«Mi piacerebbe sapere come vi sentite dentro. Ognuno di voi ha la sua storia. Sono preoccupato per voi e oggi desidero fare un incontro costruttivo, di conoscenza, per portarvi la mia energia e magari qualche spunto per il vostro percorso di rinascita». Jovanotti si è presentato così ai 26 ospiti (23 donne e tre uomini, per lo più giovanissimi) del Centro “Lo Specchio” di Domusnovas nel sud della Sardegna, una struttura di eccellenza a livello nazionale nella cura dei disturbi dell’alimentazione e della nutrizione. Una visita a sorpresa, la sua, organizzata dal genitore di una ragazza che recentemente è arrivata in Sardegna da Milano per riprendersi la vita in mano. Un regalo per questa realtà che è uno dei fiori all’occhiello della cooperativa sociale Casa Emmaus di Iglesias. Ma non è stata l’unica sorpresa: l’altra risponde al nome di Giovanni Soldini, sportivo di fama mondiale che non ama tanto le grandi folle. Li hanno accolti con grande semplicità la presidente di Casa Emmaus, Giovanna Grillo, il direttore sanitario Pablo Belfiori e il coordinatore della struttura, Claudio Onnis, insieme a una decina di operatori: psichiatri, psicologi, nutrizionisti, educatori. Gli ospiti non erano informati dell’iniziativa.
Parole e musica
Un cantante e un velista, quasi agli antipodi per i loro modi di essere e vivere. La loro amicizia con Michele Lupi, giornalista e comunicatore milanese, li ha spinti a fare questa improvvisata in un’isola baciata dal sole e spazzata dal vento, per portare una sferzata di speranza e fiducia a chi cerca di superare l’anoressia, la bulimia e altri disturbi che ti trafiggono l’anima e minano il fisico.
Con Jovanotti c’erano la moglie, Francesca Valiani, e la figlia, Teresa Cherubini. «Lei si era iscritta alla facoltà di Medicina ma non era felice di quella scelta», ha detto il cantante indicando Teresa, che nel frattempo disegnava paesaggi con l’acquerello. «A un certo punto le abbiamo detto: hai 18 anni e tutta la vita davanti a te, buttati in quello che sei e che vuoi. Iscrivendosi a Medicina, lei aveva voluto gratificare i genitori e i nonni. Infatti, i nonni avevano commentato: “Finalmente qualcuno serio in famiglia…”. Ma non funziona così. Giovanni (Soldini, ndr), per esempio, a 16 anni era scappato di casa per fare il velista, una cosa impegnativa e pure rischiosa, non esattamente una carriera da ingegnere aeronautico».
Che cos’è il coraggio
«Bisogna avere il coraggio di prendere le decisioni per se stessi e non per far felice chi ti sta vicino», ha sottolineato a sua volta Soldini. «Avevo una strada già scritta: dopo il liceo, mi sarei dovuto iscrivere all’università per studiare giurisprudenza. Invece ho seguito il mio istinto, ciò che più mi piaceva e che avevo dentro. Quando lavoro, e vi assicuro che lavoro tantissimo, ogni tanto dico ai miei collaboratori: ma vi rendete conto che ci pagano per fare ciò che ci piace di più? I giornalisti spesso mi chiedono come faccia a navigare da solo tra gli iceberg del Polo Sud, in mezzo a tante insidie. Credo, però, che il vero coraggio consista nel fare le scelte giuste per noi: perché, quando uno fa delle scelte, inevitabilmente rinuncia ad altre cose. Non è semplice sapere se una scelta è giusta oppure no. Però ho sempre pensato che, se ti svegli contento la mattina ben sapendo che cosa ti aspetta, sei già sulla buona strada».
Le avversità
Stimolati da Michele Lupi, Jovanotti e Soldini si sono messi a nudo e hanno parlato anche di alcune esperienze che li hanno fortemente provati. «Ho iniziato con una barca di un ricco armatore che me l’aveva messa a disposizione», ha raccontato Giovanni. «Alla quarta transoceanica, però, ha perso la chiglia e si è cappottata in mare. Ero in mezzo all’Oceano Atlantico, sotto la Groenlandia, c’era un freddo bestiale. Mi ha salvato una portacontainer. Al mio rientro, l’armatore mi ha detto: “Guarda, hai perso l’imbarcazione, è un periodo di crisi per tutti… chiudiamola qui”. Il sogno sembrava finito. Ma sono riuscito a coinvolgere un bel gruppo di persone che hanno investito dei soldi, ho messo su un gruzzoletto e ho ripreso a sognare. Volevo più di una barca da corsa, così mi è venuto in mente di proporre a una comunità terapeutica di ex tossicodipendenti (la Saman di Latina, ndr) di farla insieme, nella loro stalla. Mi sembrava una cosa intelligente anche per quei ragazzi, che potevano imparare un mestiere altamente specializzato. Mi hanno aiutato cinque amici, abbiamo lavorato per nove mesi. Così è nata la barca “Stupefacente” (Soldini sorride, ndr). Dopo sono arrivati i grandi sponsor ed è stato tutto più semplice, così ho potuto fare il mio primo giro del mondo in solitaria».
A proposito del lavoro svolto in quella comunità di recupero, Soldini ha precisato che «è stata un’esperienza fortissima, perché tutte le persone che hanno dei problemi, spesso ce li hanno perché si sono fatti molte domande e molto profonde, e hanno un’energia pazzesca che, quando riescono a incanalarla in qualcosa di positivo, risulta fantastica. Certo, non tutti erano pronti e non tutti avevano voglia di imparare quel mestiere. Ma cinque di loro, alla fine, hanno poi vissuto tutta la vita costruendo barche da corsa. È stato un esperimento molto bello e interessante per tutti».
«Una cosa di Giovanni che mi è sempre piaciuta è che lui non si limita ad andare in barca, ma se la costruisce. In questo siamo simili, perché anche io costruisco dal nulla le mie canzoni: a volte ci impiego pochi minuti, a volte mesi o addirittura anni. Alcune durano di più, altre scompaiono, qualcuna magari resta per sempre. Ma non sono cose che si fanno da soli, è sempre il frutto di un lavoro di squadra. Certo, uno deve dirigere, ma senza gli altri non vai da nessuna parte. Accade anche nei miei concerti: io suono a malapena la chitarra, conosco dieci accordi che mi servono a scrivere i brani, ma per il resto mi faccio aiutare da bravi musicisti».
Il coraggio e la passione
«Se mi volto indietro, mi accorgo che sono più di 40 anni che sto in mezzo alla musica», ha raccontato ancora Jovanotti. «Prima come deejay nei locali, poi come cantante. Mi rendo conto che i momenti più importanti sono stati quelli in cui ho avuto bisogno di qualcuno. Cioè, quando non sapevo che cosa fare e ho dovuto chiedere una mano. Anche il successo può diventare un’abitudine. A un certo punto ti vedi come gli altri ti vedono, e questo è un errore perché ti porta a rinunciare al coraggio. Coraggio è una bella parola, perché vuol dire “agire col cuore”. A me piacciono molto le parole, sono lo strumento con cui scrivo un brano. Dopo scelgo la musica. Nelle parole c’è il senso di ogni cosa. Un’altra parola molto bella è “passione”, soprattutto se hai la fortuna di averla quando sei ragazzo e riesci a fare ciò che più ti piace. Non senti la fatica, lo scorrere del tempo. E nemmeno il sacrificio, necessario per raggiungere i grandi traguardi. Di solito pensiamo al sacrificio come a un contenitore di sofferenza; in realtà, contiene la sacralità, che riguarda l’universo, noi stessi, la vita. Dà un significato persino spirituale al tempo che spendiamo per costruire qualcosa. Il sacrificio non è una punizione, piuttosto è un’occasione».
Mi fido di te
Il singolo “Mi fido di te”, pubblicato nel 2005, nasconde un piccolo segreto che Jovanotti ha confidato nella lunga chiacchierata allo Specchio di Domusnovas. «In realtà, questo pezzo nasce da un altro verso fondamentale per me, cioè “cosa sei disposto a perdere?”. A volte si può decidere una condizione in cui uno ha trovato un certo equilibrio, che ti ha dato un’identità, anche se può essere qualcosa di molto sbagliato. Io ho cominciato con un entusiasmo incredibile, ero praticamente un pazzo, avevo una fede cieca in me stesso. Mi sembrava di aver ricevuto una chiamata dall’alto, stile The Blues Brothers. Credo che anche Giovanni sia mosso da questo: prima dello spirito di competizione, che lo porta a cercare nuovi record a bordo di una barca da corsa, c’è l’amore per ciò che fa».
«Sì, alla base di tutto c’è l’amore per il mare, ma anche la voglia di scoprire qualcosa di nuovo, di diverso. Vivi mille avventure, conosci gente molto differente da te», annuisce Soldini. «E in una barca ho tutto ciò che mi occorre, è la mia casa. Lì mi sento al sicuro».
I cattivi maestri
«Ragazzi, nella vostra vita incontrerete tante persone che cercheranno di portarvi nella loro strada. Che a volte è pure mediocre», ha detto Jovanotti. «Se cercate di sollevare la testa, troverete qualcuno che tenterà di farvela abbassare. Magari lo fanno perché non hanno mai avuto coraggio, nella loro vita, e a loro disturba molto vedere il vostro entusiasmo. A certe persone può dar fastidio vedere che avete trovato una missione da compiere, che può essere tradotta in tanti modi: può essere persino la guarigione da qualcosa. In quell’attimo molliamo tutto e decidiamo di guarire. Da quel momento si aprono molte porte, accadono tante cose. In esse c’è un mistero che non siamo in grado di spiegare, ma che esiste e a volte si apre come un varco: c’è chi lo chiama Dio, chi lo chiama scienza, chi lo definisce caso. È comunque una motivazione forte per non prendersi troppo sul serio. Perché è vero che ognuno di noi è importante, ma c’è qualcosa di molto più importante là fuori che noi non riusciamo a capire cos’è».
Il lavoro è disciplina
«Qual è la vostra vera passione?», ha domandato Jovanotti a un certo punto ai ragazzi che lo ascoltavano con grande attenzione. E mentre ognuno di loro snocciolava i propri interessi, lui ha sottolineato che «la passione richiede anche un impegno costante. Io cerco di essere disciplinato. Credo nel lavoro, più che nell’ispirazione. L’ispirazione è un regalo che appare nel processo creativo disciplinato. Metto delle trappole, lungo il cammino, in modo da inciampare su qualcosa: per esempio, ascolto musica di altri autori oppure leggo qualche pagina di uno scrittore che mi piace. Cerco una parola o una frase che mi aiuti a partire. A volte le trovo in un articolo di giornale. Un tempo scrivevo tantissimi appunti sui quaderni che oggi riempiono la mia cantina; ora con lo smartphone è tutto più facile. Il mio è un lavoro che non ha un orario. A un certo punto lascio fermentare le parole che ho scritto, e spesso accade qualcosa di buono».
E la grande passione di Jovanotti, a parte la musica (e la bicicletta), qual è? «La lettura», ha tagliato corto. «Perché, come diceva il grande Umberto Eco, “chi non legge, a settanta anni avrà vissuto una sola vita: la propria”. Se leggi, ti proietti nelle vite degli altri e diventi anche più comprensivo e tollerante. È vero il detto “Il mondo è bello perché è vario”. E la cosa più bella è che possiamo compiere delle scelte. La grande letteratura è stata fondamentale nella mia vita, personale e professionale. Ma non chiedetemi di consigliare un libro perché è come consigliare una fidanzata: non si può. Sfogliare le pagine di un libro mi dà sensazioni incredibili ma, durante la convalescenza dopo il grave incidente a Santo Domingo, ho rivalutato gli audiolibri».
Il giudizio
«Siamo terrorizzati dai giudizi degli altri», ha detto ancora il cantante ai ragazzi dello Specchio. «E questo ci condiziona. Dobbiamo riuscire a superare il senso della vergogna, quello che ci fa sentire sempre un po’ sbagliati. Perché il giudizio degli altri sarà inevitabilmente vario e, anche se facciamo qualcosa di veramente buono, sarà comunque criticata da qualcuno. Quando mi rivedo agli inizi della carriera, sono molto imbarazzato: sembravo un pazzo, ma allora non me ne accorgevo. Era pura energia, soltanto quello. Ma l’energia è il motore della vita».
Qual è il prossimo obiettivo di Jovanotti? «Fare una cosa che non ho mai fatto». E quello di Soldini? «Al momento sono immerso nel progetto di una nuova barca sponsorizzata dalla Ferrari, mi concentro su questo».
Credits: le foto sono di Casa Emmaus Iglesias
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