La crisi politica che stiamo vivendo, risulta bruciante per larga parte del Terzo settore italiano che, nel bel mezzo del balletto di alcuni partiti, aveva provato a lanciare un allarme e un richiamo: troppe i passaggi sociali ancora da chiudere, occorre responsabilità. Questo si poteva leggere in un appello firmato da molte realtà del Terzo settore, dalle Acli alle Arci, da Legambiente al Cnca, da Confcooperative a Legacoop. Eppure, in un fiat, tre partiti hanno esercitato il potere che la Costituzione gli dà, spegnere un Governo, paradossalmente nel momento di massimo scollamento di rappresentanza nel Paese. C’è materia per parlarne con uno dei costituzionalisti più noti e apprezzati dall’associazionismo italiano, Francesco Clementi, ordinario a Perugia, che ha curato alcuni lavori sulla partecipazione democratica, anche per CittadinanzAttiva. Lo rintracciamo nel suo ateneo, impegnato in una sessione di laurea. “Gli studenti sono importanti, soprattutto in una fase come questa”, dice al telefono in una pausa.
Professore, questa volta la Costituzione più bella del mondo è apparsa sbilanciata…
Partirei da un dato oggettivo, meglio partire dal micro per arrivare al macro.
Prego.
In questa crisi, per la prima volta, e con una magnitudo inedita, la società italiana – da chi si occupa di produrre chessò tubi di acciaio a chi si prende cura delle persone disabili – e quindi non solo in ragione dell’appello dei sindaci di cui si è parlato molto, è arrivata la richiesta di garantire quei presupposti per cui il governo di unità nazionale guidato da Mario Draghi era nato.
Ricordiamoli.
Certo, quelli di difendere, proteggere, salvare il Paese, in mezzo a una crisi pandemica, economica, divenuta economico-sociale, e poi bellica come ultima arrivata. Si chiedeva che quel lavoro, quell’esperienza insomma, non fosse interrotta.
Così non è stato.
Infatti, alcuni partiti, che sono più gruppi di parlamentari che reali partiti e movimenti radicati nella società almeno in questo momento, hanno agito in un modo contrario. E anche il come conta, aggiungo.
In che senso?
Per quanto l’esperienza di governo sia terminata in un modo brutale, ciò è accaduto nella confusione, nella opacità. Se ci pensa un vero killer non c’è…
Certo, astensioni, uscite al momento del voto, non partecipazioni, sfiducie per reazione alla altrui posizione.
Un po’ lo schiaffo del soldato, il vecchio gioco goliardico che si faceva una volta: in tanti danno lo schiaffo e non si capisce chi, alla fine, abbia assestato quello decisivo, perché tutti nascondano la mano o incolpano altri. Il simbolo, drammatico di una classe dirigente che ha seri problemi con il principio di responsabilità pubblica…mentre invece non esiste potere senza responsabilità.
Sì con i ministri sfiducianti che accolgono Draghi alla Camera con una standing ovation.
Beh qui poi siamo al paradosso e all’ipocrisia al tempo stesso. In ogni caso, anche questo elemento ci porta a un’analisi che fa emergere tre grandi fattori su cui riflettere.
Il primo qual è, professore?
Il primo è che si pensato di fare a meno del raccordo fra cittadini e istituzioni attraverso forme di partecipazione associativa, saltando il dialogo e la fatica della mediazione sociale, cercando di arrivare alle soluzioni senza prima averle un poco impastate nel confronto reciproco. Così, mentre alla fine della prima fase repubblicana la mediazione è stata interpretata sempre più come forma di intermediazione, innanzitutto economica, e dunque per lo più corrotta, fatta da coloro che – mi permetta la battuta – parlavano del Dio “trino” ma pensavano in realtà al “Dio quattrino” come si dice a Roma, oggi ci siamo resi conto di quanto è utile una mediazione sociale se è lievito di confronto e non, invece, potere di veto e mera interessata interdizione. D’altronde, non è un caso che le autocrazie sopprimono il dissenso e impediscono le associazioni, perché ne conoscono, e ne temono, il valore maieutico. Né che questo nostro aver voluto “buttare via il bambino della mediazione con l’acqua sporca dell’intermediazione corrotta”, oggi ci lascia in una situazione molto delicata riguardo alla funzione sociale della rappresentanza. Riscopriamo quindi il valore dell’associarsi, consapevoli naturalmente degli errori da evitare. E ora vengo al secondo punto.
Prego.
Tutto ciò avviene in una fase globale del mondo, che attraversa una nuova rivoluzione industriale, quella digitale. E si è sradicata quella consapevolezza del valore di una dialettica sociale fondata sul dialogo fra società e politica. Abbiamo cioè confuso mezzi con fini. Peggio, abbiamo perso di vista gli uni e gli altri. Incapaci di usare il digitale come sarebbe doveroso, a maggior ragione dopo il lockdown, dopo scuola a distanza. Eppure siamo incapaci di cogliere fino in fondo quali sono i fini del nostro stare insieme.
Vale a dire?
Il nuovo contesto digitale ha naturalmente ridotto le distanze, incentivando una ulteriore sconfessione dei corpi intermedi. Invece di usare il digitale per mantenere e migliorare un modo mediale, reticolare, dialogico in rapporto alle istituzioni, lo abbiamo usato come caterpillar, per distruggere ogni ponte, ogni forma di dialogo sociale.
Terzo elemento?
La ricostruzione che possiamo fare della società di domani. Abbiamo una grande domanda su come ristrutturare il modello liberal-democratico, accorciando le distanze fra istituzioni e cittadini, valorizzando i giovani, le loro istanze e le loro prospettive. Su questo il lavoro e l’ambiente sono due facce della stessa medaglia di un’idea di società europea, e dunque italiana, da costruire più adeguata ad un mondo che brucia…in tutti i sensi. Non da ultimo perché abbiamo di fronte i vari Vladimir Putin che conosciamo bene e che non hanno – come abbiamo visto con l’Ucraina – alcuno scrupolo a distruggere la pace, la prosperità, le speranze di vita nel mondo. Dobbiamo allora mostrare la differenza di forza e di attrazione che ha una democrazia, ossia la possibilità che offre a tutti di scegliere e di sentirsi davvero parte di una comunità. Evidenziando tutti gli strumenti per valorizzare al meglio il principio di responsabilità e dunque di trasparenza, innanzitutto in favore dei giovani. Peraltro, in tema, abbiamo un elemento nuovo a disposizione sul quale poter far leva.
Quale professore?
Il nuovo articolo 9 della Costituzione che ricorda come, nell’ambito della ristrutturazione ambientale, si debba tener conto anche delle generazioni future. Un parametro nuovo: per qualsiasi legislatore – dal piccolo comune, alle Camere o a Palazzo Chigi – la prospettiva di riferimento devono essere le generazioni future.
Siamo un Paese che resiste al cambiamento, col volto girato all’indietro, e che non per nulla ha un grande problema demografico. Che si aggrappa al Welfare come resistenza sociale non come opportunità di cambiamento. Non per stare dentro la vita ma come zattera per sopravviverci. Eppure il Welfare è pensato invece perché tutti accedano alle opportunità che la vita offre loro. E perché possano fare ciò al meglio, cioè senza ansie né rischi
Francesco Clementi
Qualcosa che mancava in questo Paese…
Sì un Paese che resiste al cambiamento, col volto girato all’indietro, e che non per nulla ha un grande problema demografico. Che si aggrappa al Welfare come resistenza sociale non come opportunità di cambiamento. Non per stare dentro la vita ma come zattera per sopravviverci. Eppure il Welfare è pensato invece perché tutti accedano alle opportunità che la vita offre loro. E perché possano fare ciò al meglio, cioè senza ansie né rischi.
Il modello liberal-democratico a questo riguardo viene visto come superato.
Lo è solo per chi è affascinato da un populismo superficiale e parolaio o da un pericoloso decisionismo, senza dialogo. Se vuole la crisi dove siamo piombati è la sintesi di queste fascinazioni sbagliate.
Populismo grillino versus populismo leghista. Vada avanti, professore.
Avevamo un governo di unità nazionale, dopo due governi opposti e contrari guidati dalla stessa persona, un unicum che nessuno al mondo aveva mai visto e solo il Paese di Machiavelli e Guicciardini poteva inventare; un governo che nasceva dalla scelta di Sergio Mattarella di rispondere a un'emergenza economica e pandemica assieme. E di dare risposte reali, salvando il Paese. E ne era nato un esecutivo appunto di unità nazionale, mai conosciuto con questa larghezza di maggioranza. Un governo che poteva fare tutto ciò che sarebbe servito. Ed infatti stava facendo. E bene.
E invece, a sei mesi dal voto…
E invece questo taglio radicale, questa pugnalata al Paese. Chiedo: serve a migliorare la qualità delle politiche? A tamponare le crisi? A ricostruire una connessione? Mi pare evidente che no. Non dimentichiamoci, però, di chi ha attivato questa crisi, al momento del voto.
Lei lo ha scritto anche in un tweet, l’altro giorno: “Questo Parlamento ha preso una decisione che dobbiamo ricordarci: perché ne pagheremo per anni i danni. Ricordatevi di chi ha aperto la crisi, e di chi l'ha chiusa”.
La ringrazio per averlo ricordato, ed ecco allora perché bisogna andare votare. E votare con consapevolezza vera. Perché mai come ora il futuro di questo Paese, dall’ambiente al lavoro, dalle pensioni ai contratti per i giovani, dipende dal nostro voto e da come il Parlamento e il Governo che verranno saranno capaci di fare fronte al quadro difficilissimo che ci aspetta. E di farlo non soltanto con la necessaria credibilità interna ed internazionale. Ma aggiungo, soprattutto, con la necessaria competenza. Perché – in tutta franchezza – le emergenze non aspetteranno che le nuove Camere e il nuovo Governo imparino il difficile mestiere della politica: tutt’altro.
Andranno avanti.
Certo, andranno avanti, noncuranti del fatto che coloro che saranno chiamati a risolvere adeguatamente i problemi della polis, siano all’altezza o meno dei problemi che la Storia quotidianamente pone di fronte. Per cui, sia chiaro a tutti: oggi non possiamo né chiamarci fuori dal nostro compito di cittadini, magari approfittando dell’estate, disinteressandoci di questo voto. Né, a maggior ragione, sbagliare la nostra scelta.
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