Qual è l'animale che di mattina cammina con quattro zampe, a mezzogiorno con due, e la sera con tre? L'enigma che la Sfinge poneva come condizione per l'ingresso alla città di Tebe, andrebbe oggi riformulato. La sera non è più sera e la vecchiaia, per l'uomo, non è solo tramonto. Anzi.
Basta leggere Immortali. Economia per nuovi highlander, l'ultimo libro di Nicola Palmarini, edito da Egea, per capire che le cose, mai come ora, sono più complesse. Più vivaci e dunque più complesse. Palmarini è Global Manager of Aging & Accessibility Solutions di IBM. Il suo è un libro documentato, scritto con stile, ricco di storie, dati, informazioni. Un libro tanto godibile, quanto provocatorio e spiazzante nella sua capacità di rovesciare stereotipi (uno su tutti: "giovane è meglio"), senza cadere in altri stereotipi ("vecchio è saggio"). Un bagno di realtà utile, necessario. Lo consigliamo.
Invecchiamo troppo classicamente
Prendiamo i dati Istat e limitiamo lo sguardo al nostro Paese. In Italia gli over 65 anni sono 13,6 milioni e rappresentano il 22,6% della popolazione totale. Questo significa che in Italia ci sono 173 anziani ogni 100 giovani rientranti nella fascia tra 0 e 14 anni. Nel 1951, gli over sessantacinquenni erano 31 ogni 100 giovani. Un cambio radicale.
Eppure, osserva Palmarini, «stiamo invecchiando troppo classicamente». Forse perché questi numeri, uniti a considerazioni generiche sull'dentità biologica, orientano discussione e ragionamento sulla longevità, mentre lo sguardo andrebbe rilanciato altrove. Sulla provocazione dell'immortalità, per esempio.
«Bombardati dalle prorompenti statistiche sui trend demografici – spiega – tendiamo ad associare il fenomeno a una sorta di enorme cristallo nel quale, superata una soglia d’età, tutti rimaniamo indistintamente invischiati. Una goccia d’ambra che lentamente dilaga come un oceano capace di accoglierci, timida e quieta quanto solo la natura può essere, per poi trattenerci, muta, assente, silenziosa senza più permetterci di uscirne».
Stiliamo classifiche basate sull’età, parliamo di un Paese che invecchia, sprofondiamo nella retorica giovanilistica… Qualcosa ci sfugge. Cosa?
Tutto. I dati non si traducono automaticamente in tragedia e se diventiamo tutti più vecchi, non significa che siamo tutti già morti. C'è un senso di disprezzo in certe affermazioni, ma c'è anche un senso di non presa d'atto di una realtà: la popolazione over 60 è un motore di crescita dell'economia globale. Anzi, uno dei più importanti motori di crescita.
Eppure ne parliamo come di un peso, unicamente in termini di spesa sanitaria, crisi di competenze…
Chissà quando ci accorgeremo che è un tema importante. Il McKinsey Global Institute, nel suo Global Growth: Can Productivity Save the Day in an Aging World del gennaio 2015, prevede che gli ultra sessantenni potranno generare almeno la metà della crescita di tutti i consumi urbani entro il 2030.
Tecnologie emergenti, tecnologie abilitanti
Come è arrivato a occuparsi di questo tema?
Lavoro da almeno dieci, dodici anni su questa materia. All'inizio mi sono preoccupato di capire come le cosiddette emerging technologies – internet delle cose, dispositivi mobili e via discorrendo – potessero servire d'aiuto, in particolare nel caso delle disabilità. Mi sono accorto di un errore che consiste nell'associare immediatamente la disabilità all'ageing, ovvero al processo di invecchiamento. Le cose vanno distinte, anche se la tecnologia è un supporto importantissimo per entrambe le situazioni. Pensiamo alla casa e all'aiuto che le tecnologie possono dare per vivere in maniera più indipendente.
La casa è, simbolicamente e concretamente, il luogo degli affetti. E dei desideri. Desiderio: altra parola chiave del suo libro…
L'associazione fra desideri e longevità è un aspetto che ancora non è entrato nel dibattito corrente. Ma se comprendessimo a fondo – in termini politici, economici, sociali – quello che grandi brand hanno già compreso, ovvero che questa nuova umanità invecchiata è carica di desideri potremmo pensare a modelli per vivere la rivoluzione demografica come opportunità, anziché come tragedia.
Eppure anche molti brand continuano a cadere in errori. Sostituiscono stereotipi a stereotipi…
Perché associando vecchiaia e futuro pensano a sicurezza, salute, sanità e assicurazioni. Il tema viene generalmente affrontato in una chiave di "qui e adesso". C'è molto bisogno di un "qui e adesso", ma non si può non guardare in prospettiva. Case di riposo, dispositivi di emergenza: parliamo di questi temi, temi necessari, ma non ci accorgiamo delle reali necessità di persone che dovrebbero essere soggetti delle nuove opportunità offerte dalla tecnologia. Ed è qui che entra il tema sulla differenza fra desideri e necessità.
Un tema cruciale…
Cruciale perché è come se, passata una certa soglia d'età, automaticamente considerassimo una persona non più portatrice di desideri, ma unicamente di bisogni e necessità. Vengo dunque al punto dei desideri:
E, di conseguenza, la trattiamo come un costo…
Dopo la fatidica soglia dei 60-65 anni, collochiamo e ci collochiamo in una sorta di cristallo, una goccia d'ambra che ti prende dentro, vedi fuori cosa accade, ma dalla goccia d'ambra non esci più. Diventi un fossile finché, un giorno, qualcuno ti recupererà. L'altra cosa incredibile è che generalizziamo. Chiunque cade nella goccia d'ambra viene assimilato a un altro, mentre sappiamo benissimo che in una goccia d'ambra troviamo differenze incredibili. Più volte nel libro ripeto che la soglia di "ingresso nella vecchiaia" andrebbe alzata ai 75 anni, ma al di là di questo è proprio la visione a farci difetto. Una visione che colloca chi riteniamo "vecchio" in un angolo della società dove le uniche necessità da soddisfare sono in attesa della morte. Punto.
Troppi eroi significa meno attenzione alla vita concreta delle persone….
L'offerta verso queste persone, il trattamento dei linguaggi di queste persone, la considerazione di queste persone è terribile. Ad oggi, siamo ancora lì a celebrare i supereroi che a novant'anni scalano l'Everest o fanno la maratona, ma questa sarà sempre di più la norma. Dobbiamo sviluppare una narrazione che sfugga all' eccezionalità e si concentri sulla normalità. Anche perchè è singolare come, varcato il limite, della nostra rappresentazione nel discorso pubblico scompaiono i desideri. Scompare la sessualità, scompare il divertimento, scompare la volontà di imparare, scompare tutto.
Resta solo lo scheletro della sofferenza…
Diventiamo quegli oggetti che qualcuno, nell'immaginario collettivo, ha collocato in un segmento fatto di mere necessità.
Cadiamo in una sorta di sanitarizzazione del welfare che, a ben guardare, c'entra poco con la dimensione complessiva del benessere… Questo anche nelle strategie narrative…
Se vecchiaia fosse sinonimo di medicine il tema sarebbe già chiaro. Ma oggi siamo davanti a una nuova sfida, quella dell'immortalità.
Longevi, immortali, highlander
Un passaggio dalla longevità all'immortalità che va capito. I malintesi sono dietro l'angolo…
Il rischio è l'esoterismo, Ma le tematiche della geroscienza sono cruciali. Va davvero capito che cosa si sta muovendo dietro la ricerca biologica, tecnologica, farmacologica combinate. Il vero salto epocale che stiamo vivendo è la combinazione di silos di ricerca che agivano con metodologie completamente diverse, ma che adesso stanno cominciando a orientarsi verso un approccio ingegneristico. Questo sta portando, nel campo biomedico, a qualcosa che solo cinque anni fa era inimmaginabile.
Che cosa significa se decliniamo queste innovazioni nell'ambito della longevità e dell'immortalità?
Significa che stanno avanzando davvero. Significa che tutto quello che abbiamo in mente rispetto alla possibilità di prevenire, di curare e, in particolare, di curare alcune patologie croniche, che sono quelle che tipicamente ci portano ad accumulare una serie di danni sulla nostra evoluzione psicofisica, può portare a uno scenario nuovo. Anche se non vogliamo sposare la tematica del transumanesimo, considerarla sarebbe un gravissimo errore.
Perché è una possibilità concreta?
Perché è una possibilità concreta. Ci sono fior di scienziati, centri di ricerca, nuclei di lavoro serissimi che stanno lavorando in questo ambito. C'è poi il mercato dei test del DNA che sta avanzando e, a brevissimo, irromperà anche in Europa.
Rimettersi in gioco
Questo è cruciale anche per l'economia…
Pensa alla parola inglese retirement. Indica, letteralmente, un ritirarsi dalla vita. Alla fine, questa parola definisce un ritirarsi in attesa di qualcosa che non può essere che la morta. Il che contrasta con le opportunità che ti mette a disposizione le tecnologie di cui parlavamo prima. Faccio un esempio: un'auto con pilota a guida autonoma. Ci rendiamo conto di quali opportunità può rappresentare per un disabile o per una persona che, semplicemente, ha bisogno di un supporto nella mobilità? In una riunione di lavoro ho lanciato una provocazione: questa è la più evoluta tra le sedie a rotelle. Dobbiamo usare le parole con tatto, ma dobbiamo anche capire dove vogliamo arrivare. In questo caso, io penso e sono fortissimamente convinto che le tecnologie debbano essere viste come qualcosa di diverso dal mero lusso.
Come forme abilitanti…
Se il tema è l'isolamento e se l'isolamento è legato al trasporto, allora se domani avessimo a disposizione flotte di Tesla che, da sole, vengono a prendermi e, se non voglio o non posso guidare, mi conducono dove mi serve e poi mi riportano a casa…. Ecco, pensiamo alla rivoluzione che rappresenterebbe e alla grande opportunità che abbiamo: continuare a vivere una vita attiva, anche quando alcune condizioni vengono meno.
Continuare o ricominciare una vita activa, magari in altre forme. Che cosa ne pensa?
Tutti noi abbiamo due, tre vite che avremmo voluto fare. Ma inevitabilmente abbiamo dovuto farne altre, per come è disegnata la società, per occasione o per caso. Ecco, perché non cominciamo o ricominciamo da qui: dalla possibilità di rimettersi in gioco? La morale comune non vuole che ci si rimetta in gioco e frappone ostacoli.
Perché è così importante rimettersi in gioco superata la "fatidica soglia"?
Pensiamo la questione in termini di welfare: sarebbe una rivoluzione se riuscissimo a sistematizzare la questione. Ci sono competenze incredibili che vengono disperse, non fanno sistema, non generano relazioni perché la società non le mette a valore. Sarebbe una rivoluzione se riuscissimo invece – pensiamo ai manager, ma anche agli artigiani – a far sì che queste competenze non vengano parcheggiate in un angolo.
Dal passaggio generazionale alla circolarità generazionale: questo è un punto su cui il non profit ha molto da dire.
Nel mio libro dedico un capitolo alla questione, anche se mi riferisco allo specifico degli Stati Uniti. L'economia del volontariato, fatta spesso di manager o persone che rimettono in gioco le proprie competenze, è un'altra risorsa che nessuno pensa di sfruttare a livello di sistema. Anche perché appena si mettono in relazione le parole "volontario" e "sfruttare" sorgono una serie di luoghi comuni che immediatamente bloccano la questione sul nascere. è un retaggio di cui ci dobbiamo liberare, perché impedisce di fare quel passo avanti che arricchirebbe tutti.
Un esempio concreto?
Ho un amico, un grande manager, che non è riuscito a ricollocarsi per i propri desideri e, oggi, mette le sue enormi competenze al servizio di progetti pro bono. Se guardi quei progetti capisci il livello di competenza, di efficacia, di intelligenza che può esprimersi a partire dal rimettersi in gioco, soprattutto nel sociale.
Abbiamo un mercato che si apre, una possibilità che si apre, ma ci serve uno scenario.
Avremmo bisogno di un modo diverso di raccontare. Magari leader giovani potrebbero introdurre la materia, sgomberando il campo da questa inutile e infruttuosa diatriba fra giovani e anziani. Serve una nuova alleanza intergenerazionale, ma serve soprattutto perché la nostra società sta andando verso una quarta età della vita. Soprattutto in Europa, dove il tasso di longevità è altissimo. Ma c'è anche la Cina. Ecco allora aprirsi un'ulteriore sfida per le nostre economie: se stabilisco delle pratiche di innovazione legate a gestire quella circolarità generazionale di cui parlavamo, visto che in Europa ne avremmo la competenza e l'esperienza, allora potremmo letteralmente vendere questo modello su mercati che non hanno questa esperienza dell'invecchiamento in un grosso contesto sociale, urbanizzato e organizzato, come il nostro. La Cina ha una cultura fantastica sull'invecchiamento, ma in un contesto rurale che si sta industrializzando. Noi viviamo in un contesto definitivamente industrializzato con sempre meno ruralità. Questo aspetto potrebbe essere uno dei piloni su cui si potrebbe davvero costruire l'economia di un intero continente. Ma manca la visione, perché manca la narrazione che ci porti fuori dalle secche di un welfare visto solo come "tappabuchi", di un invecchiamento visto solo come peso e costo sociale e di un patto intergenerazionale che vediamo unicamente come sostituzione di vecchi con giovani e non come circolarità dei saperi, delle relazioni, delle competenze. La sfida è aperta.
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