Ivan Zhdanov

«La Russia non è il nemico dell’Ucraina. Il nemico è il regime dittatoriale di Putin»

di Alexander Bayanov

Avvocato, politico e attivista dell’opposizione russa, noto per essere stato uno stretto collaboratore di Alexei Navalny, Zhdanov dirige la Fondazione Anti-Corruzione - Fbk, dichiarata un’organizzazione estremista dal Governo di Putin. Oggi vive in esilio: «I dittatori hanno paura della verità, per questo impongono la censura, arrestano giornalisti e oppositori politici. Ma nonostante la repressione, milioni di persone in Russia continuano a resistere»

Io e Ivan Zhdanov ci siamo conosciuti nel 2015, durante le elezioni a Novosibirsk (la città capoluogo della regione di Novosibirsk nella Federazione Russa e del circondario federale della Siberia). Ma era una conoscenza piuttosto formale: sapevamo l’uno dell’altro, ci scambiavamo qualche parola, ma niente di più. Ma quando Ivan Zhdanov è arrivato a Milano per la cerimonia di inaugurazione di un cippo commemorativo dedicato ad Alexei Navalny, abbiamo avuto l’opportunità di incontrarci di persona e parlare davvero.

Ivan Zhdanov è un avvocato, politico e attivista dell’opposizione russa, noto per essere stato un stretto collaboratore di Alexei Navalny. Si è laureato in giurisprudenza all’Università Statale di Mosca e nel 2017 è entrato a far parte della Fondazione Anti-Corruzione (Fbk), diventando uno dei suoi avvocati principali. Successivamente, ha assunto la direzione dell’organizzazione proprio nel momento in cui la pressione da parte delle autorità si faceva sempre più forte. Zhdanov ha coordinato le inchieste anticorruzione della Fbk, che riguardavano alti funzionari russi. Il suo lavoro diventava sempre più rischioso e, nel 2021, quando la Fbk è stata dichiarata un’organizzazione estremista, Ivan ha dovuto lasciare la Russia. Tuttavia, anche dall’estero, ha continuato la sua attività politica. Nel suo Paese natale sono stati aperti diversi procedimenti penali contro di lui. È stato inserito nella lista dei ricercati a livello federale e internazionale. Ha trascorso circa due anni in carcere. È stato condannato a tre anni di reclusione, ma nel 2023 è stato rilasciato con la libertà condizionale. Ora Ivan continua la sua attività di opposizione dall’estero.

Per la prima volta, un monumento ad Alexei è stato eretto con il sostegno delle autorità comunali e del consiglio municipale, e la sua inaugurazione si è svolta a un livello molto alto. Quali sono le sue emozioni riguardo al fatto che ciò sia accaduto a Milano, uno dei più grandi centri mondiali?

In realtà, ho due pensieri principali. Primo, il monumento è nato dall’iniziativa dei cittadini: 26mila persone hanno votato per la sua installazione. Secondo, il consiglio comunale non solo ha sostenuto l’idea all’unanimità, ma ha anche stanziato fondi per realizzarla. È un caso unico. Questo è molto nello spirito di Alexei. Ha sempre voluto che le persone prendessero l’iniziativa, creassero progetti civici e si unissero. In questo senso, Milano rappresenta un modello a cui dovrebbe ispirarsi la futura Russia: un sistema decentralizzato, con reali poteri locali. Questo esempio è molto incoraggiante. Sembrerebbe che l’inaugurazione di un memoriale sia un atto simbolico, ma per noi ha un enorme significato. È per questo che Daria Navalnaya è venuta qui, e anch’io ho ritenuto importante essere presente. Siamo orgogliosi di questo monumento. Il memoriale è un luogo speciale: le persone si fermano, leggono, riflettono. Navalny ha sempre creduto nella forza di questi movimenti dal basso: è così che dovrebbe funzionare la democrazia. Vorremmo vedere lo stesso anche in Russia. 

Qual è il messaggio più importante che ci lascia Alexei Navalny?

Navalny credeva che la democrazia in Russia fosse possibile e ha dedicato la sua vita a questa lotta. Era convinto che il male sarebbe stato sconfitto. La sua morte è una tragedia, ma oggi vediamo memoriali in suo onore in tutto il mondo – in Italia, in Portogallo, in Francia. Sono certo che un giorno potremo erigere monumenti ai veri eroi anche in Russia. 

Quali sono le prospettive della lotta contro il regime di Putin?

Non esiste una formula magica per la vittoria, ma uno degli strumenti più potenti è la verità. I dittatori hanno paura della verità, per questo impongono la censura, arrestano giornalisti e oppositori politici. Hanno paura di chi dice: “Il re è nudo”. Nonostante la repressione, milioni di persone in Russia continuano a resistere. Guardano notizie indipendenti, diffondono informazioni, si sostengono a vicenda. Questo è importante, perché la solitudine in un regime autoritario può portare alla disperazione.

Navalny credeva che la democrazia in Russia fosse possibile e ha dedicato la sua vita a questa lotta

Ivan Zhdanov

Cosa possiamo aspettarci nei prossimi anni in Russia?

Sappiamo che il regime di Putin è in crisi. La guerra in Ucraina è in una fase di stallo, l’economia sta crollando, cresce il malcontento sociale. I soldati russi tornano a casa e trovano solo povertà e abbandono. Questo è un pericolo latente per il regime. 

Perché secondo te il Cremlino teme tanto un leader come Mattarella?

Il Cremlino lo teme perché rappresenta i valori della democrazia europea, capace di opporsi al regime di Putin. Putin sa che il suo potere si basa sulla divisione dei Paesi democratici. Se l’Europa è unita, lui perde forza. Per questo cerca di influenzare i Governi e sostenere chi può creare instabilità, come in Ungheria, dove vengono bloccate le sanzioni contro i politici russi.

Cosa ne pensi delle tensioni tra russi in esilio e rifugiati ucraini?

La Russia non è il nemico dell’Ucraina, il nemico è il regime dittatoriale. Gli ucraini in patria lo capiscono meglio di quelli che vivono oggi in Europa. Il nostro nemico comune è la dittatura che opprime entrambi i popoli, e contro di essa dobbiamo combattere insieme.

Come può l’opposizione russa organizzarsi per il futuro?

Navalny è stato eliminato perché era un vero leader dell’opposizione, una minaccia per Putin. Il Cremlino non teme un’opposizione frammentata, teme un’opposizione unita. Per questo è fondamentale rimanere organizzati e prepararsi per il giorno dopo la caduta di Putin. L’Europa sta capendo che lui non è solo un pericolo per la Russia, ma per tutto il mondo democratico. Se questa consapevolezza fosse arrivata prima, nel 2022, la situazione sarebbe potuta essere diversa. Ma meglio tardi che mai. Putin si è messo all’angolo da solo. La sua fine potrebbe richiedere anni, ma è fondamentale non arrendersi, come diceva sempre Navalny.

Come ha visto la decisione di Alexei di tornare in Russia? Molti ancora non capiscono perché abbia fatto questa scelta. Forse, se avesse saputo della guerra, sarebbe rimasto all’estero?

Nel suo libro, Alexei descrive in dettaglio cosa provava quando prendeva questa decisione. La ragione principale del suo ritorno era l’amore per il suo paese e per le persone in Russia. Non poteva stare lontano da loro, anche se era costretto all’esilio.Non riesco a immaginare Alexei in esilio. Non sarebbe stato lui. In un certo senso, non aveva scelta: il suo carattere, le sue convinzioni, i suoi principi non gli permettevano di restare all’estero. Il suo libro aiuta a comprendere meglio perché è tornato.

La Russia non è il nemico dell’Ucraina, il nemico è il regime dittatoriale

Ivan Zhdanov

Perché è importante sostenere i prigionieri politici?

Molto spesso sono persone comuni che semplicemente non hanno voluto scendere a compromessi con la propria coscienza. Hanno continuato a dire la verità e ad agire in base alle loro convinzioni. A volte sono persone che si trovano casualmente schiacciate dal meccanismo repressivo, come mio padre, solo perché è mio padre. O come gli avvocati di Alexei, che stavano semplicemente facendo il loro lavoro. Ma il modo in cui queste persone affrontano il loro destino le trasforma in simboli di libertà e resistenza. Diventano eroi, anche se hanno iniziato come persone comuni. Quando vivi sotto una dittatura, hai bisogno di supporto. E a volte sono proprio i prigionieri politici a darci forza. Alexei, nonostante la prigionia, le torture, la fame, affrontava le udienze con il sorriso, infondendo speranza agli altri. Oggi questo ruolo è svolto da centinaia di altri prigionieri politici.

Come sta tuo padre? C’è la possibilità di farlo uscire dalla Russia?

No, è impossibile. È sotto stretto controllo. Oggi Mosca è una dittatura digitale. Centinaia di migliaia di telecamere con riconoscimento facciale registrano ogni movimento, ogni spostamento. Mio padre è sottoposto a sorveglianza amministrativa. Quando va in polizia per firmare la registrazione, gli mostrano i tabulati di tutti i suoi spostamenti: dove è stato, su quale mezzo di trasporto ha viaggiato. Rimane nelle mani del regime di Putin. È un ostaggio politico di Putin. È una pressione costante, un controllo continuo. Ma questo non influisce sul mio lavoro: sono consapevole dei rischi, ma cerco di non farmi condizionare.

Qual è la situazione dell’interazione tra la famiglia di Navalny e le autorità per le indagini sulla sua morte?

Non posso rivelare i dettagli. Stiamo dedicando tutte le forze e le risorse della Fbk per scoprire la verità, ma qualsiasi commento potrebbe compromettere il nostro lavoro.

Ma il lavoro sta andando avanti?

Sì, il lavoro prosegue. Tutto ciò che è stato pubblicato nei media non proviene da noi. Ci limitiamo a registrare e documentare ciò che sta accadendo.

AP photo/Alexander Zemlianichenko/LaPresse

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