Ventisette anni, una laurea in ingegneria gestionale al Politecnico di Milano già in tasca, Alice Degradi, è uno dei volti relativamente nuovi della nazionale femminile di volley del ct Davide Mazzanti che qualche settimana fa ha conquistato le finali di Nations League negli Stati Uniti, perdendo poi con la Turchia.
A 13 anni ha scoperto di avere il diabete di tipo 1, una malattia autoimmune che colpisce soprattutto bambini e ragazzi e che porta il sistema immunitario a distruggere le cellule del pancreas che producono insulina. «Quando è arrivata la diagnosi ero già piuttosto alta, in piena adolescenza e avevo la sensazione che il mondo mi stesse crollando addosso», racconta a VITA.
«Ho avuto paura di non poter più giocare a pallavolo e di non poter avere una vita normale, di non essere più come gli altri. È stato un momento molto buio». È andata meglio solo quando ha saputo che nella sua società giocava una ragazza più grande, anche lei con il diabete. Mi ha mostrato che si poteva vivere bene anche così! È stato grazie al suo supporto e all’esperienza maturata di giorno in giorno che ho recuperato energie e mi sono ripresa in mano la mia vita».
Il problema, osserva, è che la gestione del diabete, ancora oggi, a distanza di 14 anni, ogni tanto è più facile, ogni tanto meno. «Purtroppo non dipende solo da quello che mangi: il livello di stress, il quantitativo di attività fisica che pratichi, la temperatura esterna, e mille altri fattori, possono impattare sui valori della glicemia». Ad esempio, lo stato febbrile e lo stress provocato dalla malattia determinano una insulinoresistenza (la stessa quantità di insulina ha quindi meno effetto). Oppure, «quando trascorro due o 3 giorni senza praticare sport devo cambiare radicalmente la mia dieta».
La mia vita, come quella di tutte le persone diabetiche, è una continua ricerca di un equilibrio precario. Se non vivi questa esperienza sulla tua pelle non potrai mai capire
Nelle partite si vede bene che Degradi indossa dei cerotti colorati per proteggere il sensore che ha sul braccio: quel sensore, che va cambiato con frequenza, è quello che le permette di monitorare il valore della glicemia e di correggerla in tempo reale. Quando i valori sono troppo bassi – e il corpo comincia a manifestare pallore, tremore e vertigini – è necessario introdurre dello zucchero semplice nel corpo come succhi di frutta, bibite, zollette di zucchero; diversamente quando è troppo altro è necessario intervenire con delle “penne” di insulina (cioè iniezioni sottocute). «Come ogni diabetico, faccio “penne” di insulina anche prima di ogni pasto».
I moderni schemi di terapia prevedono, in genere, un’iniezione d’insulina ad azione rapida prima dei tre pasti principali e un’iniezione d’insulina ad azione ritardata prima di andare a dormire. (Qui sono disponibili quattro guide chiarissime a cura dell’ospedale Bambino Gesù sulla gestione del diabete pediatrico)
Il diabete di tipo 1 è una malattia ancora poco conosciuta, nonostante i numeri siano in rapida crescita (In questa intervista avevamo raccontato come al San Raffaele di Milano i pediatri registrino un nuovo caso ogni tre giorni).
Le domande dei genitori
«C’è tanta disinformazione: molti confondono il diabete di tipo 1 che ho io (molto più raro), con il diabete di tipo 2 che è quello più diffuso, specialmente tra gli anziani», osserva Degradi. Lei stessa, molto spesso, riceve messaggi da famiglie che hanno figli diabetici che le chiedono dei consigli per capire in che modo si può praticare sport anche a livelli alti, pur convivendo con la malattia.
Quello che rispondo loro è che l’avere il diabete non è una condizione incompatibile con la pratica sportiva, nemmeno ad alti livelli. Solo bisogna imparare a gestire bene la malattia, perché possono capitare episodi in cui fare tanta attività fisica da un lato aiuti il tuo corpo, ma dall’altro, se non è ben gestito, lo metta in difficoltà
Qualche mese fa, al torneo di tennis Roland Garros, il tedesco Alexander Zverev, a cui è stato diagnosticato il diabete di tipo 1 quando era piccolino, ha acceso i riflettori sulla necessità degli atleti di iniettarsi l’insulina anche durante un grande slam. «In un match di cinque set potrei aver bisogno anche di quattro o cinque siringhe per la mia salute. Se non mi faccio l’iniezione, visto che sono diabetico da quando ho tre anni e mezzo, la mia vita è in pericolo», aveva spiegato. «Diversi medici specialisti mi dicevano che sarebbe stato impossibile essere competitivi. Poi, a un certo punto, ho realizzato che ero diventato il numero 2 del mondo, avevo vinto l’oro olimpico, ed era arrivato il momento di aiutare gli altri», raccontò su Instagram nel corso della presentazione della Alexander Zverev Foundation, associazione con lo scopo di fornire aiuto ai bambini che soffrono di diabete.
Hanna, il personaggio Lego con il diabete
Lego ha introdotto di recente Hanna, un personaggio femminile che ha un sensore minuscolo sul braccio e tiene in mano il cellulare, da cui controlla i valori della glicemia. In Italia è contenuto proprio in un set ambientato in una palestra.
«Penso che sia una bellissima idea perché aiuta i bambini interagire con la malattia e ad iniziare ad interfacciassi questa patologia! Sarebbe fantastico se ci fosse anche una Barbie diabetica, perché aiuterebbe i più piccoli, e in modo particolare le bambine, ad accettarsi e a sfatare gli ideali di perfezione che la società moderna ci impone. La bellezza non è quasi mai perfetta! Non vorrei che assomigliasse a me: mi sentirei in soggezione», sottolinea.
Una vita piena di successi sportivi
La scorsa stagione Degradi ha indossato la maglia del Busto Arsizio, nel ruolo di schiacciatrice e prima ancora nel Cuneo, nel Brescia e Firenze. Con l’Under 18 ha conquistato l’oro al Torneo 8 Nazioni nel 2012 e la medaglia d’argento ai Campionati Europei del 2013.
«Ho iniziato a giocare a pallavolo a Pavia a 11 anni: una passione che mi ha passato mia madre, da lì è stato amore! Da piccola in realtà volevo diventare una calciatrice!».
Scegli la rivista
dell’innovazione sociale
Sostieni VITA e aiuta a
supportare la nostra missione
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.