Andrej Pozdnjakov è nato nel 1976 a Pavlodar, Kazakistan, si è laureato in sociologia all’Università di Novosibirsk. Ha lavorato a Novosibirsk e in altre città della Siberia, dell’Estremo Oriente e del Kazakistan, specializzandosi come sociologo, media manager e marketer. Ha studiato la storia locale della Siberia e del Kazakistan. Dalla primavera del 2022, dopo l’inizio della guerra con l’Ucraina, vive ad Almaty, in Kazakistan.
Hai lasciato la Russia, come molti russi. Come guardi al tuo futuro? Come è entrata la guerra nella tua vita? Cosa ti aspetti? Cosa speri?
È tutto come per molti, come per tutti. È tutto nella nebbia, non c’è niente di chiaro. La definizione più corretta è: seguo la corrente. Questa corrente mi ha portato in Kazakistan, ora cambierà direzione, si apre una nuova pagina: è arrivata la decisione (da parte delle autorità tedesche) sul visto umanitario e a fine febbraio partiremo per la Germania. Per due anni mi sono barcamenato qui. Ma abbiamo i biglietti in mano, e si apre un’altra pagina della vita, questa si chiude e nessuno sa cosa succederà dopo. E anche qui, in effetti, non capivamo granché. Questo è il quotidiano … penso che anche tu lo conosca ormai. Si vive alla giornata, senza alcuna prospettiva, non abbiamo una casa nostra, siamo in affitto: questo mese l’affitto l’abbiamo pagato, abbiamo pagato la scuola, le bollette, resta anche qualcosa per mangiare … Andiamo avanti. E così ogni mese da quasi due anni. Avevamo a volte addirittura la sensazione di risparmiare qualcosa. Mia moglie lavorava per un’azienda australiana e avevamo delle entrate in valuta estera. Poi quest’autunno lì c’è stata una crisi. Sono aumentati i prezzi dei materiali da costruzione, molte società edili stanno fallendo. E così il suo stipendio è congelato da due mesi. Mia moglie non è più una “combattente solitaria”, abbiamo famiglia. È un credito sospeso, che non è chiaro quando arriverà. Questi australiani, poi, sono australiani per dire, in realtà sono di Novosibirsk, vivono in Australia perché lì è più semplice e meno caro collaborare con l’architetto russo. Da questo autunno ci troviamo di nuovo di una condizione di strana incertezza. Ancora una volta viviamo alla giornata.
Conosco molto bene questa condizione. Ogni mattina mi alzo e comincio a fare i conti: come arriveremo a fine giornata?
Sì, sì, qualcosa del genere. È proprio così che viviamo, nell’incertezza più completa. Qui in Kazakistan le cose sono più o meno chiare. Il paese mi è familiare, sono nato e cresciuto qui. In qualche modo capisco anche come si vive qui. Ma molti russi non riescono a capire, anche mia moglie non è riuscita a integrarsi in nessun modo qui, in questa vita, ha legato di più con il mondo degli emigrati, ovviamente. Per me è stato un po’ più semplice.
Vedi la possibilità di un cambiamento in Russia? Si può sperare nella generazione dei 18-25enni? Secondo alcuni, questa generazione è diversa, sono già veramente post-sovietici. Non percepiscono realmente l’ideologia che le autorità stanno ora promuovendo.
In realtà io spero nella morte naturale del sistema. Negli anni ’90, sotto Eltsin, speravamo tutti che i vecchi comunisti morissero presto, la generazione di Gorbaciov, Eltsin, nata negli anni ’30 -’40. Sembrava che stesse per arrivare qualcosa di nuovo, poi qualcosa di nuovo è arrivato e si è rivelato ancora peggio. Se la generazione degli anni ’30, in parole povere, ha visto la guerra durante l’infanzia, ha visto una certa ascesa dell’Unione Sovietica negli anni ’60, i baby boomer della generazione successiva, relativamente parlando, la generazione di Putin, nati tra il ’55 e il 60, a loro è capitato il crack degli anni ’90 e si sono rivelati una generazione potentemente “super-sovietica”. Ed è stato davvero sorprendente che fossero proprio loro a tornare ad insistere tanto sull’Unione Sovietica. È persino strano. Hanno vissuto il periodo degli anni ’70, la loro giovinezza, per così dire, la famigerata stagnazione di Breznev (il periodo in cui a capo del PCUS si trovava Breznev), e questo ha fortemente influenzato la loro vita successiva. Per quanto riguarda le nuove generazioni, penso che il vecchio sistema si estinguerà da sé e inevitabilmente si trasformerà. Va detto anche che la nostra generazione, quella degli anni Settanta, non ha ancora parlato, o meglio, ha parlato ma le sue parole si hanno rivelato un suono vuoto, senza incidenza, e poi siamo scomparsi. Noi non abbiamo ancora detto nulla di significativo, forse. Noi, la nostra generazione, in qualche modo ci siamo integrati molto rapidamente in questo sistema putiniano.
Forse è la nostra infanzia da pionieri a suggerirci le parole giuste, perché viviamo in modo molto amichevole con questi “sovietici” nel cuore. Guardo la mia generazione, i miei compagni di classe lavorano come capi della sicurezza nelle banche e molti dei nati negli anni Settanta occupano posizioni amministrative, e questo è un disastro.
Per quanto riguarda i giovani, da un lato, questa è davvero la prima generazione mai punita (non sottoposta a privazioni o punizioni immeritate), una generazione che non ha mai preso botte. A prenderle stanno cominciando ora, e se ne stupiscono, non ne comprendono la ragione. Per loro questo mondo fisico in un certo senso non esiste. Lo dico guardando i miei nipoti, alcuni miei conoscenti più giovani. Per loro, per prepararsi basta uno zaino, purché dentro ci siano un tablet e un notebook. Il resto non li interessa. Sono molto mobili. D’altra parte, ho insegnato all’università e ho visto la generazione leggermente più anziana, la generazione nata negli anni Novanta, che ora entra nella vita adulta. Sono stupito dalla disinvoltura con cui si muovono in tutte queste porcherie putiniane: tra di loro non pochi sono a capo degli uffici stampa. Uno lavora per Rostelecom (una società di telecomunicazioni parastatale) come addetto stampa. Una ragazza lavorava presso il municipio di Novosibirsk come addetta stampa del sindaco. E ne scriveva di tutti i colori … Faceva venire la nausea.
In modo davvero sorprendente, sanno come muoversi con disinvoltura, immedesimarsi con i costrutti ideologici di Putin. Se per noi, la generazione degli anni ’70, probabilmente funzionano davvero le formule da pionieri in cui siamo cresciuti, per loro non si come sia possibile. Non hanno vissuto in epoca sovietica. Sono praticamente certo che ci voglia una catarsi completa. Un po’ come ha fatto Saakashvili (l’ex presidente della Georgia, che ha portato avanti necessarie e dure riforme amministrative): ha licenziato tutti e ha assunto persone nuove. O quello che ha fatto la Transaero Airlines (compagnia aerea privata russa) che assumeva personale in base al principio: “Se avete lavorato anche un solo giorno in Aeroflot non vi assumeremo mai”. È chiaro?
È solo che questo sistema (post-sovietico putiniano) non è trasformabile, è impossibile trasformarlo. Dovrebbe semplicemente essere spezzato, distrutto. Abbiamo visto la trasformazione del sistema sovietico in quello di Eltsin, la trasformazione del sistema di Eltsin in quello di Putin: l’abbiamo vissuto, l’abbiamo visto. Sì, certo, l’attuale amministrazione regionale, ad esempio nella regione di Novosibirsk, il governo regionale, non assomiglia al comitato regionale del PCUS (in epoca sovietica, tutto il potere apparteneva al PCUS), ma ne è la sua naturale continuazione, è figlia del comitato regionale del PCUS. È un organo di governo completamente obsoleto, non è ciò di cui la regione ha bisogno, non è ciò di cui ha bisogno la gente. Sarebbe bello che quei ragazzi con il notebook e lo zaino potessero cambiare qualcosa. Ma mi sembra che molti di loro, con i loro zaini, siano partiti per il Portogallo, o come minimo per l’Armenia e il Kazakistan. E quelli che sono rimasti… Lo vedevo osservando i miei studenti, è chiaro che non c’entrano niente con il sistema putiniano. Ma riescono ad immedesimarsi molto velocemente, a trovare subito le parole necessarie per riprodurre quel linguaggio.
Ebbene, forse questa è l’esperienza della povertà che ha vissuto la generazione degli anni ’70 -’80, e per chi è nato negli anni Novanta, è stata la loro infanzia.
Naturalmente sono anch’io un po’ materialista. Anch’io penso che “le condizioni materiali determinano la coscienza”. Ma sono proprio questi ragazzi (la generazione degli anni ’90) che capiscono come far apparire qualcosa di tangibile dal puro spirito, dal semplice pensiero. Cioè, che si può scrivere un programma, passare due mesi a promuoverlo, ricavarne, non so, 1.500 dollari e poi andarsene da qualche parte all’estero.
Questi ragazzi sono i migliori nel “trasformare l’acqua in vino”. Noi, in generale, siamo materialisti incalliti e dobbiamo inventare, per così dire, un “contenitore per le cose”, costruire tutto, non lasciare niente al caso. L’aspetto materiale si è rivelato in tutto il suo peso ora, nella campagna (con alte ricompense) per la partecipazione alla guerra (in Ucraina), e me ne rendo conto anche con orrore. Nei primi anni Duemila, in quegli anni satolli, ci si era illusi che il mondo materiale perdesse importanza. Ma questo è accaduto ovunque, non solo in Russia, in tutto il mondo e anche nel cosiddetto “Sud globale”, è iniziata una forte decriminalizzazione, nelle cose di tutti i giorni.
Cosa voglio dire? Ricordo ancora cosa hanno rubato i ladri nella mia infanzia. Cioè, la cosa peggiore che poteva accadere alla tua famiglia era che i topi d’appartamento si introducessero in casa tua e rubassero tutte le tue cose. In qualche modo coincidevamo con le nostre cose: c’era il cappello di pelo, il televisore, il videoregistratore che tuo padre aveva portato da un viaggio d’affari in Giappone … Queste erano le proprietà, gli oggetti preziosi della famiglia. Negli anni Novanta, inizio anni Duemila il valore del benessere materiale è bruscamente cresciuto, e questi beni, che erano dappertutto, sono aumentati di valore a causa dell’impoverimento generale del Paese. E poi all’improvviso hanno perso ogni valore. È chiaro che se compri un videoregistratore o qualunque altro elettrodomestico per 10 mila rubli (100 euro) in un negozio, se cerchi di rivenderlo anche subito non potrai prendere più di 2 mila rubli (20 euro). Per questo hanno smesso di rubare radio dalle auto, di scassinare gli appartamenti per prendere videoregistratori e così via. C’era la sensazione che, in effetti, il mondo materiale stesse in qualche modo perdendo di importanza, che la gente fosse sazia, che procurarsi tutto il necessario fosse diventato davvero molto semplice.
A Mosca c’ea una sorta di consumo simbolico, un consumo smodato, con certe marche, così come nelle città di media grandezza. Poi la cosa non ha più avuto importanza: vai a comprarti un paio di jeans, li trovi senza problemi per 150 rubli (15 euro) in qualunque posto. Non è più un problema. E all’improvviso, in mezzo a tutto questo, sento storie mostruose, per esempio con queste Lada Granta (una marca di automobili russa, lo Stato russo dona o dà soldi per comprarle alle famiglie dei soldati uccisi o mutilati nella guerra in Ucraina). Non mi invento niente, è davvero così. Immaginate, un uomo è disoccupato, non fa nulla, poi si arruola e guadagna 200 mila rubli (2000 euro), che non avrebbe mai potuto guadagnare da nessun’altra parte. Ma io dico: fai due più due e chiediti che tipo di Stato è questo, che non può offrire la possibilità di guadagnare non dico 200 mila, ma nemmeno 70 mila rubli (700 euro) con un lavoro normale, e per guadagnare questi soldi devi andare in guerra! Ma questa semplice riflessione non la fa nessuno …
E così si instaura un materialismo nuovo, banale, primitivo, definire i bisogni materiali: acquistare questa Lada Granta, chiudere un mutuo, qualche altra piccola cosa. L’esigenza è così ridotta da sembrare mostruosa, e in effetti lo è. È orribile!
In Russia, come era prevedibile, a causa del protrarsi della guerra, è emerso e si è già fatto notare un movimento di mogli e madri di cittadini russi mobilitati. Quali pensi siano le prospettive di questo movimento?
Sono convinto al 100% che si tratti di una risorsa di protesta. Ma c’è una cosa che mi spaventa e una cosa che mi è incomprensibile.
Ciò che mi spaventa è ciò che me lo rende comprensibile. Queste donne hanno uno scopo ben preciso, riportare a casa i loro uomini, i figli, i mariti e così via. È certo quindi che, non appena questi ragazzi cominceranno a tornare dalla guerra in un numero soddisfacente e senza troppi mutilati, questo movimento finirà nel nulla. Non è un movimento politico, è un movimento che ha un obiettivo molto specifico. Non sono contro la guerra, non hanno l’obiettivo di cambiare il regime. Al contrario, sono tutti lealisti, almeno a parole.
Loro, queste donne, non si pongono domande su cosa diavolo siano andati a fare lì, in Ucraina, i loro uomini mobilitati. In questo senso, non credo che siano una vera forza. La vera domanda è se questa risorsa verrà utilizzata da qualcuno, se potrà essere utilizzata da qualche politico. E ancora, se la situazione non si risolve, è possibile che vadano “con i forconi” da chi ritengono colpevole. Ma riguarderà comunque un livello relativamente basso, può essere un governatore cattivo che non vuole parlare con loro, o magari un commissario militare o il Ministro della difesa … Possiamo dire che questo movimento è molto controllato. Non credo abbia grandi prospettive.
E c’è un altro punto contraddittorio che può essere considerato da due diverse prospettive. Alcuni analisti dicono che le autorità non correranno il rischio di arrestare o fare pressione su queste donne, perché i loro mariti al fronte sono armati, e non è chiaro contro chi e dove punteranno queste armi. A me sembra che sia esattamente il contrario. Cioè, i mariti armati sono, a tutti gli effetti, dei civili senza diritti, in prima linea, alle cui spalle c’è lo sbarramento (“o avanzi, o ti spariamo noi”). E direi che dalle informazioni che ci arrivano, le cose stanno esattamente così. Sono già andati dai mariti delle donne più attive e hanno detto loro: “Davvero vuoi andare in prima linea? Davvero vuoi andare all’attacco? Se no, dì a tua moglie di stare zitta lì, ad esempio, a Krasnoyarsk.” Ecco perché penso che in generale questo movimento sia certamente un problema per il regime, ma non è un superproblema, è piuttosto un fattore irritante, una questione da risolvere. Penso che con l’aiuto degli UVP regionali (dipartimenti politici interni delle amministrazioni regionali) sistemeranno tutto. Le proteste verranno messe a tacere: un po’ con i soldi, un po’ perché gli uomini cominceranno a tornare dalla guerra. Sicuramente dopo queste cosiddette “elezioni” presidenziali. Faranno tornare coloro che erano stati mobilitati e in qualche modo ne recluteranno di nuovi.
Credi che ci sarà una nuova mobilitazione?
Ne sono certo. Magari non le sarà data grande risonanza come la prima volta, magari sarà strisciante. In molti a un tratto scopriranno che non possono lasciare il Paese, magari un vigile li fermerà per eccesso di velocità e ritirerà loro il passaporto, o verranno chiamato per dei colloqui.
Mi sembra che sarà esattamente a questo livello e che sarà un fenomeno di massa. E penso che succederà come la prima volta: Mosca, San Pietroburgo e le città con più di un milione di abitanti saranno meno colpite, perché lì il fenomeno sarebbe più evidente. Ma diciamo, a livello di qualche Kamen-na-Obi (una piccola città dell’Altai, nel sud della Siberia), porteranno via tutti coloro che non sono stati presi nella prima ondata. Prenderanno proprio tutti, fino ai 50-55 anni. Sarà semplice, è già chiaro agire così non è assolutamente un problema per loro (le autorità).
Capita di ascoltare e leggere i sondaggi di opinione condotti da Russian Field. Come commenteresti il paradosso rivelato un mese fa dai loro sondaggi che rilevavano come il 70% degli intervistati sostiene le azioni militari in Ucraina e, allo stesso tempo, circa la stessa percentuale alla domanda “Se Putin firmasse un accordo di pace e mettesse fine alla SVO, sosterreste una simile decisione?” Rispondeva sì, cioè, il 70%. Quindi come spiegare questo paradosso? Schizofrenia?
Sono sicuro che la sociologia sia propria delle persone libere, non può esserci sociologia in una società totalitaria. La risposta più semplice è che per alcune risposte del questionario si rischia il penale (discredito dell’esercito, notizie false, insulti ai sentimenti nazionali e così via). Questa è la risposta più semplice. Poi, una persona non è obbligata ad essere, come si suol dire, coerente. Questo è del tutto normale: lo spirito di contraddizione vive in ognuno di noi. Cioè, come si dice in quella battuta, “soprattutto odio i razzisti e i negri”. Ecco, qui è più o meno lo stesso. Ed è davvero una sorta di “schizofrenia” diffusa: la società è intontita da questa “droga” patriottica. La società è portata a un parossismo di odio e cattiveria, ma, allo stesso tempo, ha bisogno di una sorta di stabilizzazione. E tutto ciò non riflette in alcun modo l’opinione della singola persona: l’individuo è come sotto l’effetto di una droga. Non credo ai meccanismi di quella che viene chiamata propaganda frontale (diretta): cioè, quello che mi è stato mostrato in TV è ciò in cui credo. Penso che tutto sia molto più complicato, i processi cognitivi che avvengono negli esseri umani sono molto più complessi. È un insieme di stereotipi, di idee mitiche e astratte sul bene e sul male. Sono sicuro che un numero enorme di questi “patrioti” (sostenitori della guerra con l’Ucraina), forse nella fase iniziale, erano contrari alla guerra, ma ora la situazione si sta sviluppando in modo tale che “non ci si può fermare”, bisogna, come si suol dire, “vendicare i nostri ragazzi”, “anche loro vengono uccisi lì”, e così via. Cioè, queste sono ragionamenti che funzionano. In questo senso non vedo alcuna contraddizione. Senza dimenticare che è in corso una divinizzazione di Putin. Abbiamo così tanta fiducia nel Leader che siamo pronti a tutto, seguendolo. Se dice: “Fermiamoci!”, siamo pronti alla pace.
Quando me ne sono andato nel marzo 2022, tra le altre cose, me ne sono voluto andare da questa schizofrenia, perché essa comporta cose molto strane dal punto di vista di una persona normale: scrivere una delezione contro un vicino o picchiare chi non è d’accordo con la mia opinione. È una società completamente malata, è malata sotto tutti gli aspetti. Quello che in sociologia viene chiamato “crisi della norma”, cioè quando la società giustifica cose del tutto ingiustificabili. È impossibile vivere in una società del genere se sei una persona normale, e io mi considero tale.
Cosa ti aspetti dall’opinione pubblica europea nell’attuale situazione in Russia e per quella parte della società civile che oggi è in esilio? Quale supporto possono fornire le forze civili europee?
Ad essere sincero, non mi aspetto nulla, perché ho capito molto tempo fa, e questo è naturale, che tutte le società, e questo è logico, convivono con i propri problemi interni. Bene, da molto tempo siamo considerati un lazzaretto, la Russia è considerata così. La parola “Russia” è uguale a zero, lo capisco anche io. Ma capisco anche perfettamente che, d’altro canto, questa non è una situazione che richiede un intervento umanitario da parte degli europei. E il fatto che alcuni paesi, come la Germania, considerino invece necessario un intervento umanitario e rilascino visti umanitari, penso che sia semplicemente un miracolo. È davvero un miracolo. È quello che non accadde durante la seconda guerra mondiale, come racconta Remarque in “La notte di Lisbona”. Allora non c’erano visti umanitari, corridoi umanitari. Lì la gente semplicemente, per così dire, si trascinava in qualche modo fino a Lisbona, e poi cercava di partire per l’America.
Perché gli organismi europei dovrebbero essere coinvolti nei nostri problemi? L’Europa non è direttamente minacciata in questo momento.
Penso che tutti vogliono che il conflitto resti regionale. Ciò richiede un intervento umanitario, perché la gente è sotto i bombardamenti e l’Europa la accoglie. I russi non vengono bombardati, ma quelli che vengono “bombardati” dal regime grazie a Dio vengono accolti dalla Germania e da altri Paesi. Possiamo solo ringraziarli dal profondo del cuore.
Cos’altro puoi aspettarti da loro? I propri problemi innanzitutto: vivono bene perché non si immischiano negli affari degli altri. Ma capisco anche che l’America non si preoccupa affatto dei nostri problemi: dei russi, degli ucraini e di tutti gli altri. Si preoccupano per la propria crisi con gli immigrati, per la disoccupazione, per il welfare e così via. Ancora una volta, c’è una sorta di storia valutativa, cioè hanno già fatto una valutazione e ne hanno tratto una conclusione anche economica. I rubinetti dei gasdotti sono già stati chiusi o lo saranno a breve. Rinunceranno alle risorse energetiche, rinunceranno a tutto. Gli “appestati” (i russi), dal canto loro, metteranno un bel lucchetto. Basta, finito. Cos’altro ci si può aspettare? Penso che questa posizione sia assolutamente legittima. Non vedo alternative
E se parliamo dei milioni di componenti della società civile russa in esilio, cosa può fare per loro l’opinione pubblica europea?
Mi sembra che l’Europa, come l’America, cercherà semplicemente di integrarla. Ed è effettivamente la cosa più giusta da fare, data la situazione demografica e la difficile situazione delle risorse umane per il mondo del lavoro, soprattutto qualificate. E, a proposito, per quanto strano e triste possa essere, penso che la stessa cosa accadrà a una parte significativa dei rifugiati ucraini. È molto più facile per l’Europa integrarli piuttosto che spendere soldi per creare una mitica “quinta colonna”, che un giorno minerà il potere in Russia. Perché? Non è forse successo così anche con i rifugiati spagnoli in URSS negli anni ’30? Apparvero semplicemente gli “spagnoli sovietici”, che non influenzarono in alcun modo la politica della Spagna sotto Franco, e in molti casi non vi tornarono nemmeno dopo la morte del “caudillo”. Così è adesso: se questo è uno specialista IT, allora lascia che ci sia uno specialista IT che impari a parlare portoghese, ma basta anche l’inglese. Può tranquillamente lavorare dal Portogallo per aziende americane, cioè per imprese transnazionali. E per dirla tutta, anche Alexander Bayanov, che per le sue specificità probabilmente non riesce a integrarsi molto bene da nessuna parte, verrà integrato come “esperto sulla Russia”, cioè come uno specialista che sa qualcosa di quel “lazzaretto”. Se vuoi capire qualcosa sulla Russia, chiedi a Bayanov. In questo senso, penso che anche la professione di “sovietologo” (come venivano chiamati in Occidente gli specialisti dell’URSS) stia riprendendo vita, perché questo delirio che sta accadendo, deve essere in qualche modo interpretato, tradotto in un linguaggio comprensibile all’Europa. Questa interpretazione per l’Europa sarà fatta più semplicemente partendo dall’Europa. E in modo più utile. È solo nei sogni erotici dei nostri agenti di sicurezza russi che esiste una sorta di terribile “quinta colonna” che l’intera Europa alimenta e che aspetta solo di deporre Putin. L’Europa semplicemente non dà fastidio a nessuno, in forza del trionfo delle istituzioni democratiche e della libertà di opinione. Ma per l’Europa stessa sarà molto più utile integrare gli emigranti, piuttosto che guardare da bordo campo i litigi dell’“opposizione russa” sul proprio territorio.
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