Cooperazione internazionale

La prima Breast Unit della Palestina parla italiano

di Francesco Unali

Grazie a un progetto di Associazione Centro Elis, AICS e Università Campus Bio-Medico di Roma, oggi le donne palestinesi hanno un centro di riferimento di livello europeo. Finora chi voleva sottoporsi a screening oncologici doveva recarsi all’estero, in Giordania e in Israele. Già 300 le pazienti visitate, con 26 tumori scoperti precocemente

Il sorriso si apre all’improvviso sulla bocca di Shakib, 35enne cittadina di un villaggio a pochi chilometri a Betlemme, mentre inizia a raccontare la sua esperienza nell’ospedale di Beit Jala (Betlemme): lei è una delle primissime donne curate dalla prima Breast Unit palestinese, realizzata grazie a un progetto di cooperazione internazionale voluto da Associazione Centro Elis con AICS e Università Campus Bio-Medico di Roma. Stretta nel chador color verde oliva che ben si intona con la sua carnagione e le incornicia il volto, Shakib appare felice di raccontare una storia andata a buon fine, dopo tanta paura. «Un giorno, alcune settimane fa, ho toccato il mio seno come faccio spesso e ho sentito qualcosa di strano, qualcosa di diverso. Avevo saputo da una mia parente che aveva appena aperto un nuovo servizio presso il nostro ospedale e sono andata a chiedere cosa potevo fare. Grazie ai medici della Breast Unit dell’ospedale di Beit Jala ho fatto le indagini senza dover lasciare la mia città e in pochi giorni ho scoperto che il mio seno è a rischio tumore, poiché sono state trovate molte microcalcificazioni che nel tempo possono trasformarsi in tumore». Shakib lo ha scoperto nel suo ospedale, effettuando l’esame stereotassico delle microcalcificazioni, impossibile da fare in Palestina fino a poche settimane fa. I ricordi si susseguono e Shakib passa da un’espressione seria a un sorriso pieno di gioia. Mentre parla, guarda con intensità la direttrice dell’ospedale e la case manager presenti al nostro incontro e raccontando le sue paure e le sue speranze, svela la rivoluzione arrivata nella sua vita e nella sanità palestinese. «Senza la Breast Unit avrei dovuto andare all’estero, ma non so quante difficoltà avrei dovuto attraversare. Quando ho capito come lavorano i medici della Breast Unit ho voluto dirlo alle mie amiche e alle donne del mio paese, e ho preso volantini e manifesti per farla conoscere».

Prima dell’apertura della Breast Unit a Beit Jala infatti le donne palestinesi che volevano sottoporsi a screening oncologici dovevano recarsi all’estero, in Giordania e in Israele, e aspettare fra i 4 e i 6 mesi, un periodo in cui le condizioni di salute possono aggravarsi seriamente. Tutto questo è cambiato grazie a un progetto italiano della Ong Elis, supportato dall’ufficio di Gerusalemme di AICS e realizzato sul campo dai medici del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, grazie al quale oggi le donne palestinesi hanno a disposizione un centro di riferimento di livello europeo a pochi chilometri da casa. La Breast Unit dell’Ospedale di Bejt Jala è stata presentata il 9 dicembre, con una grande partecipazione da parte dei medici dell’ospedale e della popolazione locale, sempre più coinvolta sui temi della prevenzione del tumore al seno. Dal suo avvio, nel settembre scorso, la Breast Unit – che può contare su apparecchiature moderne come un Ecografo, un Mammografo con Tomosintesi e sistemi informatici – ha già aiutato oltre 300 donne di tutta la Palestina a verificare precocemente la presenza di un tumore e a intervenire tempestivamente. In prospettiva gestirà 150 pazienti l’anno tra diagnosi, trattamenti e controlli programmati, pari a circa il 40% di tutti i casi di tumore al seno che ogni anno si registrano nei territori palestinesi (387 nel 2014, secondo fonti del ministero della Sanità palestinese).

Nei primi due mesi di attività sono stati scoperti 26 casi di tumore e sono state avviati i percorsi personalizzati di cura per ogni paziente. Tutto questo è possibile solo in una struttura realmente vicina alle persone: un centro senologico multidisciplinare realizzato secondo i criteri stabiliti dall’Unione Europea nel 2003 e messi in pratica dai diversi Paesi sin dal 2016. In essi oncologi, senologi, chirurghi plastici, radiologi, infermieri lavorano in stretto coordinamento per affrontare tutti gli aspetti mettendo al centro il paziente, e rendendo più rapida possibile la diagnosi e meno invasivo il percorso di cura, in caso di diagnosi positiva.

«Da oggi anche in Palestina è possibile effettuare tutti gli esami diagnostici, dalla ecografia alla mammografia, alla biopsia, per lo screening del tumore al seno e ottenere i risultati entro una settimana e in caso di diagnosi di neoplasia intervenire subito», ha spiegato Nafez Sarhan, direttore della Breast Unit, che ha presentato i risultati dei primi due mesi insieme al vice ministro della Sanità Asad Ramlawi e al ministro della Sanità Jawad Awwad, che ha ricordato l’importanza dello scambio di conoscenze tra medici e tecnici italiani e quelli palestinesi. «La Breast Unit è l’emblema della condivisione delle esperienze tra medici, specialisti e tecnici di radiologia di due popoli: italiano e palestinese», ha detto. «Questo ha permesso di introdurre, per la prima volta in Palestina nuove metodiche che hanno portato risultati eccezionali, dimostrando l’importanza della comunicazione e della condivisione al di là delle differenze culturali. Qui in Palestina non può che renderci onore poter fornire alla popolazione un servizio paragonabile agli standard italiani ed europei».

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Al taglio del nastro erano presenti anche Fabio Sokolowicz, Console Generale della Repubblica Italiana e Cristina Natoli, direttore della Sede Aics di Gerusalemme, insieme al vicepresidente dell’associazione Centro Elis Daniele Maturo e al vicepresidente dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, Davide Lottieri. Con loro anche il responsabile della Breast Unit del Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, Vittorio Altomare, che ha guidato la formazione dei medici palestinesi con incontri e corsi in Italia e Palestina: «Il nostro è stato un percorso scientifico e umano molto ricco, che ha permesso di colmare un vuoto molto importante nella sanità palestinese, un ritardo che riguarda anche alcune regioni italiane che non hanno ancora individuato le loro Breast Unit. Noi continueremo a essere vicini a medici e infermieri palestinesi per accrescere questo patrimonio e portare il loro tasso di guarigione ai livelli delle donne europee. Nei prossimi mesi apriremo un reparto di ricovero dedicato alle donne, daremo il via all’utilizzo della tecnica a ultrasuoni intraoperatoria per la chirurgia oncoplastica, acquisiremo una nuova tecnica per l’individuazione del linfonodo sentinella. Insieme daremo vita a uno studio scientifico e infine, nel marzo 2019, terremo il secondo convegno congiunto italo-palestinese presso la sede dell’Università Campus Bio-Medico di Roma». Il progetto proseguirà infatti fino al 2020.

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