Il potere delle parole

Kelvin Osunde, il migrante-poeta che scrive col telefonino: «Canto l’amore, l’umanità e l’eguaglianza»

di Domenico Coviello

Venticinque anni, fuggito dall'inferno libico e arrivato a Lampedusa su un gommone, vive ad Asti grazie a un progetto S.a.i.. E in Italia, grazie a un'associazione, ha potuto coltivare la sua passione di bambino, quando la maestra d'inglese gli fece scoprire Robert Frost: scrivere versi

Sì, ci sono anche poeti fra i migranti sbarcati in questi anni sulle coste italiane. Persone che, come tutti coloro che fuggono dalla propria terra perché è divenuta un inferno, non sono il “carico residuale” di un’imbarcazione né gente in “crociera” nel Mediterraneo, secondo le definizioni di due ministri della Repubblica. Sono, a volte, poeti come Kelvin Osunde, 25 anni, nigeriano, scampato alla morte a bordo di un barcone con altre 80 persone. E giunto a Lampedusa ai primi di novembre del 2020. Kelvin con molta più vita addosso di quante primavere abbiano visto i suoi occhi.

Le lacrime scendevano a cascata sulle nostre guance/con poca o nessuna speranza di sopravvivenza/i ricordi dell’infanzia ritornavano alla nostra mente/come una cena con la morte mentre osservavamo/il delfino danzante (…).

Così egli descrive alcuni momenti della sua traversata del mare dalla Libia a noi, nella sua poesia La mia esperienza nel Mediterraneo.

Dal 2021 ad Asti, inserito nel Progetto S.a.i. del ministero dell’Interno e accompagnato in un percorso che gli sta consentendo di cominciare a vivere da solo in città grazie alla onlus astigiana Progetto integrazione accoglienza migranti – Piam, il giovane poeta ha potuto coronare un sogno: vedere pubblicato un libro delle sue liriche. Sguardo su un’insolita realtà/A glimpse into an unusual reality è il volumetto bilingue, in inglese e testo a fronte in italiano, di cui Alberto Mossino, presidente del Piam, Samuele Gullino, tutor di Kelvin Osunde, Stefano Mossino e altri animatori della onlus astigiana hanno curato una prima edizione.

La terra è in fiamme!/E c’è sangue nella sabbia/la gente sta scappando in esilio/alla ricerca di pascoli più verdi

Kelvin Osunde, poeta

Che però comincia a stare stretta. Perché le presentazioni al pubblico si moltiplicano. Dopo Asti, Genova. E a breve Alba e Cuneo. Forse presto anche in Lombardia. Aumentano le città che stanno accogliendo Kelvin Osunde e il suo mondo in versi. Un realtà per immagini e parole senza mediazioni. Direttamente dal cuore di un giovane emigrato dalla Nigeria, che si è fatto migrante sfidando la vita e la morte, e che è diventato infine un immigrato in Italia.

Abbandonare la propria terra per mettersi in salvo

Orfano di padre a 12 anni, Kelvin lascia la scuola e si mette a fare il muratore e il decoratore per sostenere la sua famiglia. Lavora nelle città dell’Edo State, nel sud della Repubblica Federale di Nigeria. Qualche soldo riesce a metterlo da parte e compra libri. Alla sera, dopo giornate massacranti nei cantieri, s’immerge nella poesia, divora saggi e romanzi. Con circa 230 milioni di abitanti la Nigeria è il Paese più popoloso di tutta l’Africa. Terra dai contrasti accecanti fra ricchezza e miseria, sviluppo e tradizione, riserva a Kelvin un trattamento spietato. La sua giovane esistenza diventa sempre più difficile. Subisce povertà, persecuzioni e torture. È costretto a scegliere: emigrare o restare ma a rischio della vita. I suoi stessi familiari lo spingono ad abbandonare il Paese per mettersi in salvo.

E Kelvin parte, senza una meta prefissata. Mentre annota tutto sul suo taccuino.

La terra è in fiamme!/E c’è sangue nella sabbia/la gente sta scappando in esilio/alla ricerca di pascoli più verdi,

scrive nella poesia La mia terra natia.

Prima destinazione, oltrepassato il Niger, è la Libia. In mezzo, il deserto:

Mi sono ricordato del veicolo che ho visto lungo il percorso/portava, scritto sul retro/non si torna indietro (…)/Potresti non comprendere il valore/di un luogo vivo finché/non entri nel deserto.

Kelvin Osunde durante un reading delle sue poesie

Nell’abisso della Libia

La Libia è la meta di molti migranti dell’Africa subsahariana perché i giovani in cerca di una vita migliore sanno che a Tripoli e dintorni girano denari e opportunità. Si può trovare un impiego per sopravvivere più facilmente che altrove. Non è detto che ci sia già l’idea di puntare alla traversata del Mediterraneo per sbarcare in Europa. Chi ha in testa un progetto migratorio definito, infatti, non sempre va verso l’Africa del Nord. Ma a volte si dirige verso l’Africa australe: più ricca di una rete di mercati in cui inserirsi come commerciante. 

Kelvin Osunde si dirige dunque a Nord, e in Libia trova un impiego in un autolavaggio tramite connazionali. Boss mafiosi, trafficanti di esseri umani e contrabbandieri di petrolio girano a bordo di grossi Suv di lusso. Che vogliono costantemente lucidati alla perfezione. Il decoratore-poeta è diventato un loro lustra-auto, dorme a terra, sul pavimento, con altri compagni di sventura e mangia scatolette. Non ha in testa l’Europa: cerca solo di rifarsi una vita. La Libia, tuttavia, gli presenta presto la sua faccia oscura: un buco nero che inghiotte vite. La sua diventa un’esistenza da schiavo di fatto, sotto costante pericolo di finire ucciso per il capriccio di miliziani armati ancora bambini.  

Rischiare la vita nel Mediterraneo, scelta obbligata

È per questo che Kelvin decide ancora una volta di abbandonare la terra in cui si è stabilito per mettersi in salvo dalla morte. E la strada è obbligata e si chiama Europa. Perché indietro, nel deserto, non si torna mai. E perché fuggire nei Paesi confinanti con la Libia – Algeria, Tunisia, Egitto, Sudan, Ciad e Niger – non garantisce un’esistenza migliore che a Tripoli. Non resta che sfidare il Canale di Sicilia. Kelvin, così come la gran parte dei migranti, è perfettamente consapevole che potrà morire affogato in alto mare.      

Ma non ci sono alternative. Il giovane poeta sceglie di rischiare tutto quello che ha: la sua vita di ragazzo di 20 anni. Sale su un gommone con altre 80 persone, compresa una donna col suo neonato. Direzione: Italia. Sono cinque interminabili giorni di viaggio in alto mare, a novembre, col motore dell’imbarcazione che si spacca. A ciascuno una brioche e una bottiglietta d’acqua. Poi, da bere a piccoli sorsi, non resta che quella salata del Mediterraneo glaciale.

E così:

In mezzo al mare blu! (…)/abbiamo deciso di dividerci i compiti/mentre ci univamo tutti insieme per eliminare l’acqua dalla barca.

Fino all’arrivo di una nave italiana che li mette in salvo e li trasferisce a Lampedusa.

Siamo sbarcati illesi/e la polizia italiana ci ha accolto con ospitalità/qualcosa che la nostra terra natia non avrebbe fatto per noi

ha scritto ancora nei suoi testi Kelvin Osunde.

Il sogno di diventare uno scrittore                      

«All’inizio è stato davvero difficile per me ambientarmi in Italia», racconta a VITA il poeta. «Tutto era una sfida. A partire dalle cose apparentemente più banali come il clima e il cibo. Qui tutto è diverso dalla Nigeria».

Ma è qui, in Italia, che Kelvin Osunde sta riuscendo a far conoscere le sue poesie. Una passione, quella di scrivere in versi, che ha coltivato fin da piccolo, a scuola. «È stata un’insegnante, la maestra d’inglese, a farmi innamorare della letteratura, dell’arte e della poesia. In classe ci spiegava Shakespeare. Ho preso ad amare la letteratura, i poeti come Robert Frost e la sua The Road Not Taken. Tornavo a casa dalle lezioni e mi mettevo a scrivere».

Buttar giù versi, pensieri, idee, meditazioni «è diventato il mio modo di tirare fuori emozioni e sentimenti. Continuo a scrivere anche adesso che sono ad Asti, sul mio telefonino: mi viene meglio ed è più semplice e veloce. Il mio sogno è diventare uno scrittore. Sono grato perché qui in Italia mi è stato dato il privilegio di poter vedere pubblicato il mio libro. Vorrei scriverne ancora, ho tanto da raccontare».  

Un messaggio per la Generazione Z

Parla quasi a bassa voce, Kelvin Osunde. Racconta di sé con passione ma sommessamente, calibrando le parole per non far tracimare troppo le emozioni. Che cosa vorrebbe dire ai suoi coetanei italiani e africani? «A tutti voglio dire che dobbiamo portare un miglioramento nel mondo rispetto alla generazione che ci ha preceduto. Solo così potremo dare qualcosa alle prossime generazioni, al futuro che sta arrivando».

Ero nero/mi hanno detto che sarei dovuto diventare bianco/sono diventato bianco/non erano soddisfatti scrive nella lirica Inutilità. Ma anche che Umanità più amore è uguale a uguaglianza. Queste parole sono scritte sulla mia stanza.

Una stanza sul mondo, dall’Italia: la sua nuova casa.

Le foto sono di Antonella Raso per l’Associazione Piam di Asti.

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