Aliteia

«La bellezza delle non-perfezioni è un inno alla fragilità umana e soprattutto alla libertà»

di Nicla Panciera

In The ballad of human mutations, la giovane artista Alice Babolin ricorre al suo sguardo di bambina che amava i piedi e le mani della mamma e della zia, deformate dalla malattia di Charcot Marie Tooth. Aliteia esplora la bellezza del diverso e dell'imperfezione e punta a cambiare il nostro sguardo affinché sia capace di riconoscersi negli altri e di abbracciare tutte le fragilità perché di queste siamo fatti. Un inno alla libertà di essere se stessi.

«Avrò avuto meno di cinque anni. Ricordo esattamente che, in spiaggia, la mamma e la zia nascondevano i piedi sotto la sabbia. Piedi unici, meravigliosi, curvi e armonici, tanto che per me nessun altro piede poteva eguagliarne la bellezza. Anni dopo, chiesi perché i loro piedi erano diversi. Nonostante la Cmt non fosse un segreto o un tabù come in altre famiglie, la risposta fu brutale: Certe domande non si fanno».

Alice Babolin, in arte Aliteia, padovana classe 1985, racconta la genesi di The ballad of human mutations, progetto artistico che, sovvertendo i canoni tradizionali, cerca di ridefinire ciò che è considerato bello e accettabile. «È un inno alla diversità e a essere sé stessi con il proprio corpo. Un’esaltazione della fragilità umana». La malattia della mamma e della zia dell’artista è la Charcot-Marie-Tooth Cmt, neuropatia ereditaria rara che che impedisce di eseguire e controllare i movimenti di mani e piedi liberamente, causando gravi disturbi, disabilità e deformità significative alle mani e ai piedi, spesso motivo di vergogna per chi ne soffre.

«C’è anche un’altra genesi di The ballad of human mutations, seconda cronologicamente alla prima» ci racconta Aliteia «Tre anni fa, durante una passeggiata nella campagna veneta con le mie amiche-sorelle, ho detto di voler decorare la mia casa con ritratti eleganti di piedi di persone con la Cmt, loro non sapevano neppure cosa fosse e così parlandone ho messo a punto l’idea».

Aliteia alla prima esposizione della mostra itinerante alla Fabbrica del Vapore di Milano

Aliteia contatta, quindi, l’associazione di pazienti Acmt-Rete, che subito abbraccia il progetto, mettendo a disposizione i propri volontari come soggetti degli scatti e un supporto economico e logistico per le esposizioni che sarebbero state messe in programma per raccontare la diversità attraverso un nuovo sguardo estetico e sociale che celebri la bellezza della diversità e la diversità della bellezza. «In occasione dell’esposizione a Milano, alla Fabbrica del Vapore, abbiamo coinvolto anche un neurologo e un ricercatore del San Raffaele, per parlare della malattia. Inoltre, per cercare di far comprendere cosa significhi davvero convivere con la Cmt, che può all’apparenza sembrare poco invalidante, abbiamo ideato anche delle iniziative come flash mob e performance in cui uno dei nostri volontari perdeva l’equilibrio e cadeva, cosa che a noi accade spesso» ci spiega Marina Garcea, vicepresidente dell’associazione Acmt-Rete e fondatrice dell’associazione Amiche per la Vita Onlus, fondata da un gruppo di amiche che, tra le altre cose, creano gioielli e vari oggetti con dei bottoni, simbolo della fatica delle mani colpite dalla malattia (l’iniziativa è “bottoni che fatica”), per raccogliere fondi per la ricerca. Il prossimo appuntamento è a Bergamo, in via XX Settembre, nei giorni 11 e 12 aprile. In fondo a questa pagina c’è il video creato da Aliteia con la sua mamma per sostenere l’associazione.

L’espressione dei corpi non conformi prende forma in un manifesto composto da 18 fotografie in bianco e nero di mani e piedi deformati dalla Cmt, insieme a una scultura monumentale di un piede in una posa allegorica che richiama quella del piede di Barbie.

La poetica dell’artista padovana è in parte già racchiusa nel suo nome d’arte. Aliteia deriva dalle parole Ali e Aletheia (ἀλήθεια), il cui significato letterale è «lo stato del non essere nascosto; lo stato dell’essere evidente» e implica anche la sincerità, così come fattualità o realtà. Aletheia è la verità che non si può nascondere, che non si può celare. «La verità che non si può nascondere non deve necessariamente essere brutta dipende da come la guardiano» ci dice Aliteia. E cambiare lo sguardo è proprio uno degli obiettivi di un’arte che, spiega, «oggi non può essere solo arte estetica. Soprattutto in questo momento storico, è fondamentale che essa ritorni al proprio ruolo sociale e sia portatrice di valori, non limitandosi alla provocazione ma favorendo l’assunzione di una prospettiva diversa e di una riflessione su cosa siamo e cosa facciamo. L’arte è come una carrozzina per chi non può camminare, è un ausilio alla comprensione, regala uno sguardo nuovo, capace di abbracciare ogni forma di fragilità come parte integrante dell’umanità. In fondo, è questo il mio intento: dare la possibilità di rispecchiarsi e riconoscersi negli altri e in altri valori, magari diversi da quelli imposti dal paradigma dominante».

Marina Garcea ha presentato The ballad of human mutations al VII Convegno delle Associazioni in Rete nell’ambito della XXII Convention Scientifica di Fondazione Telethon, svoltasi lo scorso marzo a Rimini. «L’arte diviene veicolo di conoscenza e di trasformazione» si legge nel poster. «Il progetto si propone di creare un mito rivoluzionario del diverso e del fragile, partendo dal corpo umano. Attraverso la fotografia, la scultura e la performance, Aliteia esplora la bellezza autentica delle imperfezioni, integrando nuovi valori estetici nella società contemporanea. Le opere esposte mostrano la forza e l’unicità delle persone con Cmt, mettendo in evidenza le loro non-perfezioni come simboli di bellezza e resilienza. Le imperfezioni diventano risorse e la fragilità è vista come una fonte di potenzialità inesauribili».

Stampa fotografica su 100% carta cotone e cassetta americana con cornice in legno ayous – Archivio Storico del Banco di Napoli

Nelle varie edizioni della mostra in contesti prestigiosi, alla Fabbrica del Vapore di Milano, a Villa Borromeo Fantoni a Fontanive (Padova), Villa Franceschi a Riccione e Napoli), sono stati organizzati anche flash mob, eventi educativi e workshop informativi sulla Cmt coinvolgendo specialisti, scuole e pubblico in un dialogo aperto sulla malattia e sull’arte. «A essere stata inaspettata è la dimensione del ritorno umano da parte dei visitatori con e senza la Cmt» racconta Aliteia, citando «testimonianze di chi è riuscito a cambiare il proprio passo in società e a mostrarsi ed essere sé stesso, indossare una minigonna oppure raccontare agli altri, come è accaduto durante una performance, il proprio vissuto tenuto dentro per decenni. Notevoli anche i 500 post-it con i messaggi dei ragazzi delle scuole di Riccione. Chi raggiunge una propria consapevolezza aiuta poi gli altri a farlo. L’arte può e deve avere un impatto sociale e, soprattutto, umano».

Performance a Crea Venezia, per provare una “camminata charconiana” nel percorso verso il padiglione dedicato alla disabilità e organizzato dall’associazione britannica Shape Arts per la Biennale di Venezia

«Tutta la sua mostra […] è lo sguardo innocente caparbio di questa bambina al diverso, al non-previsto, all’imprevisto, ampliandolo, per noi, fino al non visto (perché spesso non vogliamo vedere) ma soprattutto ri-formulando quelli che per noi possono esseri i “giusti” canoni estetici. Così, veniamo condotti, grazie a lei, in un mondo molto più ricco, molto più vasto e complesso e per questo anche più libero, dove tutto va ri-visto con stupore e meraviglia ma soprattutto dove tutto va accolto per essere esplorato» ha scritto Alfredo De Dominicis, direttore della casa editrice Editoriale Scientifica che ha pubblicato il catalogo.

Aliteia sta ora cercando di capire quali tecniche artistiche aiutino di più la trasformazione personale: «Con le mie opere ho dato risposta alla domanda della bambina di allora: è la mia fragilità, è visibile, te la racconto. Tu, per diventare grande, dovrai affrontare la tua, di fragilità, come ciascuno di noi».

Le prossime tappe del 2025 saranno in Toscana e nelle Marche.

Foto di Elena Andreato

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