“Silenzio! Parlano i bambini” è il titolo scelto dall’impresa sociale Con i Bambini, nata per sostenere progetti sperimentali per il contrasto della povertà educativa, per celebrare i cento anni dalla nascita di Mario Lodi, “il” maestro d’Italia. Ascolto e partecipazione sono le parole chiave dell’eredità di Mario Lodi nel ritratto che ne traccia Marco Rossi-Doria, maestro di strada e ora presidente dell’impresa sociale Con i Bambini. Un compito tanto più urgente oggi.
Che maestro era Mario Lodi, al di là della retorica che occasioni celebrative come questa rischiano sempre di avere?
Io l’ho conosciuto quando ero un giovane maestro che cercava di imparare il mestiere. Ho vinto il concorso nel 1975, eravamo quindi alla fine degli anni ’70 e frequentavo i corsi del Movimento di Cooperazione Educativa. Mi colpivano molto due cose. Da un lato mostrava cosa si fa e come si fanno le cose in una classe, qualcosa che ci serviva come il pane perché noi eravamo già in aula, ma volevamo fare una scuola diversa. Ovviamente c’erano delle differenze: io stavo in una periferia di Napoli e lui a Vho, lui aveva vissuto la povertà del dopoguerra che era diversa da quella con cui avevo a che fare io, ma entrambi sapevamo cosa significa la povertà per un ragazzino che entra in classe. Era prezioso quel “come fare”, l’artigianato serio del mestiere: i tempi di lavoro, l’organizzazione della classe, la dimostrazione che le cose si potevano fare con pochi mezzi, che non servivano sussidi didattici altisonanti, che si poteva fare il giornalino con un rullo, anche senza un ciclostile. Nel fare tutto questo, ed è un tratto del suo carattere che lo contraddistingueva, si rivolgeva a noi come colleghi alla pari. Lui aveva già scritto Il paese sbagliato, tutti noi giovani lo avevamo letto e consideravamo Lodi per quello che è, un grande maestro, e invece lui si metteva in dialogo con noi come colleghi alla pari, ascoltava moltissimo, era in dialogo vero con le persone. Quindi direi che Mario Lodi, come persona, era pacatamente carismatico, fortemente dialogico, capacissimo di ascolto. Credeva moltissimo nelle cose che faceva, ma non aveva mai tono apodittico o declamatorio, assoluto o radicale.
Mario Lodi aveva già scritto Il paese sbagliato, tutti noi giovani maestri lo avevamo letto e consideravamo Lodi per quello che è, un grande maestro, e invece lui si metteva in dialogo con noi come colleghi alla pari, ascoltava moltissimo, era in dialogo vero con le persone.
La seconda cosa che la colpiva qual è?
Era assolutamente evidente che tutto per Mario Lodi passava attraverso i ragazzi, lui li conosceva benissimo perché li aveva sempre osservati con attenzione. In questo senso, le cose che oggi si dicono e si scrivono di lui non sono retoriche, sono la verità. I ragazzi per lui erano al centro: i ragazzi e i diritti dei ragazzi per come sono. La Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia è del 1989 ma lui La scuola e i diritti del bambino l’aveva scritto già nel 1983. Il tema sono i diritti della persona bambina, il suo diritto di essere già cittadino, fin dall’infanzia. Il bambino nasce cittadino e deve saperlo fin da piccolissimo. Quando formava i docenti, lui gli parlava del bambino, non dello scolaro: a scuola davanti a lui c’era non lo studente ma il bambino portatore di diritti, non solo formalmente inalienabili ma concretamente fruibili. La scuola democratica di quegli anni era questo: il luogo privilegiato dove avveniva la crescita del cittadino.
Questa visione del bambino come cittadino, non come scolaro, che corrispondenza ha con la modalità di essere maestro di Mario Lodi?
Fortissima. Il maestro lavora a scuola, ma non può esimersi dall’essere riferimento di comunità. Il maestro deve essere un esperto di apprendimento, deve sapere come imparano i bambini – e i bambini apprendono facendo e guardando, essendo protagonisti del loro apprendimento, questa è la scuola attiva – ma come esperto di questo processo aiuta la propria comunità a far crescere la cittadinanza intorno e ben oltre i muri della scuola. Per il maestro Mario Lodi l’impegno civile non è né premessa né prosieguo dell’impegno a scuola: è la stessa cosa, giocata su più piani.
Il bambino nasce cittadino e deve saperlo fin da piccolissimo. Quando formava i docenti lui gli parlava del bambino, non dello scolaro: a scuola davanti a lui c’era non lo studente ma il bambino portatore di diritti, non solo formalmente inalienabili ma concretamente fruibili.
Il disegno, la scrittura collettiva di Cipì, il giornalino, i banchi in circolo… Quali pratiche didattiche o approcci fra quelli che Mario Lodi ha portato vanno riscoperti?
Tutti parlano dell’enorme dono creativo che Mario Lodi aveva, della fantasia della narrazione che gli era propria… erano un dono che lui giocava pienamente ma effettivamente non è che tutti i maestri lo devono avere. Ce lo puoi avere o no. Noi “rubavamo” da lui alcune cose, cercando di adattarle al “dono” che ciascuno di noi aveva. Una lezione che resta è il fatto che l’espressività per lui non era mai alternativa al rigore. Non è che il giornalino bello e creativo potesse avere un testo non corretto e ordinato. Non è che se costruisci un oggetto geometrico, i calcoli passano in secondo ordine. Lui era oltre quella inutile discussione che c’è anche oggi e che trovo sempre più stucchevole per cui chi accoglie non è rigoroso e chi è rigoroso non accoglie. I due aspetti non solo possono convivere ma anzi si esaltano reciprocamente. La didattica non trasmissiva, l’importanza del gioco, della creatività, della fantasia e della libera espressione vanno a braccetto con la cura delle grammatiche, degli strumenti, dei rigori e si rafforzano l’uno altro. Mario Lodi è un esempio luminoso di questa possibilità, anzi direi di questa evidenza. Invece anche oggi si sente dire che nella scuola creativa o dei sentimenti non ci può essere un apprendimento rigoroso… ma quando mai. Rileggiamo i diari di Mario Lodi, la sua puntuale registrazione dell’azione didattica ed educativa insieme… c’è un repertorio sterminato di questa evidenza.
Il maestro lavora a scuola, ma non può esimersi dall’essere riferimento di comunità. Per il maestro Mario Lodi l’impegno civile non è né premessa né prosieguo dell’impegno a scuola: è la stessa cosa, giocata su più piani.
Per Franco Lorenzoni – un altro maestro di razza, che ha appena scritto la prefazione a Il paese sbagliato, ripubblicato da Einaudi 52 anni dopo la sua comparsa – la «lezione senza tempo» di Mario Lodi è la capacità di un ascolto autentico dei bambini: «L’Italia non è più il Paese rurale raccontato nei suoi libri. E gli scolari non restano impietriti davanti all’insegnante. Ma i bambini hanno sempre bisogno di essere ascoltati. La metà di loro sono figli unici. Immersi in un flusso audiovisivo ininterrotto, cercano nel virtuale una via di fuga dalla solitudine», scrive. «Oggi molti maestri non sanno che cosa sia la discussione. E non pensano che i bambini possano essere in grado di sostenerla».
Intanto bisogna entrare nelle singole classi, non facciamo l’errore di dire che “la scuola” non sa ascoltare. Io ancora oggi, che di insegnanti ne ho visti tanti, ho spesso delle sorprese: mi capita un’insegnante che non mi dice nulla ma poi entra in classe e diventa una piccola Mario Lodi perché sta in relazione educativa autentica con i ragazzi. E invece c’è quella che fa tante chiacchiere ma poi… Una cosa che vale sempre del metodo della scuola attiva democratica è creare una circolarità comunitaria nella classe, poni un problema e inizi una discussione, con le congetture, le ipotesi, i dubbi. La discussione è il metodo per arrivare alla conclusione: tutt’altra cosa rispetto al “dogma” offerto dal docente. È il metodo di tutta la storia dell’umanità, ma qui diventa il metodo di quella classe specifica, che discutendo impara. Il maestro affianca il gruppo di bambini nell’esplorare il mondo. Si impara meglio, si impara di più e si impara ad imparare per tutta la vita. Chi fa questo sta già nel solco di Mario Lodi.
L’ascolto dei bambini e dei ragazzi dopo il Covid ha un valore specifico?
Dopo un’esperienza così spaesante e difficile, bisogna consentire ai bambini di prendere parola per dire come hanno vissuto questa esperienza enorme. Questa parola non può essere anticipata dalla parola dell’adulto. Ci deve essere un momento – dei momenti ripetuti molte volte – in cui la parola sia dei ragazzi, non la nostra. Non possiamo più mettere nella loro bocca quello che noi adulti pensiamo che loro abbiano provato e vissuto. Se è vero in generale che si impara discutendo, a maggiore ragione lo è dopo un’esperienza che interroga l’umanità sui suoi limiti e su cosa potrà avvenire. Sono loro che vivranno il futuro, non noi. Anche se sono una minoranza numerica, perché siamo un paese demograficamente profondamente squilibrato. Questo è il tempo per la loro parola e la nostra capacità ascoltare. In questo ascolto Mario Lodi è uno dei pochi maestri.
Ci deve essere un momento in cui la parola sia dei ragazzi, non la nostra. Non possiamo più mettere nella loro bocca quello che noi adulti pensiamo che loro abbiano provato e vissuto. Se è vero in generale che si impara discutendo, a maggiore ragione lo è dopo l’esperienza della pandemia. Questo è il tempo per la loro parola e la nostra capacità ascoltare. In questo ascolto Mario Lodi è uno dei pochi maestri.
Il maestro oggi chi è?
Quello che accompagna nell’apprendimento, che ti accompagna e ti rispetta come persona in crescita. Martin Buber diceva del "mettersi di lato" rispetto ai processi di apprendimento, senza sempre stare a dire come si deve fare una cosa. Le maestre – perché va detto così, al femminile – imparano pian piano a fare questa cosa bellissima, lasciando perdere l’ansia di controllare: guidano il processo ma accompagnando, indicando le possibilità. Sono queste le maestre che fanno bene il loro mestiere.
Per conoscere le iniziative dell’anno centenario di Mario Lodi www.centenariomariolodi.it
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