Chi ama la sua dolcezza sotto forma di profumo o dal punto di vista del sapore, per esempio ad arricchire uno dei dolci preferiti dai siciliani come il Gelo di Melone, forse non sa che il gelsomino ha una storia che risale addirittura al primo dopoguerra quando, tra le tante produzioni agricole di Sicilia e Calabria, c’era quella dei fiori di gelsomino, richiestissimi dalle aziende italiane ed europee.
Un mestiere duro, quello delle gelsominaie, costrette ad alzarsi in piena notte e a trascorrere ore e ore curve sui campi, a raccogliere uno per uno i gelsomini e riporli nelle ceste, vicine a loro anche perché c’erano dentro i loro bambini per non lasciarli a casa da soli.
Erano donne in gran parte vedove di guerra, costrette a un tipo di lavoro che alla fine coinvolgeva tutta la famiglia perché i figli più grandi, invece di andare a scuola per costruirsi un futuro pieno di prospettive, aiutavano le madri nella raccolta dei gelsomini. Un lavoro duro, dicevamo, non certo ben retribuito: 25 lire ogni chilo raccolto era quanto le donne riuscivamo a portarsi a casa. Quanto serviva per acquistare meno di un chilo di pane.
Ecco perché, un bel giorno di agosto del 1946 a Milazzo, comune in provincia di Messina, scoppia una rivolta tra le gelsominaie alle quali si aggiungono le donne che venivano sfruttate nella raccolta degli agrumi, delle olive, ma anche nelle fabbriche e nelle cave d’argilla di Santo Stefano di Camastra. Una ribellione dovuta, risultato di anni di soprusi e vessazioni che ebbe successo perché portò al raddoppio della loro paga.
Ed è per rendere omaggio alle lavoratrici di ogni parte del mondo, denunciando quanto vengono sfruttate, come vengano lesi i loro diritti, ma anche quel che vuol dire nel concreto negare i diritti ai lavoratori che ancor oggi vengono maltrattati e restano invisibili, che nasce il progetto di Jonida Xherri, sensibile a poliedrica artista di origini albanesi, che dal 1985 vive e lavora tra Modica e Firenze. Come dice lei “in tutti i luoghi che ospitano la mia arte”.
La delicatezza del fiore di gelsomino le ha dato lo spunto per creare un arazzo, 1,50 x 8 metri, esposto sino a fine settembre sulla facciata esterna del Centro di ascolto Caritas di Corso Umberto, a Modica, sede di Casa Don Puglisi.
L’arte che denuncia e chiede attenzione su un tema così importante e non facile da affrontare attraverso un’opera.
«Quando realizzo un’opera che deve essere esposta, interagisco con la gente del posto, per esempio i bambini – spiega Jonida Xherri – ma, con il Covid, ho dovuto fare da sola. L’intreccio di fili dorati e il lavoro all’uncinetto vuole esprimere la forza di queste donne e il valore di un lavoro che non veniva e non viene riconosciuto. Sappiamo cosa succede ancora oggi sui posti di lavoro e, se non facciamo niente, i nostri figli erediteranno un’umanità senza futuro».
Un arazzo che, quindi, nasce per denunciare il silenzio nei confronti di chi subisce sul posto di lavoro, in questo caso specifico sui campi dove le persone sono senza identità legale, in quanti “invisibili”. La lotta per i diritti del lavoro, questo il messaggio, non può essere considerata finita finchè anche una sola persona, in qualsiasi parte del mondo, continuerà a essere sfruttata.
«Le gelsominaie i gelsominai di oggi – dice ancora Jonida Xherri – sono tutte le donne, gli uomini e i bambini che lavorano senza diritti e rispetto. Sono il monito affinché tutti noi ci sentiamo e ci mettiamo dalla parte di chi viene sfruttato. Solo così potremo cambiare le cose, solo un lavoro basato sul rispetto dell'essere umano e dei diritti a pari per tutti può cambiare la vita ai “gelsominai/lavoratori” del futuro. Sono felice che, attraverso il mio progetto, questa storia si sia finalmente saputa. Solo da poco, grazie al lavoro di recupero della memoria storica che ha fatto e continua a fare il Museo di Milazzo, si comincia a parlare delle gelsominaie. Sarà, poi, importante che l’arazzo cominci a viaggiare, raggiungendo luoghi in cui il tema dello sfruttamento del lavoro sia sentito. Voglio tornare a fare i workshop con i bambini, con i quali nascono sempre belle sinergie».
Attenta e non frutto del caso la scelta del balcone su cui esporre l'arazzo in quanto "Casa Don Puglisi" e la Caritas di Modica da anni danno alle donne e mamme in difficoltà non solo il calore di una casa ma anche l'opportunità di un lavoro dignitoso, offrendo allo stesso tempo ai loro figli la possibilità di studiare.
«L’opera di Jonida – afferma Maurilio Assenza, direttore di “Casa Don Puglisi” – ci aiuta a ribadire la nostra idea sul valore del lavoro in una prospettiva di economia civile, che ci spinge a considerarlo tenendo sempre conto del benessere dei lavoratori. Per noi il lavoro va inteso come ambito costitutivo dell’uomo, in cui alla persona è data la possibilità di realizzarsi. Ricordando sempre quel che diceva padre Pino Puglisi, “se ognuno fa qualcosa, allora si può fare molto”, possiamo costruire un futuro nel quale tutti avremo fatto la nostra parte».
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