Michele Mele

La disabilità? È il contesto sociale che la determina

di Gabriella Debora Giorgione

Eredodegenerazione retinico-maculare alla quale si aggiunge un'altra patologia: Michele Mele, classe 1991, matematico e ricercatore, ipovedente, è una delle 30 persone che riceveranno il titolo di Cavaliere della Repubblica

Quando il Quirinale lo cercava ha dovuto faticare per trovarlo. Michele Mele, 32 anni, matematico, un contratto di ricerca all’Università degli Studi del Sannio, è stato insignito dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, del titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. La motivazione dell’onorificenza, che sarà ufficialmente consegnata durante la cerimonia al Quirinale, è che Mele ha saputo “Divulgare con cura e precisione le problematiche delle persone ipovedenti impegnandosi per eliminare le difficoltà e gli ostacoli”.

Come ha fatto, poi, il Quirinale a trovarla?

Non riuscivano a trovare il mio numero e quindi hanno chiamato l’Università del Sannio chiedendo loro di mettersi in contatto con me e di farli chiamare. Quando ho telefonato al numero che avevano lasciato, ho saputo che il presidente Mattarella, motu proprio, aveva deciso di conferirmi il titolo di Cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e che ci sarebbe stata una cerimonia di premiazione del 20 marzo.

Qual è stata la prima persona a cui lo ha detto?

A mio fratello e alla mia famiglia. Ma il Quirinale mi aveva chiesto il riserbo assoluto fino all’uscita del loro comunicato ufficiale.

Lei è un matematico: ma come fa un matematico ad eliminare gli ostacoli e le difficoltà delle persone ipovedenti?

La motivazione parla anche di divulgazione, quindi credo che il presidente Mattarella abbia voluto riconoscere il merito della mia attività di ricerca nella sua totalità.

In che senso?

Dobbiamo fare un passo indietro. Io sono nato con una eredodegenerazione retinico-maculare a cui si è aggiunta nel tempo anche un’altra patologia. Ho sempre visto molto poco, dunque, ma ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia che non si è mai sforzata di farmi sentire diverso, anzi mi ha invogliato a seguire le mie passioni. Anzi, dico sempre che è il contesto che determina la disabilità e non un pugno di cellule in meno. All’asilo, per muovermi da un punto A ad un punto B, io dovevo memorizzare i passaggi: supera cinque gradini, salendo volta a sinistra, seconda porta a destra e così via, quindi io sono stato abituato a geometrizzare lo spazio intorno a me. All’Università mi sono poi trovato a lavorare in un ambito di ricerca che è l’ottimizzazione combinatoria, la scienza degli algoritmi. Alla prima lezione universitaria di Ricerca operativa mi sono detto che quello che il professore stava spiegando in realtà era quello che io facevo da una vita: ottimizzare i percorsi, le risorse, il tempo, gli spazi. Mi sono laureato all’Università di Salerno in Matematica, nel 2019 ho vinto il Dottorato di ricerca in Matematica a Napoli, dal 2020 ho un contratto di ricerca all’Università del Sannio, un ateneo piccolo che si è dimostrato straordinariamente inclusivo.

Perché straordinariamente?

È un Ateneo giovane dove, anche se non c’è un servizio di supporto e accompagnamento vero e proprio, ho incontrato un gruppo di ricerca in cui non mi sia chiede di fare nulla che sia inaccessibile, a partire dal leader del mio gruppo di ricerca, il professore Pasquale Avella. Pensi che al liceo io ho avuto un docente che mi disse che poiché ero ipovedente io la matematica non potevo capirla: esiste ancora il pregiudizio per il quale il non vedente può fare il centralinista e poco altro. Per fortuna c’è stata molta gente che ha visto in me lo studente e non la persona con disabilità.

La laurea in Matematica è stata la migliore risposta all’ignoranza, allora…

Per me la matematica è uno strumento organizzativo e di indagine dei miei limiti. Ed è quello che faccio anche con la mia ricerca: scheduling, ottimizzazione del tempo, delle risorse e degli spazi.

Dico sempre ai ragazzi più giovani che devono avere il coraggio di farsi avanti e di proporre i loro sogni

Michele Mele

Ci racconta allora questa sua ricerca?

Partiamo dalla laurea: per la tesi mi sono occupato delle applicazioni delle teorie dei grafi, a cavallo tra algebra e ottimizzazione combinatoria. Nel Dottorato ho portato avanti una ricerca qualità dei servizi di assistenza per persone con bisogni speciali.

Mi fa un esempio?

Ha presente che negli aeroporti ci sono quelle persone con la pettorina che aiutano chiunque ne faccia richiesta: ipovedenti, persone in sedia a rotelle, anziani, famiglie con bambini e molte valigie. Su questo, ci sono delle regole che vengono spesso violate con l’idea che così si fa prima e che tutto questo sia di “intralcio” all’organizzazione della aerostazione. Io ho matematizzato questo problema ed ho scritto un algoritmo che in pochi secondi può organizzare un’intera giornata di accompagnamento offrendo un servizio di qualità massima ad un costo molto competitivo con un semplice scheduling tattico che rispetta una regola. Si affrontava il problema organizzativo sempre dal punto di vista della soddisfazione generale del cliente. Ma nessuno lo aveva mai affrontato dalla prospettiva della persona ipovedente. Durante il Dottorato, io ho innanzitutto identificato il problema matematico, l’ho modellato dimostrandone la complessità e capendo in quale classe di complessità inserirlo, poi ho scritto l’algoritmo testandolo su aeroporti di diversa taglia.

Ma qualche aeroporto poi lo ha adottato?

Non lo so. Le ricerche sono open source, se qualcuno le applica non deve per forza dirlo a chi ha scritto la pubblicazione! Noi facciamo ricerca per il bene, non per i soldi.

Lei parlava della sua “ricerca nella totalità”: quindi il riconoscimento del presidente Mattarella arriva anche per altro?

Dopo il Dottorato mi sono trasferito all’Università del Sannio perché ho letto i lavori del professore Avella e l’ho contattato per presentargli le mie ricerche. Tempo dopo nell’Università è stato bandito un concorso ed ho partecipato, vincendo il contratto di ricerca.

Bravo, coraggioso, direi..

Questo accade spesso, nel campo della ricerca, anzi io dico sempre ai ragazzi più giovani che si deve avere il coraggio di farsi avanti, di proporre i propri sogni, ovviamente se sono sostenuti da solide basi scientifiche e dalla voglia di lavorare seriamente. Non ha senso farsi “definire” e fermare da un timore, da una fragilità o da una disabilità.

La sua ricerca si è soffermata anche sulla storia di scienziati ipovedenti, vero?

Per abbattere il pregiudizio di chi crede che essere ipovedenti significa non poter essere ingegnere o matematico o chimico, mi sono messo alla ricerca di documenti su scienziati ipovedenti nella storia. Ne è nata una pubblicazione, “L’universo tra le dita” dove racconto in modo divulgativo dieci storie di scienziati non vedenti o ipovedenti dal ‘700 ai giorni nostri: l’inventore del tampone rapido per il Covid, il primo medico non vedente della storia, uno dei massimo studiosi delle api. Tra queste dieci storie, la più particolare è quella di John Metcalf, non vedente musicista, imprenditore, campione sportivo, contrabbandiere e primo ingegnere stradale della storia. Questa storia ha poi ispirato un altro mio libro, “Il richiamo della strada”.

Ma ho letto che lei ha contribuito a fondare anche un altro progetto, “Science in braille”, di cosa si tratta?

Si tratta di un progetto promosso dall’Organizzazione delle nazioni unite-Onu e dalla Royal accademy of science international di Londra. Siamo un gruppo di scienziati ipovedenti o non vedenti provenienti da vari paesi del mondo, ognuno di noi si occupa di un tema di ricerca.

Il suo qual è?

Di tutto ciò che è scuola, dei processi educativi e di istruzione. A febbraio scorso sono stato invitato a parare all’assemblea plenaria dell’Onu per parlare di MathSpeak, una serie di regole che possono eliminare il problema dell’ambiguità della matematica parlata in classe. Ad esempio, chiuda gli occhi: se io le dico x più y fratto zeta, lei come lo scrive? In quale dei due modi? Questo spiega perché tanti non vedenti sono scoraggiati fin da piccoli a seguire le discipline scientifiche perché inciampano nella matematica presentata a voce.

E come funziona MathSpeak?

Si tratta di un insieme di regole che un insegnante può imparare in poche ore, inventato da Abraham Nemeth, testato in molti istituti statunitensi dove è obbligatorio imparare MathSpeak per diventare insegnanti di matematica. Eppure è completamente sconosciuto, per questo ho approfittato della platea della plenaria Onu per promuoverne la diffusione. Stiamo elaborando un documento che invieremo a tutti i ministri dell’istruzione delle nazioni Onu chiedendo l’adozione di MathSpeak nei programmi di istruzione delle discipline scientifiche.

Qual è il suo sogno scientifico?

Sicuramente continuare la mia ricerca. Mi piacerebbe restare nell’Accademia e fare qualcosa di utile con la scienza e a favore dei gruppi di minoranza.

C’è stato mai un momento in cui ha pensato di gettare la spugna?

Sì, ma poi mi sono detto che sono troppo “capa tosta” per mollare prima che l’arbitro abbia fischiato la fine della partita.

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