Dimenticate la serie Netflix Adolescence, gli incel, la manosfera e l’intelligenza artificiale. E mettetevi in marcia lungo le strade della realtà che non fa notizia in televisione. Scoprirete gruppi di adolescenti che fanno uno stage scolastico in carcere fino a scrivere un libro con gli ergastolani e a raccontare loro, in un reciproco scambio di esperienze dal vivo, alcune delle proprie emozioni più profonde.
Sono i frutti di un lavoro svolto ad Asti e durato mesi, promosso da Giuseppe Passarino, segretario dell’associazione Effatà-Volontari del carcere. Uno storico, battagliero collettivo, fondato da Tecla Fornaca e operativo da quasi 30 anni, che ha coinvolto un gruppo di detenuti della Casa di reclusione ad alta sicurezza della città del Monferrato, in coordinamento con gli educatori dell’Area trattamentale del carcere, l’associazione Fuori Luogo, il Cpia (istituto statale di istruzione per adulti) e il Centro servizi volontariato Asti e Alessandria – Csvaa.
Un libro ponte e il coraggio di stare con Caino
Si tratta di un lavoro che il 18 maggio avrà una piccola grande consacrazione. Perché il libro Una penna per due mani (Team Service Editore) – quella dei ragazzi e quella dei reclusi – sarà presentato al pubblico al Salone del Libro di Torino 2025, dopo la presentazioni in carcere, a febbraio, e quella, nei giorni scorsi, alla Biblioteca astense Giorgio Faletti.

Il volumetto è “un ponte tra due mondi” sintetizza la presidente di Effatà, Maria Luisa Bagnadentro. Ovvero il mondo extramurario e quello intramurario, per dirla in gergo. Fra i quali, massiccio come lo fu quello di Berlino, c’è un muro costituito non solo da barriere di cemento, sbarre e cancellate dei penitenziari. Ma più ancora dall’invisibile e apparentemente solidissima barriera di pregiudizi, disprezzo e indifferenza di molti dei cittadini ‘liberi’ nei confronti dei ‘prigionieri’.
Serve piuttosto «il coraggio di stare anche dalla parte di Caino», si osserva dalle pagine di Gazzetta Dentro, il giornale fatto dai detenuti di Asti sotto il coordinamento di Domenico Massano e Marinella Bruno di Effatà. «Ho avuto modo di constatare che (gli studenti, ndr) entravano con un immaginario non del tutto reale», scrive Mario (nome di fantasia, ndr) nel suo pezzo per il foglio del penitenziario, pubblicato anche sulla Gazzetta d’Asti, «prova ne sia che loro stessi hanno ammesso che precedentemente pensavano tutt’altro; qualcuno ha detto: ‘Uscendo sono caduti muri e stereotipi sul carcere e sui detenuti’».
Adolescenti e reclusi, dall’incontro nasce la fiducia
Sì, perché studenti e detenuti si sono incontrati di persona più volte, superando paure e timidezze iniziali fino a scambiarsi testi scritti e a confrontarsi su fatti di attualità ed esperienze personali «talvolta anche molto drammatiche», scrive la professoressa Lombardi nell’introduzione. Durante l’ultimo incontro, spiega la docente, «è stato sorprendente vedere come i ragazzi non abbiano esitato a consegnare le loro storie e i loro vissuti» agli adulti reclusi.
È la legge della fiducia, per dirla col professor Tommaso Greco, giurista dell’Università di Pisa, sostenitore della necessità di rinnovare lo spirito che sta alla base di leggi e norme in Italia. Ed è la potenza della realtà. Quando la si incontra di persona, invece di limitarsi a immaginarla, si scopre che non è come pensavamo. E che non sempre è peggiore della fantasia, anzi. Per questo di «ponti di comprensione» e di «strumento di cambiamento e di speranza» scrive nella prefazione al libro dei detenuti e degli studenti la direttrice della Casa di reclusione, Giuseppina Piscioneri.
Poesie, racconti, fiabe e colori
Ma Una penna per due mani è anche un’opera che, all’epoca di Amazon e dell’ebook, riscatta il potere della carta. Non è soltanto un libro scritto a più mani, ma fra le mani bisogna rigirarselo: ha una duplice copertina, e una doppia, e speculare, linea di lettura. Seguendo una direzione si possono leggere i testi degli studenti; capovolgendo il libro e seguendo l’altra, quelli dei detenuti. A ciascuna poesia, racconto o riflessione di un recluso corrisponde un testo analogo, per stile espositivo e tema affrontato, scritto da una studentessa o da uno studente. Pagine di versi, testi, fiabe, fumetti e meditazioni, intercalate da illustrazioni a colori, muovono dall’estremità delle due opposte copertine e convergono al centro del volumetto dove due disegni sigillano l’opera fronteggiandosi come per abbracciarsi: la cella disadorna di un prigioniero con le sbarre alla finestra e la camera con vista sul mondo di un adolescente.

È così che la stanza, il luogo dell’intimità personale, è per Giada «una tela in bianco dove dipingo i colori dei miei sentimenti» e per Alessandra il luogo fra le cui pareti «le emozioni s’incontrano in un abbraccio di pensieri». Il detenuto Tiziano (altro nome inventato come anche quelli che seguono, ndr), invece, nella sua stanza-cella non si vorrebbe addormentare. Perché «mi giro e mi rigiro, ti cerco nel mio sogno. / Vorrei poterti stringere. Unico desiderio mio, poterti ancora amare / ma è lì nel triste sogno / che destandomi / mi accorgo che posso solo immaginare. / Soffro e mi rattristo / ed è così che mi ritrovo da solo a farneticare».
Un libro in cui i carcerati riesaminano le loro storie, come quella di Anthony, che interrogandosi su «che cosa ho nel cuore?», spiega di essere inizialmente arrivato in Italia «il Bel paese, per inseguire il mio sogno: diventare un calciatore per diventare qualcuno». Ma puntualizzano anche che cosa pensano di certi giornalisti, come Arturo, secondo cui «umiltà e giornalismo sono due sostantivi che difficilmente vanno insieme (…) soprattutto per chi interpreta questa professione come esercizio di potere e non come un servizio e ricerca della verità».
Dal canto loro, voltato il libro, ecco che gli studenti riflettono sullo scandalo di Ilaria Salis ammanettata ai polsi e alle caviglie, e legata a un guinzaglio, nell’aula del tribunale di Budapest. O raccontano al lettore la liberazione di Nelson Mandela: il trionfo della resistenza, e la storia di Sacco e Vanzetti: uccisi per un pregiudizio.

Nella scrittura dell’anima l’incontro fra due mondi
Sfolgorano come lampi nel buio le pagine di Una penna per due mani. Anime di ragazzi all’alba della vita e di adulti che hanno perduto la libertà si mettono a nudo e mozzano il fiato: davanti al lettore scorrono sogno, purezza, nostalgia, rimpianto, l’abisso della depressione, la forza dell’amore.
“L’amore è ciò che ti salva quando tutto è ormai perduto, / è la forza che ti rialza. / L’amore è nelle ali di chi ti protegge a costo della vita (…) / L’amore non ha regole, non segue le leggi e non ha barriere. / L’amore non smette di esistere, è più forte di ogni cosa anche delle sbarre” scrivono Rebecca e Giada. E a loro fa eco il detenuto Carlo in Alba di primavera, versi dedicati a sua figlia Luciana: «Mio respiro e luce dell’amore di Dio / bianca e candida / come il fiore di mandorlo / è la tua pelle / e belli come il sole sono i fiori di marzo / e tu sei fiore di luce per noi tutti».
Come diceva il poeta Mario Luzi, Chronos è il nostro padrone. Verità di vita che, in carcere, mostra il suo volto feroce.
In modo particolare per chi è all’ergastolo ostativo, come Tullio: «L’infido rumore del silenzio, lo scorrere del tempo così vuoto e lento. Riempie la tua vita… e abbandona il malcontento. Ma tu sei forte, sai che non è questo il tuo momento prima, poi con la morte, finirà questo tormento», Dalle sconfitte tuttavia si può imparare, a cominciare da quando siamo adolescenti. «Ho imparato a parlare di più, ad ascoltare davvero, senza giudizi, senza fretta», scrivono Arianna e Giorgia raccontando della propria partecipazione alla lotta della loro mamma contro la depressione, «ho scoperto che la vulnerabilità non è una debolezza, ma è il coraggio di mostrarsi per quello che si è, con tutte le paure e insicurezze».
Se la vita picchia duro
Il punto è che, come scrive il detenuto Octave, «non importa se la vita picchia più duro di noi e finiamo al tappeto; quello che conta davvero è trovare la forza di realizzarsi e di combattere, procedendo come insegna Rocky al suo discepolo: un pugno alla volta, un passo alla volta, un round alla volta».
Il progetto, vincitore del primo premio di un bando regionale, è stato finanziato dalla Cassa delle ammende del ministero della Giustizia e ha avuto il patrocinio di Regione Piemonte e Comune di Asti, oltreché del penitenziario. A condurlo con cura e perseveranza sul fronte scolastico sono stati i professori Giorgio Marino e Paola Lombardi con gli studenti delle classi quinte del Liceo delle Scienze umane “Augusto Monti” di Asti.
Nella foto di apertura, professori e studenti dell'”Augusto Monti” di Asti durante uno degli incontri nel carcere cittadino. Foto Associazione Effatà.
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