Inclusione sociale

La mensa nella quale si fa inclusione sociale di dodici giovani down

di Gilda Sciortino

Un’istituzione radicata nel territorio, il Convitto Nazionale di Palermo, nella cui mensa a portare il pranzo a 750 studenti sono dodici giovani down dell’associazione “Famiglie Persone Down”. Un modello di inclusione sociale che offre occasione di crescita allo stesso modo per i beneficiari di questo particolare servizio, grazie al quale si sviluppa anche quel senso di accoglienza che supera ogni differenza

La scuola di magia di Hogswarts nella quale potere vedere passeggiare Harry Potter? Sembra essere immersi in quell’atmosfera fuori dal tempo facendo ingresso al Convitto Nazionale “Giovanni Falcone” di Palermo e varcando la soglia del refettorio, dove ad accogliere gli studenti sono i ragazzi dell’associazione “Famiglie Persone Down”.

Loredana Alessi, Roberta Biondolillo, Domenico Carollo, Carmelo Comandè, Francesca Lanzetta, Giuseppe Lupo, Emanuela Osso, Melissa Pauguy, Giuseppe Plano, Agostino Rocca, Isabella Terruso e Maria Luisa Vaglica sono i ragazzi che ogni giorno, dalle 13 alle 15, “servono” nel refettorio i 750 studenti che fanno la pausa pranzo prima di tornare sui banchi e che, nei dieci ragazzi che compongono la piccola brigata, trovano una presenza irrinunciabile per questa istituzione scolastica, realtà che rappresenta un punto di riferimento per il territorio palermitano e non solo, in cui l'approccio didattico e pedagogico si completa con quello educativo. Un “tempo scuola” che si avvale del semiconvitto, organizzato in modo funzionale all'implementazione dell'offerta formativa con al centro la cura dell'alunno. Dallo sport agli scacchi, dalla musica al teatro e, ultima nata nel tempo, la curvatura del liceo in Teoria e Tecniche della Produzione Visiva e Cinematografica.

Un contesto molto particolare nel quale, durante il periodo del Covid, nasce e si sviluppa un rapporto con l’associazione “Famiglie Persone Down”.

«Tutto nasce per assicurare il distanziamento nella mensa – afferma il rettore del Convitto, Concetta Giannino -. I turni per il pranzo si erano estesi fino alle 16, quindi occorreva essere più veloci nell’apparecchiare e sparecchiare, acquistando stoviglie eco-compostabili a prezzi non sostenibili. Dovevamo pensare a un’altra soluzione. Da qui l’intuizione di coniugare l’efficacia economica e l’efficienza in termini sociali e pedagogici. Ci siamo così rivolti all’associazione per formare i ragazzi che ne fanno parte a un possibile lavoro nel campo della ristorazione. Nello specifico, essere di ausilio nell’apparecchiare e sparecchiare per velocizzare le turnazioni degli alunni a mensa».

Una scelta non casuale, sia perché l’associazione era conosciuta da alcuni insegnanti dello stesso Convitto, ma anche perché nel passato i ragazzi avevano già fatto più esperienze nel campo della ristorazione nella prestigiosa Villa Igiea e al Quinto Canto, un hotel del centro storico di Palermo dove si sono sperimentati nel servizio in sala e tra i fornelli.

Un incontro dal quale è nato uno dei più bei progetti di inclusione sociale che si possa ricordare. Un modello da esportare.

«Il progetto ha avuto una preparazione curata da professionisti, psicologi ed educatori – prosegue il rettore – ma anche l’importante sostegno dei genitori dell'associazione che vi hanno visto una motivazione al di sopra ovviamente della semplice formazione professionale per un eventuale sviluppo nel campo lavorativo. Questi ragazzi sono rinati, sono felici».

La dimostrazione di questo felice incontro? L’ entusiasmo degli stessi ragazzi.

«Ci piace questa attività – dice Isabella – anche perché sono tutti gentili. Ci piace prepararci per venire qui, dove possiamo fare quello che ci piace».

Più taciturno Agostino, come del resto la maggior parte di loro, che esprime con la spontaneità nel muoversi tra i tavoli il suo amare questo progetto.

«I nostri ragazzi sono sempre sorridenti, ma è il risultato del lavoro che facciamo quotidianamente – spiega il presidente, Pippo Rocca – anche perché un conto è gestire una sala e una cucina di ridotte dimensioni, altra cosa è una sala di 750 ragazzi. Oggi sono in mezzo ai tavoli, imbustano le posate, apparecchiano i tavoli, portano il pranzo agli studenti. Si sono integrati e hanno trovato figure di riferimento con il personale che non ha avuto problemi rispetto alla loro presenza. Normalmente, quando si fa inclusione e inserimento lavorativo, c’è un tutor aziendale, qui ne hanno trovati numerosi. Ovviamente gli studenti sono stati preparati al concetto di accoglienza, facendo vedere loro dei video e discutendo della disabilità».

Un bellissimo esempio di socialità e inclusione sociale, quindi, che serve a entrambi le parti.

«Serve sicuramente a fare socializzare anche i nostri ragazzi – sottolinea il direttore amministrativo, Salvatore Anemone -. A questo si coniuga il loro rendersi utili. Si può parlare di reciprocità nel momento del dare e ricevere, innescando un circolo virtuoso in linea con i principi del Convitto. I ragazzi dell’associazione, dal canto loro, vivono il calore e l’affetto personale di tutti perché sono stati sin da subito accolti a braccia aperte».

Uno scambio che si realizza anche su altri livelli.

«La cosa bella – si inserisce l’educatrice del Convitto, Enza Ciravolo – è che si sono inseriti subito e pienamente nella nostra realtà. Il protocollo che abbiamo con l’associazione prevede un piccolo corrispettivo economico che consente di dare loro una paghetta. Sono così responsabili che l’anno scorso, quando abbiamo organizzato la festa di fine anno, hanno ricevuto in regalo delle piantine che ci hanno voluto donare come ringraziamento per quel che stavano vivendo. In un‘altra occasione volevano offrirci la pizza, ma ovviamente non lo abbiamo permesso perché abbiamo voluto invitarli noi».

Un’atmosfera molto bella quella che si è creata sin da subito.

«Si sono fatti volere bene da tutti – racconta Lia Ingrassia, responsabile della mensa – anche perché sono così seri e responsabili che non si fanno sgridare n+ fanno qualcosa di sbagliato. Questo i nostri studenti lo avvertono, non percependo alcuna diversità. Un ottimo risultato, merito tutto loro».

Un lavoro che non comincia e finisce al convitto, ma che ha inizio da lontano.

«Quello che dovevamo verificare e superare – spiega Rosa Perrone, operatrice dell’associazione “Famiglie Persone Down” – era la possibile difficoltà di chi ha più o meno abilità, capacità e competenze matematiche utili a dividere il lavoro, abbinando coloro che potevano convivere in questa dimensione. Solitamente, infatti, in un ambiente così grande, nel quale i suoni si amplificano a causa della presenza di così tanti studenti, per ragazzi con sindrome di down non è così scontato riuscire a mantenere la calma. Potevano andare in tilt per la velocità con cui devono gestire il lavoro, ma hanno dimostrato e continuano a dimostrare grande maturità».

Fondamentali le emozioni in un percorso che, tra le sue tappe, ha inserito anche questa “fermata” al Convitto Nazionale “Giovanni Falcone”, per proseguire il suo viaggio alla volta di tante altre mete.

«A parte le consuete attività giornaliere – aggiunge l’operatrice dell’associazione – abbiamo i nostri weekend speciali, due al mese, che cominciano alle 16 del venerdì e si concludono alle 16 della domenica, durante i quali sviluppiamo un programma di attività che guardano al benessere dei nostri ragazzi. La loro età è compresa tra i 18 e i 40 anni, quindi hanno bisogno di attenzioni particolari. Applichiamo la metodologia della ricerca azione e della partecipazione».

Un weekend che il sabato li vede alzarsi alle 8, fare colazione, quindi seguire il programma in base al quale escono per godersi l’aria aperta, per esempio a Villa Tasca, di fronte la loro casa, dove possono vivere momenti di inclusione giocosa. Si va, poi, al museo, a teatro, al cinema, il sabato sera in pizzeria, trascorrendo il fine settimana all’insegna della cultura e della voglia di vivere esperienze sempre diverse.

«Non c’è nulla di imposto – afferma in conclusione Rosa Perrone – ma viene tutto programmato secondo la metodologia condivisa. Sperimentiamo l’autonomia, decidendo per esempio il menu, quindi andando fare la spesa insieme. Attraverso i “circle time” sviluppiamo momenti in cui si accolgono i progetti e le proposte. Lavoriamo sulle emozioni, proponendo anche laboratori in cui viene tutto comunicato e condiviso in base a un codice comune e metodologico che crea sinergia. Tutti, nessuno escluso, poi, amano redigere il diario di bordo, annotando ogni piccolo particolare. Si preparano non al “dopo di noi”, ma al “durante noi”, senza il quale non c’è futuro».

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