alle immagini?
Ogni persona è diversa, alcuni possono leggere, altri sono analfabeti, ma possono riconoscere i tanti simboli disseminati nel murales. L’idea è stata proprio quella di usare tutti i linguaggi per rispettare la diversità di ciascuno lanciando un messaggio a 360 gradi. Se uno legge “benvenuto”, nella sua lingua si sente sollevato e pensa “qui mi capiscono”. Poi ci sono tanti simboli della festa che un africano può riconoscere e così si sente più sollevato, sono simboli che danno allegria. L’arte è un linguaggio universale, ogni espressione artistica dalla musica al disegno, al teatro anche la panchina su cui mi siedo è arte perché l’ha pensata un designer. Non esiste analfabetismo artistico: basta guardare, se vedi qualcosa di bello, lo riconosci, lo tocchi . Poi per un artista tutto è arte, la stessa vita è arte.
Dopo l’Accademia di Belle Arti, ha fatto esperienze a Parigi. Come mai è venuto in Italia?
È colpa del Rinascimento…
L’arte è un linguaggio, è una scorciatoia per incontrare le persone. Spesso la viviamo senza rendercene conto perché è ovunque, occorre prendere consapevolezza.
Mor Talla Seck
Del Rinascimento?
Il 70% di quello che ho studiato in Accademia era Rinascimento italiano. Ho avuto l’occasione di andare a Parigi per uno scambio interculturale come moniteur, sono professore di educazione artistica. Alla fine del progetto che è durato quasi un anno mi sono detto l’Italia è vicina, sono salito su un bus e sono venuto qui. Volevo toccare con mano quello che avevo solo studiato sui libri… e sono rimasto affascinato. Sono andato a Ravenna ad ammirare i mosaici e poi mentre studiavo a Pesaro-Urbino ho sentito parlare della Certosa di Pavia, l’ho visitata e sono rimasto colpito dall’architettura, dalla forma che richiama quella delle moschee. C’è come una liason, un legame nell’arte. In cinque anni in Italia ho voluto visitare tutto anche le antichità a Pompei… lo ripeto dopo averla studiata la storia dell’arte la volevo toccare con mano.
Nelle opere c’è dunque un linguaggio universale.
L’arte è un linguaggio, è una scorciatoia per incontrare le persone. Se metti un tocco artistico nelle cose che fai tutto diventa più semplice. La musica, penso agli enfants des rues con il loro rap, il teatro… tutto insomma, ma spesso la viviamo senza rendercene conto perché è ovunque, occorre prendere consapevolezza.
Dalla Francia all’Italia, ha sperimentato differenze nell’accoglienza?
L’Italia non ha eguali. A Parigi sono molto indietro. Se ti sposti dalla Tour Eiffel o dagli Champs-Élisées, nelle vie parallele o dove non ci sono centri culturale e sociali trovi tanto individualismo. Qui in Italia è diverso, sono arrivato che non conoscevo nessuno eppure è stato tutto più facile, ho trovato accoglienza…
Tutte le immagini sono da ufficio stampa Casa della Carità
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