L'accoglienza solidale

La nuova vita di Killian dopo la protesi dell’occhio

di Ilaria Dioguardi

Cinque anni, un grande sorriso e la voglia di stare con gli altri. È Killian oggi. Fino a qualche mese fa era un bambino chiuso, che aveva perso il sorriso e il desiderio di giocare. In Perù gli hanno asportato l’occhio in seguito a un neuroblastoma, senza la possibilità di mettere una protesi. La mamma Andrea: «Qui in Italia abbiamo ritrovato il sorriso»

Killian e sua mamma Andrea sono ospiti dell’associazione Kim, a Roma, da tre mesi. La realtà si occupa di accoglienza, tutela e ospedalizzazione di minori italiani o stranieri gravemente ammalati, che vivano in condizioni di disagio economico e sociale, spesso provenienti da Paesi in guerra o da Paesi senza strutture sanitarie adeguate. Torneranno in Perù tra un mese. «Nella casa di Kim abbiamo trovato una famiglia. Con la protesi dell’occhio di mio figlio è iniziata una nuova vita, per lui e per me».

Andrea, cosa può dirci della diagnosi fatta a Killian?

In Perù a Killian, quando aveva quattro anni, hanno diagnosticato una forma molto aggressiva di retinoblastoma, l’enucleazione dell’occhio era l’unica strada possibile per evitare una metastasi. Trovare un ospedale in grado di intervenire è stata una dolorosa corsa ad ostacoli. Dopo essere stati “rimbalzati” da un ospedale all’altro, al terzo ospedale hanno capito cosa avesse Killian e l’hanno seguito. Ma non mi hanno spiegato bene cosa avesse: mi hanno solo detto che aveva il retinoblastoma e che doveva togliere l’occhio, se no rischiava di morire. Dopo l’operazione, non abbiamo ricevuto più alcuna assistenza. Killian è rimasto senza protesi con gravi rischi di infezione e senza ulteriori controlli. Per questo siamo arrivati in Italia e oggi siamo ospiti dell’associazione Kim. 

Come avete scoperto il retinoblastoma?

In seguito ad una fotografia fatta con il flash, abbiamo visto che l’occhio di Killian era bianco, così abbiamo deciso di andare a fare una visita dal medico per accertamenti.

Come siete venuti a conoscenza dell’associazione Kim?

La zia di Killian, mia sorella, conosceva una signora in Italia. L’ha contattata per capire se nel vostro Paese c’era la possibilità di curare Killian. Questa signora ha contattato Kim e da lì è partito tutto.

(Foto Andrea Ortenzi)

Com’era la vita di Killian prima di arrivare in Italia?

La vita sociale di Killian e mia era complicata. Fino a un po’ di mesi fa, in seguito all’asportazione dell’occhio, mio figlio era un bambino chiuso, aveva perso il sorriso e il desiderio di giocare con gli altri bambini. L’associazione Kim ha cercato qualcuno che potesse fornire una protesi al bambino (che è stata fornita dall’Ocularistica italiana nella persona della dottoressa Alessandra Modugno, con la quale da anni Kim collabora e che fornisce ai bambini ospiti dell’associazione protesi gratuite, ndr). Siamo venuti per impiantare questa protesi.

Com’è andato l’impianto della protesi?

Dopo pochi giorni dal nostro arrivo a Roma, tre mesi fa, è stata data a Killian una prima protesi di prova. Dopo altri controlli, gli è stata fornita una protesi più grande, adatta al cranio attuale di Killian. Prima di tornare in Perù, la dottoressa ce ne darà un’altra più grande in previsione della crescita di mio figlio. Poi vediamo cosa succederà. Questo processo durerà fino all’età adulta. Tra un mese torneremo in Perù e rimarremo in contatto con l’associazione. Ho imparato a pulire, togliere e mettere la protesi, posso seguirlo io e poi, quando ci sarà bisogno, torneremo per i controlli e per le successive protesi in Italia.

Come sta Killian con la protesi?

Le protesi hanno la motilità, il bambino ora muove gli occhi in modo naturale e nessuno si accorge che ci sia una protesi. Dopo l’operazione, ho domandato in Perù se era possibile avere la protesi, ma il dottore mi ha risposto che ne hanno diritto solo i bambini con un tumore, quindi dopo l’asportazione Killian non ne aveva più diritto. Ha detto che si trattava solo di una questione estetica.

Come vi trovate nella casa di Kim?

Molto bene e vedo Killian felice. Quando eravamo in Perù mi sono sentita poco seguita, qui in Italia mi sono sentita accolta. La cosa più bella è vedere Killian contento, sempre con gli altri bambini, ha socializzato molto, grazie anche all’animazione degli scout. A causa della sua malattia, in Perù era chiuso, non socializzava, per me era una sofferenza vederlo così. Qui abbiamo ritrovato la felicità. Ho avuto un incidente di percorso che mi ha fatto preoccupare qualche giorno fa.

Che incidente di percorso?

Lavando la protesi, a Killian è caduta nel lavandino. So quanto vale. Ma la dottoressa Modugno, molto generosamente, ce ne ha procurata un’altra.

Siete stati aiutati per le spese del viaggio?

L’associazione Kim ci ospita, per i biglietti del viaggio ci hanno aiutato in parte il contatto che mia sorella aveva in Italia e in parte la Kim.

Oltre alla protesi, Killlian ha fatto dei controlli a Roma?

Un problema del retinoblastoma è che spesso colpisce entrambi gli occhi. In Perù non è stato sottoposto ad un controllo all’altro occhio. Qui a Roma il bambino è stato sottoposto ad una visita di controllo dell’occhio sinistro, per fortuna perfettamente sano (dal dottor Romanzo, responsabile dell’Oncologia oculare pediatrica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, ndr).

Come si svolgono le vostre giornate?

La mattina passiamo molto tempo insieme agli altri bambini e alle altre mamme ospiti di Kim. Mi do molto da fare, è un modo per ringraziare: aiuto in cucina, innaffio i fiori, rassetto gli ambienti. Killian gioca molto, con gli scout e con i suoi amici coetanei. Spero che possa imparare qualcosa prima di andare a scuola. Fino a poco fa, prima della pausa estiva, delle volontarie maestre tenevano corsi di italiano ai piccoli ospiti di Kim e Killian ha sempre partecipato.

Com’è cambiata la percezione della vita futura, sua e di Killian?

Con la protesi Killian è un bambino nuovo. Dopo l’asportazione era molto chiuso, non usciva, non voleva stare con le persone, si vergognava. Ora è molto aperto. Io ho sofferto molto perché il medico in Perù parlava della gravità della malattia davanti al bambino, è stato molto pesante. Ora Killian è come gli altri, non si vergogna più.

Cosa vi portate nel cuore in Perù?

Abbiamo trovato una famiglia in casa Kim, un punto di riferimento. Mi trovo molto bene anche con le altre mamme: parliamo lingue diverse ma se abbiamo bisogno ci aiutiamo. Il linguaggio del cuore è universale.

Foto associazione Kim (foto in apertura Chiara Peluso, prima foto Andrea Ortenzi)

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