Attivista per i diritti delle donne e la giustizia sociale, educatrice, autrice del documentario “Il corpo delle donne”, una denuncia della rappresentazione degradante delle donne in televisione in Italia, visto da 20 milioni di persone e tradotto in 6 lingue, Lorella Zanardo ha presentato il suo ultimo progetto in anteprima a Milano. Realizzato con il regista e docente Cesare Cantù, in collaborazione con la Fondazione Il Lazzaretto, si chiama “Volto Manifesto”, ed è una campagna di sensibilizzazione che nasce per stimolare una riflessione aperta sulla trasformazione del volto nell’era digitale.
Al centro del progetto un video inedito che è stato presentato insieme al manifesto della campagna, per offrire spunti di riflessione sul tema dell’unicità del volto di fronte all’omologazione creata da un canone di bellezza stereotipata, veicolato dai social media, che vuole tutti i volti uguali, e si serve di strumenti come applicazioni per modificare i visi, fotoritocchi, videografica. Questa campagna intende restituire valore alla differenziazione, all’unicità dei volti.
Da 10 anni Lorella Zanardo si occupa di educazione nelle scuole. “Insieme ad altri attivisti, ho ideato il percorso educativo “Nuovi occhi per i media”, per formare gli adolescenti e gli insegnanti sul tema dell’educazione ai media come strumento di cittadinanza attiva. Cesare Cantù è il coordinatore di questi corsi. Migliaia di studenti e studentesse in tutta Italia hanno partecipato al programma e continueremo il percorso educativo con il nuovo progetto “Volto Manifesto”.
Per il suo impegno di attivista Lorella Zanardo ha ricevuto numerosi riconoscimenti. E’ stata premiata nel 2011 da Tiaw, The International Alliance for Women, con sede a Washington, come una delle 100 donne che stanno contribuendo a migliorare la condizione della donna nel mondo, e nel 2012 Tina Brown e il quotidiano online The Daily Beast l’hanno eletta una delle 150 donne più coraggiose nel mondo.
È membro della commissione di studio alla Camera dei Deputati per la Carta dei diritti in internet, e ha contribuito in particolare a scrivere le parti inerenti all’educazione all’uso consapevole di internet per i giovani. È stata anche docente nei Paesi dell’Est durante la transizione degli anni novanta e formatrice e consulente su progetti Ue. L’abbiamo incontrata all’anteprima della nuova campagna, nell’ambito del Festival della Peste!
In che modo il suo percorso biografico e lavorativo ha influenzato la sua scelta di diventare attivista?
Ho ricoperto incarichi dirigenziali in grandi organizzazioni internazionali e ho lavorato metà della mia vita all’estero: a Parigi soprattutto, in aziende anglosassoni e nei mercati di lingua tedesca. Lavorando in grandi organizzazioni sentivo il problema della mancanza di pari opportunità. Era più difficile lavorare per una donna, ma in Italia lo è di più. Sono sempre stata molto consapevole e attenta ai diritti delle donne, fin da ragazzina. Quando sono rientrata in Italia mi sono stupita della situazione delle donne nel Paese, e della loro rappresentazione in televisione, perché all’estero non c’è un’immagine così umiliante del genere femminile sullo schermo. Ho sentito la necessità di fare qualcosa. Sento moltissimo il patto intergenerazionale, il dovere di fare qualcosa per le ragazzine. È la cosa che mi muove di più nella vita. Da lì ho iniziato ad avere un ruolo di attivista per le donne e per i giovani.
E così è nato “Il corpo delle donne?”
Sì, e ha avuto un grandissimo successo. Quando è uscito “Il corpo delle donne” abbiamo messo il documentario gratuito online ed è stato visualizzato da 20 milioni di persone, un numero altissimo per un documentario. Il giorno successivo all’uscita il sito è andato in tilt dalla quantità di richieste, erano migliaia. Non ci aspettavamo nulla di simile. Il numero più consistente di richieste veniva da docenti delle medie inferiori e superiori, uomini e donne che ci chiedevano di dare loro strumenti per imparare a decodificare le immagini. Migliaia di scuole hanno adottato il video: moltissime professoresse di diverse materie ci raccontano che spesso iniziano la loro lezione proiettando il documentario, perché il tema del corpo è un problema per molti loro studenti, maschi e femmine. Vorremmo quindi fare questo percorso educativo anche per il nuovo documentario.
In cosa consiste il vostro programma di educazione ai media?
In seguito al successo della campagna “Il Corpo delle donne” e alla richiesta da parte dei docenti di dare loro strumenti per decodificare le immagini dei media, insieme ad altri attivisti, ho ideato il percorso educativo “Nuovi occhi per i media ”, per formare gli adolescenti e gli insegnanti sul tema dell’educazione all’immagine come strumento di cittadinanza attiva. Cesare Cantù è il coordinatore di questi corsi, che hanno coinvolto decine di migliaia di studenti e studentesse in tutta Italia, e continueremo questo percorso educativo con il nuovo progetto “Volto Manifesto”. Educazione ai media significa sapere leggere, analizzare e interpretare i media. È da 10 anni che siamo impegnati in questo percorso didattico. La “media education” è materia obbligatoria in quasi tutti i Paesi europei. Per quanto riguarda l’Italia, una raccomandazione dell’Unione europea invita le scuole a inserirla nel piano di studio. In un primo tempo educavamo gli studenti, adesso facciamo tantissimo lavoro con i docenti. Facciamo formazione dei formatori, quindi i docenti imparano a leggere le immagini e trasferiscono le loro competenze agli studenti.
Qual è la finalità di “Volto Manifesto”?
È una campagna educativa su un tema su cui c’è pochissima consapevolezza, e che riguarda i ragazzini, femmine e maschi, che passano moltissime ore al giorno sui social media, dove è imperante un canone di bellezza stereotipata che vuole tutti uguali, tutti perfetti.. Le ragazzine in particolar modo fanno molto uso di app sui social che modificano i tratti del volto sulla base di questi nuovi criteri estetici. Ci sono altri strumenti che vengono utilizzati, come il fotoritocco, la videografica, e infine anche la chirurgia estetica: oggi le ragazzine vanno dal chirurgo non più con la foto dell’attrice cui vorrebbero assomigliare, come si faceva anni fa, ma con il loro selfie modificato da app con filtri che alterano le facce, rendendole artificiali. Bisogna corrispondere a questo canone di bellezza, essere tutti uguali. Questa campagna vuole ridare valore alla differenziazione, all’unicità dei volti.
Come verranno diffusi il video e la campagna “Volto Manifesto”?
Costruiremo un sito ad hoc, che sarà online da gennaio 2020: il video della campagna sarà on demand ma ci saranno anche molti video correlati per aiutare a capire il tema della trasformazione del volto nell’era digitale. Sono temi nuovi e vorremmo rendere la gente consapevole del fatto che tutto questo sta avvenendo molto velocemente.
Qual è la causa di questa tendenza all’uniformazione imposta dai social?
Abbiamo fatto un’analisi dei post delle ragazzine su Instagram, dai quali traspare una grande sofferenza. Moltissime le ragazzine che scrivono: «Non sono adeguata, non corrispondo a quell’immagine…». La causa di questa tendenza all’uniformazione e alla modificazione dei volti è che c’è un modello forte unico a cui loro non corrispondono perché quel modello ti impone di essere perfetta: alta, magra, senza difetti. È un condizionamento molto forte perché oggi per tante persone i social sono la cultura da cui prendono la rappresentazione del mondo.
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