Leonardo Becchetti è economista instancabile, studioso e attivista, riesce nelle stesse 24 ore a concentrarsi su un saggio economico o su una ricerca sugli indicatori di generatività e insieme a partecipare a una assemblea di organizzazioni della società civile, nella stessa settimana può coordinare una riunione sulla piattaforma di vendita online dei prodotti più sostenibili d’Italia e partecipare a riunioni estenuanti al Ministero della transizione ecologica per segnare qualche punto in favore di una transizione vera. Non stanco promuove e anima una delle novità di questi anni, il Festival dell’Economia civile.
Ordinario di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”, direttore del corso di specializzazione in European Economics and Business Law e del Master MESCI di Development and International Cooperation, ha pubblicato quasi 500 lavori tra articoli su riviste internazionali e nazionali, volumi, contributi a volumi, quaderni di ricerca. È tra i fondatori e oggi Presidente del comitato scientifico di Next – Nuova Economia per Tutti, un’associazione di promozione sociale di terzo livello, che crea network tra associazioni, imprese, amministrazioni pubbliche, scuole, università e cittadini, che agiscono “dal basso” per la sostenibilità.
Tra i suoi numerosi saggi: Il denaro fa la felicità? (Laterza 2007); Il mercato siamo noi (Bruno Mondadori 2013); Winkieconomia. Manifesto dell'economia civile (Il Mulino, 2014); (con Zamagni S. e Bruni L.) Economia civile e sviluppo sostenibile. Progettare e misurare un nuovo modello di benessere (Ecra 2019); Bergoglionomics. La rivoluzione sobria di papa Francesco (Minimum fax 2020).
Ora, da poche settimane è uscito il suo ultimo saggio con Emi, “La rivoluzione della cittadinanza attiva”, un libro che sistematizza il lavoro di analisi sulle patologie del sistema economico globalizzato e le riflessioni su quale possa essere l’orizzonte di cura e di benvivere verso cui tendere, per arrivare, nei due capitoli finali ai suggerimenti di visione e di policy per un reale cambiamento verso la sostenibilità sociale, economica e ambientale.
Professore sarà la guerra in Ucraina a cambiare i fondamentali dell’economia? Quello che non è riuscita a fare la pandemia riuscirà il conflitto in Ucraina? Fine dell’economia globalizzata?
Pensi che ancor prima dello scoppio della guerra stavano lavorando al Mite (Ministero della transizione ecologica) per eliminare i sussidi ambientalmente dannosi, il che voleva dire alzare, di poco, il costo del gasolio. Quello che ha fatto Putin è 15-20 volte quello che avremmo fatto noi, ed oggi ci troviamo paradossalmente ad aiutare le persone a pagare le bollette. Ecco l’impatto della guerra. Putin ha reso ancor più comprensibile a tutti che occorre andare verso le energie rinnovabili, non più e non solo per il clima, la salute e il livello di prezzo (già ora sono le più convenienti), oggi sappiamo che dobbiamo dirigere lì i nostri obiettivi anche per l’indipendenza energetica e per combattere la volatilità dei prezzi. Anche l’Ue ha cambiato il suo target per il 2030 alzando dal 40 al 45% la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili. Però, attenzione, perchè la terra è un paziente con tante patologie e allora se per sostituire il gas russo ti butti sul carbone è un disastro. Bisogna stare attenti perché se per curare un problema ne aggravi un altro non va bene. Anche il commercio internazionale cambierà, se sino ad oggi si diceva “vai a produrre dove ti conviene di più” oggi si comincia a considerare il rischio strategico: se una parte della filiera produttiva è in un paese poco democratico dove potrebbe esserci un rischio politico chiaramente questo cambierà. Sarà una globalizzazione diversa, divisa in blocchi.
Don Primo Mazzolari diceva “Se vuoi la pace prepara la pace”. Possiamo dire oggi: se vuoi la pace prepara una nuova economia?
Assolutamente sì. C’è un bellissimo studio del passato The Curse of natural resources (Maledizione delle risorse naturali), che dimostra come in tutti quei Paesi in cui ci sono giacimenti di materie prime strategiche o di fonti fossili, tutto questo non attira affatto potenza economica ma attira appetiti predatori, quindi guerre, conflitti. Se noi andiamo verso un mondo dove la produzione di energia è diffusa, partecipata territorialmente come può essere un mondo fatto da comunità energetiche capite che così creiamo anche un mondo più pacifico dove non ci sono delle lobby che concentrano potere. Puoi minacciare di colpire una centrale nucleare o puoi ricattare i Paesi col tubo del gas ma non ti puoi asserragliare intorno a un pannello fotovoltalico. Questa produzione depotenzia guerre e conflitti. La guerra in Ucraina ci ha fatto capire quanto sia importante lavorare per la pace e per la democrazia.
Lei individua quattro pilastri della nuova economia, accanto a Stato e Mercato mette cittadinanza attiva e imprese responsabili, perchè?
Gli economisti hanno tradizionalmente l’approccio fondato sui primi due pilastri, ma è stato dimostrato che non funziona. Il mercato fallisce e tecnicamente non porta il risultato migliore per la collettività e le istituzioni falliscono anch’esse. Il pianificatore benevolente non esiste, e la letteratura è piena dei fallimenti dell’istituzione, pesate alla cattura del regolatore, spesso, infatti, il regolatore viene catturato dal regolato che tende a corromperlo. Allora di cosa abbiamo bisogno? Lo dicevo anche a Greta Thunberg, non devi chiedere al potente la transizione ecologica, la devi fare tu, il giorno dopo il venerdì devi fare il sabato del voto col portafoglio. Abbiamo bisogno della terza mano che è la cittadinanza attiva e della quarta che sono le imprese responsabili. La cittadinanza attiva è uno strumento potentissimo di trasformazione sociale perchè se noi cittadini non ci muoviamo non possiamo sperare che la politica o i CdA delle aziende e delle imprese siano così solerti nel prendere iniziative per il bene della collettività.
Mi ha fatto sorridere che ad un certo punto del libro, scrive: “Quando morirò voglio che sulla mia lapide sia scritto che mi sono battuto con tutte le mie forze per l’affermazione del voto con il portafoglio come leva decisiva ed efficace per realizzare il massimo cambiamento possibile nel nostro sistema socioeconomico verso il bene comune”. È proprio così, la prima volta che ti ho conosciuto, tanti anni fa in un convegno delle Acli, il tuo intervento era su questo tema. Una sorta di “Consumatori di tutto il mondo unitevi”
Certe cose le ho capite anche dopo, adesso abbiamo tanti dati che ci dicono che le persone sono felici se si sentono generative, ovvero se scoprono che possono fare qualcosa che genera valore positivo anche per altri. Quando facciamo le cose c’è qualcosa che ci dice dentro di noi quanto quella cosa è utile e quanto non lo è. Ecco oggi tutto questo è certificato da ricerche e dati, all’inizio era solo un’intuizione.
Quando tanti anni fa giravo per parlare di economia sentivo che questo tema del voto con il portafoglio era giusta ma ho scoperto strada facendo, con lo studio e la ricerca e tante tante sperimentazioni, quanto sia efficace. Se tutti scegliessimo prodotti sostenibili dal punto di vista del lavoro, dell’ambiente e della società è innegabile che il mondo cambierebbe in senso positivo, è di tutta evidenza. Il problema è stato realizzare questo, in questi 20 anni abbiamo combattuto per rimuoverli. La differenza tra il voto col portafoglio e il boicottaggio è che il voto col portafoglio incorpora il boicottaggio perché scegli anche di non scegliere un prodotto poco sostenibile ma privilegiandone un altro dai anche un valore emulativo di segnalazione della best practices al tuo gesto che ha quindi un valore molto superiore.
La proattività è più generativa del dire semplicemente non faccio qualcosa. Questo è il punto fondamentale.
Poi, in tutti questi anni abbiamo provato a superare gli ostacoli: innanzitutto lavorando sulla consapevolezza delle persone, in secondo luogo sulle informazioni necessarie per dirci qualii sono i prodotti più sostenibili, poi il tema di coordinare le scelte di tanti perché fare da solo è significativo ma ha un impatto minimo, e infine abbiamo affrontato il problema dei prezzi, anche se la cosa paradossale è che oggi in alcuni settore votare con il portafoglio costa meno. Ecco su tutto questo abbiamo fatto tanti passi avanti. I due veri ostacoli oggi sono l’ignoranza e la pigrizia.
Fare una comunità energetica significa pagare meno l’energia, quindi perchè non scegliere questa opzione? Comprare un prodotto della “Marca del Consumatore” che ha tenuto i prezzi bassi in questo periodo di inflazione vuol dire pagare meno la pasta o la passata di pomodoro rispetto al supermercato, quindi perchè scegliere altro? I problemi oggi sono davvero l’informazione e la pigrizia. E la scommessa della comunicazione diventa fondamentale
Questi ostacoli sono in via di superamento anche per le tante sperimentazioni, tra queste una esperienza di successo è stata la piattaforma di vendita Gioosto
Alla Conferenza italiana degli economisti dove mi hai raggiunto il catering è fatto da “Cotti in Fragranza”, una delle realtà più belle e significative in Italia, economia carceraria, carcere di Palermo gestiscono un bistrot a Palermo dove gli addetti sono detenuti ed ex detenuti e come sai, il lavoro riduce del 70% la recidiva. Ecco, questa è una delle esperienze che la piattaforma Gioosto mette in mostra insieme ai loro eccellenti prodotti per uno shop online moderno e veloce. È la vetrina delle migliori storie italiane di prodotti sostenibili e dal migliore impatto sociale e ambientale, una settantina di esperienze. Il mio sogno nel cassetto ora è quello di fare una fiction di raccontare con quel linguaggio queste bellissime storie.
Le scommesse da fare. Tra le indicazioni che lei da nella seconda parte del libro, forse la più suggestiva, è quella di tassare i mali e non i beni, ma non è la sola
È un suggerimento che fa parte del nostro programma di iniziative di policy che possono e devono accompagnare la generatività della società. Co-progettazione, co-programmazione, cambiare il meccanismo degli incentivi dei manager (oggi puoi dare un bonus a un manager che ha aumentato il profitto ma magari anche gli incidenti sul lavoro), poi c’è il tema degli appalti che è il voto col portafoglio dello Stato (il 20% dei consumi del sistema economico sono consumi pubblici) e proprio in questi giorni stiamo discutendo la riforma del codice degli appalti e qualcosina si sta cambiando, l’altro tema che mi sta a cuore è quello di evitare che il commercio internazionale sia una corsa al ribasso (evitare il dumping delle aziende che magari sfruttano mano d’opera in Paesi con protezioni basse).
Sugli indicatori di generatività stiamo facendo un eccellente lavoro perchè siamo riusciti a costruire un indice per i comuni, ci torneremo sopra al Festival dell’economia civile il 16-18 settembre prossimo a Firenze.
Tra le proposte i Bond di territorio, ci spiega?
Anche la finanza sta facendo questa rivoluzione della sostenibilità e della generatività; c’è una finanza d’impatto e di scopo che non si pone solo l’obiettivo del rendimento ma anche l’obiettivo del cosa si fa con quei soldi , da qui nascono i green bond e i social bond. Penso che i territori dovrebbero investire molto sia sull’aspetto sociale, e ci sono partite redditizie anche perchè riducono spesa pubblica (pensiamo al budget di salute o al lavoro in carcere), sia sull’infrastruttura culturale del territorio perchè se noi ci pensiamo, oggi il bisogno fondamentale delle persone non è di avere più mele o più arance ma di trovare risposte alla loro domanda di senso e allora il prodotto che oggi si vende di più è il senso che metti nei prodotti, nei servizi, quindi la cultura.
Noi siamo cercatori di senso e quindi investire sull’infrastruttura culturale di un territorio, sul suo genius loci, sulle sue tipicità, vuol dire creare un fattore trasversale che aumenta la reddtività di tutte le attività che si fanno su quel territorio. L’Italia che è così ricca di tipicità e di luoghi dovrebbe investire di più su questo suo capitale culturale perchè questo è anche capitale sociale e vero valoro del territorio.
La rivoluzione della cittadinanza attiva è fondamentale anche per la tenuta della democrazia e per la sua qualità
Ezio Mauro in un dibattito lamentava il fatto che le persone oggi non sono così disposte a difendere la democrazia, perchè, diceva “la democrazia ha un cuore freddo”. La mia risposta è stata, no la democrazia ha un cuore freddo se vive di top down e non invece di processi partecipativi. Le persone si sentono coinvolte in qualcosa se hanno contribuito a costruirla.
Quindi il tema di oggi (ma era anche il tema di Sturzo e di Toniolo quando facevano le casse rurali o le associazioni di agricoltori) è creare reti di partecipazione e di cooperazione perchè questo fa cittadinanza e il cuore caldo della democrazia.
Ovunque c’è uno spazio bisogna buttarsi sino al processo di costruzione di pace come state e stiamo facendo con il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta che camminerà sino a Kiev
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