Furono 19 i “carusi” che il 12 novembre 1881 morirono nello scoppio di grisù innescato da una lampada a olio che generò l’incendio della solfatara di Gessolungo, una delle più grandi maggiori del comprensorio minerario di Caltanissetta. Considerata tra le più profonde grazie ai suoi tunnel da 300 metri, la miniera di Gessolungo era attiva già nel 1839 e fu chiusa nel 1986, dopo otto anni di inattività. Un luogo nel quale la storia è ancora viva, si respira a ogni passo, raccontando di una realtà fatta di tanto sudore, angoscia e dolore.
Non è esagerato affermare che si tratta di una delle più grandi tragedie minerarie di tutto il centro Sicilia, nella quale persero la vita in tutto sessantacinque minatori, aggravata dal fatto che nove delle diciannove giovanissime vittime, sfruttate sino all’inverosimile, rimasero senza nome. A loro, infatti, è stato dedicato il “cimitero dei carusi” che ormai è diventata meta di “passeggiate” come quella de “Le Vie dei Tesori”, manifestazione che ogni anno riconsegna alla memoria collettiva luoghi dimenticati.
Gessolungo è e deve essere un luogo di memoria del quale non dimenticarsi dal momento che è il frutto di un sistema che sfruttava anche bambini e ragazzi, solitamente di età compresa tra i sei e i diciotto anni, venduti ai padroni delle miniere di zolfo dalle famiglie a causa della loro estrema povertà. Anime candide alle quali veniva rubata l’infanzia, costrette a lavorare fino a sedici ore al giorno al buio del sottosuolo, trasportando in superficie carichi di zolfo che pesavano dai 25 agli 80 chili, tra esalazioni pericolose come quella che ha generato l’incendio e lo scoppio della miniera. Il tutto per pochi spiccioli, quanto bastava per consentire alle famiglie di non morire di fame.
Una triste e drammatica realtà che racconta di quello che voleva dire vivere nell’entroterra siciliano negli anni tra le due guerre. Una pratica che si fermerà solo negli anni Settanta.
Ed è grazie alle foto di Alessandro Montemagno, nella cui pagina social "Sicilia Inaspettata" racconta di luoghi dimenticati, che riusciamo a immergerci in questa realtà, passeggiando tra i resti di una struttura del tutto abbandonata nella quale risuonano ancora le voci di chi pensava che oltre a quel mondo non potesse essercene un altro e che, quindi, subiva passivamente ogni genere di abuso e prevaricazione.
«Appena percorri i primi passi all’interno di questo complesso minerario – racconta Montemagno – quello che ti pervade è un profondo senso di angoscia e tristezza. Al mio arrivo, vedo gli uffici o i locali adibiti a strutture logistiche e organizzative, al cui interno non c’è quasi più nulla. tutto ancora una volta vandalizzato e depredato. Uscito dal primo edificio, mi ritrovo in un grande spiazzo e, davanti a me, ecco l’imponente macchinario principale di estrazione e trasporto del materiale, totalmente arrugginita. Tra il silenzio della piena campagna siciliana potevo quasi immaginare il gran vociare e quasi sentire i rumori che un tempo facevano da padroni in quel luogo. I vecchi tunnel sono stati totalmente chiusi e sotterrati, forse per sicurezza. Un po’ più avanti, ai margini del complesso, quella che sembra essere stata una sorta di cappella funeraria, aperta e vandalizzata. A rimanere intatta solo la croce sulla sommità. Probabilmente era un altarino costruito in memoria delle vittime della tragedia che rende ancora di più la desolazione a cui è stato consegnato questo luogo».
Uno spazio consegnato al tempo che, grazie a qualche antenato, ricorda tutte le vittime attraverso una targa apposta all’ingresso del cimitero che dice:
“Nella Valle delle Zolfare quel mattino pioveva. Correva l’anno 1881, erano le sei del 12 novembre. Centoventi minatori che lavoravano alla Miniera Gessolungo sezione ‘Calafato’ di contrada Juncio, si accingevano a raggiungere i propri cantieri in sotterraneo percorrendo la galleria ‘Piana’, quando improvvisamente furono investiti da un violento incendio causato dallo scoppio di ‘grisou’ prodotto dalla fiamma di una lampada ad acetilene. Cinquantacinque minatori, anche se feriti, riuscirono a raggiungere l’esterno e mettersi in salvo. Per gli altri 65 fu la fine. Sedici di loro feriti gravemente morirono in ospedale. Gli altri 49 recuperati dopo venti giorni sono stati sepolti in questo luogo. Tra loro ci sono 19 “carusi” di età da 8 a 14 anni. Nove sono rimasti ignoti. Viandante, ricordati per le loro sofferenze, il sacrificio e la vita violentemente spezzata ed eleva una preghiera a Dio”.
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