Famiglia

La disabilità non è una cosa che passa. Quindi adesso sorridete

di Sara De Carli

Leo ha 7 anni e mezzo e la sindrome di Charge. «Per me alla base di tutto c’è l’ironia, per scardinare l’idea che la disabilità faccia rima con tristezza o sofferenza», dice mamma Elisa. «Ci sono i momenti difficili, però bisogna anche capire che la disabilità non è una cosa che dura 5 minuti e poi passa… Quindi tutte le famiglie che vivono la disabilità cercano quotidianamente di trovare un equilibrio e di avere una vita gioiosa»

Mettersi in gioco senza mettersi in mostra. Diventare riconoscibili per dire la propria riconoscenza. Condividere il proprio privato per affermare che la disabilità non è una questione privata. Se la narrazione sulla disabilità sta cambiando è grazie anche a famiglie disponibili raccontarsi, come quella di Leo.

Leonardo – per tutti Leo, un “leone” coraggioso e travolgente – negli ultimi due anni è stato il protagonista della campagna “Un mondo di sì” della Lega del Filo d’Oro, insieme alla sua famiglia. È un bimbo con la sindrome di Charge, una malattia genetica rara che colpisce 1 bambino su 10mila. I suoi primi tre mesi di vita li ha passati in ospedale. Oggi ha 7 anni e mezzo ed è un vulcano di simpatia. «Siamo stati travolti dall’affetto, ci hanno riconosciuti al supermercato, al museo, persino al mare con la maschera da snorkeling… Nei posti più impensabili, ci sono sconosciuti che si avvicinano a noi e ci chiedono: “Lui è Leo, vero?”. È strano ma bello, perché le persone ci hanno dimostrato un grandissimo affetto, per noi e per la Lega del Filo d’Oro», racconta mamma Elisa. «Tutti volevano sapere di Leo e di quello che la “Lega” fa, di come trasformi la vita di chi non vede e non sente. È come se le persone volessero quasi “toccare con mano” questo “miracolo”. Noi siamo stati felici di raccontare quello che la Lega del Filo d’Oro ci ha dato e continua a darci. Sono stati anni emotivamente intensi da questo punto di vista, ma lo rifarei cento volte».

Nessuna difficoltà a parlare del vostro privato?

No, su questo aspetto non ho mai avuto difficoltà. Siamo molto social di nostro, non ci siamo mai nascosti e non abbiamo mai nascosto Leo. Tutto quello che facciamo come famiglia, lo fa anche Leo. L’altro giorno per esempio eravamo in coda in un museo, gli ho dato la merenda con la peg. Non solo, siccome dopo questa operazione gli si forma sempre un po’ di aria nella pancia, l’ho fatto sdraiare sulla panchina e gli ho fatto una manovra per aiutarlo a fare uscire l'aria.. Per me è una cosa normalissima, è la nostra routine. Per chi ci guarda… forse vedendolo fare capisce che non è una cosa poi così strana. La condivisione è importantissima, prima di tutto perché può servire a qualcun altro che sta vivendo una situazione simile alla nostra e poi perché così facendo, una passo alla volta, possiamo contribuire a cambiare la percezione che la società ha della disabilità.

Qual è per lei la chiave?

Per me alla base di tutto c’è l’ironia, lo scardinare l’idea che la disabilità faccia rima con tristezza o sofferenza. È chiaro che ci sono i momenti difficili ed è naturale che uno non vada a sbandierare in pubblico proprio quei momenti, però dobbiamo anche capire che la disabilità non è una cosa che dura 5 minuti e poi passa… quindi tutte le famiglie che vivono la disabilità cercano quotidianamente di trovare un equilibrio e di avere una vita gioiosa. È normale.

Leo è un bambino felice?

Felice?!? Di più. È una cosa incredibile, mi spiazza sempre, è uno showmen. È un bambino sereno, che affronta tutte le novità con energia e curiosità. Leo è totalmente sordo, non è servito nemmeno l’impianto cocleare e da un occhio non vede nulla: ma non è un bambino pauroso o titubante… si butta a capofitto in tutto, ha una enorme gioia di vivere che contagia chiunque. Non puoi non volergli bene, e non lo dico perché è mio figlio! Io credo che sia così perché abbiamo sempre cercato il modo perché anche lui potesse fare quello che facevamo noi, insieme. Non ci siamo mai comportati come se ci fossero dei limiti insormontabili e così lui si è sempre adattato, serenamente.

Oggi Leo ha 7 anni e mezzo. Che risultati ha raggiunto?

Abbiamo lavorato tanto per togliere pannolino e ora finalmente è senza: un traguardo che onestamente mi pareva impossibile. Va in biciletta senza rotelle, lui che non ha l’apparto vestibolare e che quindi non si sa da dove prenda questo equilibrio. È buffo, si applaude da solo. A settembre ha iniziato la prima elementare: era un grande passaggio, che mi preoccupava un po’. Ma è andata bene. Avrebbe bisogno di più ore di assistenza alla comunicazione – sono sempre troppo poche – ma poiché la primaria è nello stesso comprensivo della scuola dell’infanzia, Leo è circondato da tanti compagni che già negli anni scorsi hanno lavorato con lui. Gli vogliono bene e sono affettuosi con lui, ma non è solo questo: comunicano con lui in Lis, lo coinvolgono. A casa cercano di insegnare anche ai genitori la Lis. Questo è quello che mi rende felice. Abbiamo la fortuna di vivere un’esperienza di inclusione vera. Leo sta facendo progressi nel leggere e scrivere, sì, ma per un genitore la preoccupazione maggiore riguarda l’accettazione e inclusione e qui c’è un clima stupendo. Di certo c’è “lo zampino” della Lega del Filo d’Oro, che lavora in stretta sinergia con la famiglia e con la scuola, dando tanti consigli.

Gli altri bambini vogliono bene a Leo e sono affettuosi con lui, ma non è solo questo: comunicano con lui in Lis, lo coinvolgono. Questo è quello che mi rende felice. Abbiamo la fortuna di vivere un’inclusione vera. Leo sta facendo progressi nel leggere e scrivere, sì, ma per un genitore la preoccupazione maggiore riguarda l’accettazione e qui c’è un clima stupendo.

Elisa

Come comunica Leo?

È un bambino non verbale, sia per la sordità che per la tracheo. Usa la Lis e molto la CAA. Diciamo che è molto bravo nella comprensione, un po’ pigro nell’uscita. È come se a volte pensasse “questa cosa faccio prima a farla da solo che a chiederla”. È molto efficace in quello che fa. La Lis la usa eccome quando fa le bizze… si sa far capire bene.

Cosa rappresenta la Lega del Filo d’Oro per voi? Qual è l’aiuto più grande che avete ricevuto?

Per me la cosa più straordinaria della Lega del Filo d’Oro è che conoscono profondamente la sindrome di Leo e la sua condizione. È qualcosa di diverso da tutti gli altri posti che frequentiamo, perché anche negli ospedali talvolta Leo lo guardano come un alieno per via dei deficit sensoriali. Alla Lega del Filo d’Oro invece io non mi sono mai sentita insicura, mi sono sempre sentita guidata. Ci danno spunti efficaci, mirati, precisi che sono preziosissimi non solo per noi ma anche per tutti gli altri soggetti che poi sul territorio lavorano con Leo… Siamo stati a Osimo quattro volte, per dei trattamenti: aspettiamo con fibrillazione la prossima chiamata.

Leo ha un fratello maggiore, Lapo, di 11 anni. Com’è il suo rapporto con Leo?

Lapo è in prima media. Diciamo che Leo è un bambino simpatico ma anche dispettoso, il fatto di avere una comunicazione scarna lo porta spesso ad attirare l’attenzione con “entrate a gamba tesa”: i suoi “bersagli” preferiti in questo senso sono oggettivamente Lapo e i cani. È un rapporto di amore e odio, quindi. Da un lato Leo è un fratello minore e quindi per Lapo è un rompiscatole per antonomasia, dall’altro Lapo ha un grandissimo senso di responsabilità nei confronti del fratellino. Il fratello di una persona con disabilità impara in fretta che le esigenze del fratello disabile vengono prima. È stato così quando Leo è nato e Lapo aveva tre anni e mezzo: anche quando siamo tornati a casa dall’ospedale io ero totalmente presa da Leo. Lui mi chiedeva delle cose, magari mi diceva anche che aveva fame e la mia risposta era sempre “aspetta, dopo, adesso non riesco”. Lapo è cresciuto sentendo dentro di sé “io vengo sempre per secondo”. Poi è un bambino intelligente, ma un conto è l’intelligenza e un altro l’aspetto emotivo. Lapo cerca il suo posticino. I siblings sono dimenticai da tutti, ma hanno tantissimo bisogno. Per esempio bisogno di un supporto psicologico per sapere come gestire, nelle varie fasi della vita, il “macigno” che è un fratello disabile: ma non esiste un aiuto strutturato in questo senso, te lo devi cercare e pagare e quando c’è una disabilità in famiglia non è che avanzino tanti soldi… Poi noi genitori ci diciamo che questi fratelli crescono più in fetta, sono più sensibili, più attenti… ma è una consolazione. La verità è che ogni bambino deve poter fare il bambino.

Quando Leo è nato, Lapo aveva tre anni e mezzo. Lui mi chiedeva delle cose e la mia risposta era sempre “aspetta”. Lapo è cresciuto sentendo dentro di sé “io vengo sempre per secondo”. Poi noi genitori ci diciamo che questi fratelli crescono più in fetta, sono più sensibili, più attenti… ma è una consolazione. La verità è che ogni bambino deve poter fare il bambino.

Elisa

Lapo quest’estate è stato a Dinamo Camp, vivendo un’esperienza tutta dedicata ai siblings. Com’è andata?

Io ero felicissima, perché finalmente aveva anche lui la sua cosa speciale, bellissima, solo per lui. Si è divertito tantissimo e ha avuto un po’ di spazio suo, dove non era sempre il fratello di Leo. Loro erano tutti bambini che vivevano più o meno la stessa situazione, ma so che volutamente non è stata tematizzata la disabilità dei fratelli. Io da mamma “cerebrale” me lo aspettavo, ma in fondo è stato meglio così, sarà uscito tra loro spontaneamente, ma hanno potuto finalmente avere un tempo tutto per loro, senza fardelli… Lapo è stato felicissimo. Siamo andarti a riprenderlo e – a parte il luogo bellissimo – mi ha colpito tantissimo l’entusiasmo che si respirava: ho visto persone felici di fare quello che stanno facendo e questo è passato ai ragazzi.

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