Nei giorni scorsi, per la festa dell’Eid, Roberta ha partecipato a una piccola festa nella comunità di accoglienza dove vive il ragazzo che le è stato affidato. Lui è un minore non accompagnato, ha 17 anni. Lei è il suo tutore volontario: l’ha nominata a giugno il giudice tutelare di Palermo ed è una fra i primi tutori volontari per minori non accompagnati operativi in Italia, previsti dalla legge Zampa. Si sono fatti un selfie insieme, lei gli ha chiesto di mandarglielo: «eravamo seduti vicini e così ho visto come aveva memorizzato il mio numero sul suo cellulare: “ma”, come mamma», racconta lei oggi. Un piccolo esempio per dire quanta fame di relazione abbiano questi ragazzi, che spesso ci accontentiamo di chiamare con un’etichetta, MNA-minori non accompagnati, già soddisfatti di avere negli anni tolto almeno la “S” di stranieri.
Roberta Lo Bianco ha 34 anni, è una psicologa, lavora da dieci anni al CESIE di Palermo, dove gestisce progetti per l'inclusione sociale e in particolare di formazione a giovani migranti. È anche socia di Moltivolti, un’impresa sociale nata a Ballarò, con un ristorante siculo-etnico e un coworking dallo staff multiculturale. «Ho dato la mia disponibilità per una questione personale, di attenzione verso le persone che vivono in condizioni di svantaggio, non riesco a restare indifferente al fatto che non ci siano pari opportunità per tutti», spiega. Roberta ha la tutela di due minori, uno ha 17 anni, è nigeriano e vive in un centro di prima accoglienza, l’altro ha sempre 17 anni ma viene dal Gambia ed è in seconda accoglienza. «Li sto incontrando una volta alla settimana ciascuno, ma ci sentiamo quotidianamente al telefono, anche solo per cinque minuti. Uno dei due è venuto da me, al mare, la sera di ferragosto, con l’altro la settimana scorsa abbiamo festeggiato l’Eid. Mangiamo una pizza, un gelato, cerco di non forzare la mano nel fare domande sulla loro storia, uno è super espansivo e l’altro super timido, devi avere rispetto, far capire che tu sei lì e sei pronto ad accogliere anche quel pezzo di storia, ma senza insistere», racconta Roberta.
Roberta di sicuro ha competenze professionali che la aiutano in questo ruolo inedito: «magari sono un po’ facilitata, ma le assicuro che per essere un buono tutore non serve avere una professionaità specifica, la cosa più importante è la parte relazionale e quello lo possono fare tutti. Certo devi avere un’apertura al confronto interculturale, che può essersi sviluppata attraverso le esperienze più disparate. Questo ruolo impone di metterti in discussione e se filtri ciò che il minore ti racconta con parametri culturali tuoi, allora è un casino: per questo serve una formazione molto seria».
Il tutore volontario assume la responsabilità legale del minore, una dicitura che potrebbe intimorire. Per questo chiediamo a Roberta di spiegarci cosa fa concretamente il tutore volontario di un minore non accompagnato e cosa ha significato, in questi due mesi, l’aspetto legale della tutela: «I ragazzi restano in comunità, perché questo non è un affido né un’adozione, deve essere chiaro. Il tutore interviene per le questioni di salute, per le procedure relative alla richiesta di protezione internazionale, ad esempio deve essere presente al colloquio con la commissione. Sulla salute, non significa che il tutore deve accompagnare il ragazzo dal medico ogni volta che ne ha bisogno: se si tratta di una visita medica programmabile ci pensa la comunità, se c’è una cosa particolare invece interviene il tutore, io per esempio ho dovuto dare il consenso per avviare un percorso psicologico per uno dei due minori. Ho fatto un incontro con il giudice tutelare, che voleva conoscere le persone che seguono il minore. Con entrambi i ragazzi ora stiamo facendo i documenti per l’iscrizione a un CPIA, per conseguire la licenza media. Un giorno uno dei due ragazzi ha avuto una lite, il responsabile della comunità mi ha chiamato perché ne parlassi con lui: io per lui sono una persona di riferimento, sono un po’ autorevole, quindi anche la comunità trova un appoggio utile dinanzi ai problemi. Una novità di ieri è che la comunità di prima accoglienza chiuderà, così hanno chiamato i tutori per avvisare che i ragazzi saranno trasferiti in seconda accoglienza: noi come tutori ci stiamo muovendo perché i ragazzi rimangano a Palermo, anche se posti per tutti sappiamo che non ci sono, e allora chi non ha il tutore cosa fa, va fuori? È un conflitto che sto vivendo in queste ore…».
Quando il Comune di Palermo ha pubblicato il bando per i tutori ho detto sì per un dovere civico, per non stare alla finestra a guardare ciò che succede, perché tutti ci lamentiamo o giudichiamo chi fa o non fa, secondo me invece è giusto partecipare in prima persona
Patrizia Opipari
L’esperienza dei tutori volontari dei minori non accompagnati è agli esordi, Palermo con i suoi 54 tutori (fra cui anche due donne nigeriane) è proprio un’esperienza pilota. Qualche criticità nella quotidianità emerge. Roberta racconta di quando uno dei “suoi” due minori gli ha chiesto se poteva regalargli un paio di pantaloni e una maglietta, perché ne avevo solo una: «L’ho fatto, ma questo suscita interrogativi», riflette Roberta. «Questo spetta alla comunità e comunque devi restituire al ragazzo la realtà delle cose, posso farlo una volta ma non sono la persona a cui puoi chiedere qualsiasi cosa. Sarebbe utile chiarire bene i compiti di ciascuno, chi fa che cosa. Di sfondo c’è da dire che esiste un problema reale, almeno qui a Palermo, che sono i ritardi nei pagamenti delle comunità: a volte non riescono a dare ai ragazzi neanche il biglietto dell’autobus, a volte il cibo è davvero poco, a volte il pocket money arriva con ritardo… I tutori cosa devono fare? Pagare o non pagare il biglietto del bus? Lo stesso vale per il pranzo o il gelato, per il tutore al momento non è previsto alcun rimborso spese, però bisognerebbe evitare differenze troppo ampie fra il tutore che può permettersi di pagare tutti i pranzi che vuole e quello che non può farlo, è un tema su cui ragionare».
Patrizia Opipari invece di anni ne ha 57. Gestisce un bed and breakfast a Palermo ed è la presidente di Arciragazzi Sicilia, da 25 anni di occupa di infanzia come volontaria. Racconta che quando il Comune di Palermo ha pubblicato il bando per tutori volontari ha detto sì per «dovere civico, per non stare alla finestra a guardare ciò che succede, perché tutti ci lamentiamo o giudichiamo chi fa o non fa, secondo me invece è giusto partecipare in prima persona». È stata abbinata a un ragazzo di 17 anni, originario del Gambia: è partito da casa sua nel gennaio 2016, ha attraversato il deserto fino in Libia ed è sbarcato a Messina a maggio 2017. «Ci vediamo una o due volte la settimana ma ci sentiamo quotidianamente, gli ho prestato un telefono, comunichiamo in un misto fra inglese e francese. Sta frequentando dei corsi di italiano per stranieri, la prossima settimana ho appuntamento con la scuola media per capire se può iscriversi per la licenza, racconta Patrizia. «È una bella esperienza, mi dà soddisfazione sapere che questo ragazzo e gli altri che hanno un tutore hanno un punto d’appoggio in più per costruire il loro futuro».
L’altro giorno un ragazzino di 15 anni mi si è avvicinato e mi ha chiesto “Ma perché io non ho un tutore?”. Ha 15 anni, è piccolissimo, questa domanda mi ha gelato il cuore
Roberta Lo Bianco
A Palermo sono 55 i minori non accompagnati con un tutore volontario, ma complessivamente i minori che sono qui da soli, senza un adulto di riferimento, solo in città sono 500. Proprio ieri il Servizio Affidi di Palermo ha tenuto un incontro informativo rivolto a persone interessate a proporsi come famiglie di appoggio o famiglie affidatarie per minori stranieri non accompagnati, fra i 13 e i 17 anni. Accontentarsi di aver dato un appoggio a 55 ragazzi su 500 rischia di creare una discriminazione, come accennava all’inizio Roberta. «Oggi capita questo, che nella stesa comunità, dieci ragazzi hanno un tutore e dieci no: questo è vissuto malissimo dai ragazzi che non hanno un tutore volontario (la tutela dei minori non accompagnati ricade generalmente sul sindaco o l'assessore del Comune e naturalmente – è questo il senso della nuova figura – un tutore volontario riesce ad essere più presente nella vita dei minori di quanto possa esserlo l'assessore o il sindaco, ndr) per questo io cerco di evitare di andare in comunità, preferisco vedere i ragazzi fuori», continua lei. «L’altro giorno però alla festa dell’Eid un ragazzino di 15 anni mi si è avvicinato e mi ha chiesto “Ma perché io non ho un tutore?”. Ha 15 anni, è piccolissimo, perché non siamo partiti da quelli come lui? Quella domanda mi ha gelato il cuore».
Foto di Danilo Balducci/Sintesi
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