Parigi 2024

Io, Iman, alle Olimpiadi lotto e penso alla mia famiglia che non posso abbracciare

di Ilaria Dioguardi

Iman Mahdavi, lottatore iraniano, concorre sotto la bandiera della squadra olimpica rifugiati. «Condividere la passione per questo sport con tante persone provenienti da tutto il mondo insegna e testimonia il valore superiore della fratellanza tra i popoli», dice «eccitato e teso» alla vigilia di Parigi 2024

Quest’anno per la prima volta sono presenti anche due atleti che vivono e gareggiano in Italia, tra i 36 membri della squadra olimpica dei rifugiati scelti dal Cio-Comitato Olimpico internazionale, per i Giochi olimpici che iniziano il 26 luglio. Uno di loro è Iman Mahdavi, 29 anni, atleta iraniano specializzato nella lotta libera, rifugiato nel nostro Paese. Si allena a Pioltello (provincia di Milano), nella palestra del Lotta Club Seggiano, e vive a Milano. «Il mio pensiero, in questi giorni, va anche alla mia famiglia, a mia madre e ai miei fratelli, che sono in Iran: mi piacerebbe festeggiare con loro questi traguardi, poterli nuovamente abbracciare».

Mahdavi, cosa vuol dire per lei far parte della squadra olimpica dei rifugiati? E il fatto che, per la prima volta dalla creazione di questa squadra, ci siano due atleti residenti in Italia (entrambi iraniani), lei e Hadi Tiranvalipour?

Per me il fatto di essere un componente di questa squadra olimpica rappresenta un grande onore sportivo e un traguardo, che ho potuto raggiungere grazie all’allenamento e ai risultati ottenuti nelle competizioni in cui ho gareggiato. Dal punto di vista umano e professionale si tratta di una responsabilità e di una missione di grandissimo valore: siamo sotto gli occhi di tutto il mondo e rappresentiamo anche le speranze di milioni di rifugiati. Bisogna ricordare il duro lavoro di coloro che supportano la nostra integrazione e protezione, noi siamo l’esempio vivente della bontà dei loro sforzi, dei sacrifici che portano verso bellissimi traguardi.

(credit Andrea Lattanzi/agenzia Gedi)
(credit Luca Bruno, Associated Press)
Iman Madhavi durante una gara (credit Uww-United World Wrestling)

1/4

Come sono stati i suoi primi passi, quando ha iniziato questo percorso?

Sono stati davvero molto difficili perché non c’era stato mai nessun precedente in Italia. Qualsiasi cosa non aveva un punto di riferimento preciso verso cui muoversi. Devo molto alla società sportiva del Lotta Club Seggiano, la mia società, e in particolare agli infiniti sforzi del presidente Giuseppe Gammarota e dei tecnici Marco Moroni e Victor Cazacu. Mi hanno sempre spinto a dare il massimo, a non mollare e hanno costantemente collaborato con gli uffici e con lo staff di Unhcr: ha svolto un ruolo determinante nella mia storia di rifugiato, come uomo e come sportivo.

Il mio pensiero, in questi giorni, va anche alla mia famiglia, a mia madre e ai miei fratelli che sono in Iran: mi piacerebbe festeggiare con loro questi traguardi, poterli nuovamente abbracciare

Da quando è in Italia e come ci è arrivato?

Il mio viaggio è iniziato verso la fine del 2020. Ho lasciato l’Iran attraversando a piedi un lungo percorso che mi ha condotto oltre il confine e che è stato durissimo, sia fisicamente che psicologicamente, tanto che alla fine avevo perso quasi 10 kg di peso. Una volta giunto in Turchia, ho atteso di poter prendere il primo volo possibile verso l’Europa non sapendo bene in quale Paese mi avrebbe condotto. Solo una volta sbarcato ho compreso di essere atterrato in Italia e con le autorità di frontiera ho subito avviato le procedure di richiesta asilo in Italia. I primi tempi sono stato ospitato in una struttura della provincia di Varese grazie al supporto di Unhcr, condividevo una sistemazione con altri nove rifugiati richiedenti asilo come me, e provenienti da Paesi diversi.

Dopo avere ottenuto lo status di rifugiato cosa è cambiato?

Ho rinunciato alla risorsa dell’accoglienza presso la struttura protetta e ho stabilito la mia residenza a Milano. Qui ho iniziato un nuovo percorso di vita grazie al supporto di solidarietà che si è creato tra le persone del mio club sportivo, che mi hanno aiutato per trovare la casa e un lavoro (come addetto alla sicurezza in locali notturni).

Con quali emozioni si sta preparando a Parigi 2024?

Sono molto eccitato ma anche teso, le Olimpiadi sono un evento unico, per molti sportivi rimangono il sogno di una vita e mi sento di dovere un atto di riconoscenza anche verso tutti coloro i quali mi hanno aiutato ad arrivare fino a qui. Prima della partenza per Parigi ho deciso di rifinire la mia preparazione a Chisinau in Moldavia, nazione di origine del mio coach Victor Cazacu, che mi accompagnerà alle Olimpiadi. Anche in Moldavia come in Iran la lotta è uno sport che ha molto seguito e praticanti di altissimo livello.

(credit Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali – Fijklam)

Cosa significa, per lei, condividere la passione per questo sport con atleti di tanti altri Paesi?

Condividere la passione per questo sport con tante persone provenienti da tutto il mondo insegna e testimonia il valore superiore della fratellanza tra i popoli. Il mio pensiero, in questi giorni, va anche alla mia famiglia, mia madre ed i miei fratelli che sono in Iran: mi piacerebbe festeggiare con loro questi traguardi, poterli nuovamente abbracciare. Spero che un giorno le guerre, i regimi e le ingiustizie finiscano e che tutti i popoli del mondo possano vivere insieme in pace.

Condividerò con Hadi l’esperienza olimpica di Parigi, siamo tutti e due molto felici e sappiamo che abbiamo un messaggio molto importante da comunicare al mondo

Come è stato accolto dai suoi compagni in Italia?

Tutti i miei compagni di club mi hanno sempre sostenuto e aiutato, il mio datore di lavoro mi ha concesso moltissima disponibilità. Mi hanno sostenuto anche le istituzioni sia di Pioltello, dove mi alleno, che di Milano, dove vivo. Ma anche delle autorità, in particolare l’Ufficio immigrazione di Milano che ha svolto un supporto encomiabile per ottenere tutti i documenti necessari. Inoltre, è stata preziosa l’attività di enti e federazioni sportive: Comitato olimpico nazionale italiano-Coni, Fijlkam (Federazione italiana judo, lotta, karate, arti marziali, ndr) e Uww (United World Wrestling, ndr). All’inizio c’era molto scetticismo perché l’obiettivo di raggiungere le Olimpiadi sembrava un traguardo troppo grande. Ci sono voluti molta volontà e molto lavoro, ma ci abbiamo creduto sempre e alla fine ce l’abbiamo fatta. È stato come scrivere una pagina della storia, ciò riempie di orgoglio me e tutte le persone che hanno creduto in questo progetto.

All’inizio c’era molto scetticismo perché l’obiettivo di raggiungere le Olimpiadi sembrava un traguardo troppo grande

Ha conosciuto l’altro atleta della squadra olimpica, come lei rifugiato in Italia, Hadi Tiranvalipour?

Sì. Recentemente sono stato a Roma per un evento di Unhcr in occasione della Giornata mondiale dei rifugiati e l’ho conosciuto personalmente. Condividerò con Hadi l’esperienza olimpica di Parigi, siamo tutti e due molto felici e sappiamo che abbiamo un messaggio molto importante da comunicare al mondo

Da quanto tempo pratica la disciplina della lotta libera?

Sono cresciuto nella provincia iraniana di Mazandaran, sulle rive del Mar Caspio, dove ho iniziato a praticare la lotta libera che non avevo nemmeno 15 anni. La regione in cui sono nato e cresciuto è una terra in cui tutti sono lottatori. Anche mio papà praticava la lotta libera, io ho iniziato da giovanissimo che pesavo poco più di 30 kg e ho cominciato da subito a distinguermi in questo sport: negli anni dei primi campionati iraniani nazionali giovanili dove ho partecipato, ho vinto tre medaglie d’oro e quattro d’argento. In Iran questa disciplina sportiva è uno sport nazionale, un po’ come il calcio in Italia: la notizia della mia inclusione nella squadra olimpica dei rifugiati ha avuto una notevole eco tra la gente del paese da cui provengo. In tanti mi hanno manifestato solidarietà e supporto dall’Iran. Spero di poter praticare questo sport ai massimi livelli ancora per molti anni, chissà magari anche fino alle prossime Olimpiadi del 2028.

Un appello alla pace

Rappresentanti di tutti i 206 comitati olimpici nazionali e la squadra olimpica dei rifugiati hanno rivolto al villaggio atleti di Parigi 2024 un forte appello alla pace, riunendosi, mostrando sciarpe e bandiere con il messaggio “Dai una possibilità alla pace”. Hanno partecipato, in particolare, atleti provenienti da Paesi che sono attualmente in conflitto o in guerra tra loro. Anche Iman Mahdavi (nella foto sotto) ha raccolto l’invito del presidente del Cio Thomas Bach fatto agli atleti ad estendere il loro appello alla pace: «Per favore, condividete questo appello alla pace con tutti i vostri tifosi, le vostre famiglie e gli amici a casa. In questo modo le nostre tante voci diventeranno una sola. Questa voce risuonerà in tutto il mondo. Possa questo appello ispirare tutti i leader politici del mondo ad agire per la pace». Iman Mahdavi gareggerà il 9 agosto (lotta libera 74 kg).

Foto per gentile concessione dell’Asd Lotta Club Seggiano (credits nelle didascalie)

Cosa fa VITA?

Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è  grazie a chi decide di sostenerci.