Da San Vito al Tagliamento, in provincia di Pordenone, a Strasburgo, ci sono più di 700 chilometri. E Valentino Gregoris, padre di un ventunenne autistico, Alessio, li ha percorsi tutti a piedi, per arrivare il 13 settembre al Parlamento europeo e chiedere conto delle politiche di inclusione lavorativa per chi è nello spettro.
Secondo i dati diffusi da Anffas, infatti, solo il 10% delle persone autistiche over 20 ha un impiego in Italia. Una consapevolezza particolarmente allarmante, visto che questa condizione caratterizza poco meno del 2% della popolazione. “Vorrei che si parlasse di più di autismo, non solo nella giornata mondiale a esso dedicata, il due di aprile”, dice Gregoris, che non è nuovo a queste imprese e che negli scorsi anni ha organizzato altri cammini di sensibilizzazione sul tema, “per questo sono andato nella sede di una delle istituzioni comunitarie; vorrei che chi scrive le politiche di inclusione lavorativa si confronti con noi che viviamo quotidianamente le difficoltà di ragazzi e adulti nello spettro”.
Autistici, genitori e associazioni chiedono di essere ascoltati dai legislatori. “Chi è neurodivergente come mio figlio se ha un impiego spesso viene sottovalutato e sottopagato”, continua l’uomo. “Le persone nello spettro in molti casi potrebbero trovare lavoro in un’azienda qualsiasi, non necessariamente nelle cooperative per disabili, ma ci sono molti problemi, sia burocratici – perché magari non si sa a che ente rivolgersi e quale sia l’iter corretto – sia di mancanza di conoscenza della condizione”. Le esperienze positive di inclusione sono diffuse a macchia di leopardo – alla Electrolux, multinazionale dell’elettrodomestico che ha una sede a Porcia di Pordenone, per esempio, stanno nascendo dei progetti per l’inserimento di persone disabili –, ma c’è bisogno di un lavoro strutturale, che dia uniformità agli interventi e si trasformi in un cambiamento strutturale. “Non si può andare avanti con iniziative individuali, demandate alle singole aziende o a genitori che, preoccupati del futuro dei propri figli, creano delle imprese, come Pizzaut”, afferma Gregoris. “Serve una progettazione dall’alto. Si tratta di un tema importante, legato anche al ‘Dopo di noi’. Diversi studi europei indicano una percentuale di pensieri suicidi tra le persone autistiche che va dal 30 al 50%; la paura di noi parenti è immensa. Che i nostri ragazzi potessero accedere a un impiego sarebbe un grande sollievo, ci migliorerebbe la vita”.
In Italia un enorme passo avanti è stato fatto nel 2015, quando è stata varata una legge, la 134, con la quale, per la prima volta, l’autismo è stato riconosciuto dallo Stato. Adesso, però, si tratta di dare un’adeguata attuazione alla norma e di creare una società davvero inclusiva.“I problemi che devono affrontare le persone nello spettro e i loro familiari sono simili in tutta Europa”, racconta il genitore. “Ho attraversato più di un Paese per andare a Strasburgo e durante il viaggio ho conosciuto amministratori locali e associazioni, con cui mi sono confrontato. In Francia ho avuto un bellissimo incontro con una realtà fondata da ragazzi autistici che si battono per i loro diritti, dal punto di vista normativo e lavorativo”. A Strasburgo, Gregoris ha potuto incontrare alcuni europarlamentari – in primo luogo l’italiana Elisabetta Gualmini (Pd) – e discutere con loro di autismo e delle problematiche legate all’inclusivita della società del Continente. “Vedo che qualcosa si sta muovendo”, commenta l’uomo, “da un anno a questa parte sono nate tante realtà, si sta parlando molto di più del tema. Mi fa piacere che adesso i nostri ragazzi esistano: è tempo di farli lavorare, senza paura e, soprattutto, senza compassione”.
L’obiettivo di creare un mondo del lavoro in cui ciascuno possa sentirsi rappresentato e partecipe è ambizioso, ma non impossibile. “Si può fare”, chiosa Gregoris con decisione. “Io sono riuscito a compiere un cammino di 760 chilometri con un dislivello totale di 9000 metri per portare le mie istanze al Parlamento europeo. Quello che mi ha mosso non è mai stata la rabbia o la disperazione; era la determinazione. Avevo voglia di farcela, per dimostrare che anche le cose difficili possono essere compiute se ci si mette d’impegno”. Cambiare la società, quindi, si può. Ma serve la volontà da parte delle istituzioni e da parte della politica; la domanda che molte persone disabili e molti genitori si fanno, ora, è se il governo che si insedierà dopo il 25 settembre sosterrà le loro cause. “Io sono un po’ scettico sul futuro, perché so che dobbiamo battagliare ogni giorno”, conclude Gregoris, “ma non rinunceremo alle nostre lotte: ci impegniamo perché i nostri figli possano vedere riconosciuti i loro diritti, che non sono privilegi”.
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