Nube è un nome rarissimo. Non solo in Italia, anche in Colombia. Forse un po’ stravagante, ma perfetto per una donna originaria di Bogotà che vola alto con i suoi valori e ideali. Nube Sandoval è una regista di casa in Italia, dove ha trovato rifugio con i suoi familiari nel corso della sanguinosa guerra civile che ha dilaniato il suo Paese per 60 anni. Hanno vissuto per 15 anni in Umbria e sono in possesso della doppia cittadinanza. Per undici anni lei e il marito Bernardo Rey hanno diretto a Roma un laboratorio di riabilitazione psicosociale per rifugiati vittime di tortura e persecuzione: numerosi colombiani, afghani, iraniani, iracheni e africani giunti da buona parte del continente nero. Da parecchio tempo, portano avanti una serie di progetti che mettono al centro l’arte quale strumento capace di far dialogare i popoli e superare i conflitti. Tema quanto mai di attualità. Ed è stato proprio questo l’argomento principale sviluppato nel corso di una conferenza fortemente voluta da Carovana Smi, Università di Cagliari, Ars et Inventio, Il Crogiuolo – Fucina Teatro e La Vetreria, organizzata alla facoltà di Studi umanistici di Cagliari. All’interno della due giorni che si è tenuta nel capoluogo sardo, anche una masterclass teatrale alla “Scuola di danza Assunta Pittaluga”.
Nube e Bernardo erano gli ospiti speciali di questo incontro con gli studenti universitari di Cagliari. Lei è anche un’attrice, drammaturga e pedagoga che, nel 1992, con suo marito ha fondato nella capitale colombiana il Centro per la ricerca teatrale “Cenit”, il quale utilizza le arti come strumento di impegno civile. Bernardo, oltre ad essere un regista, è anche scenografo, drammaturgo, pedagogo e scultore. Due persone poliedriche, dunque, ma con la stessa visione della vita. Tra il 2021 e il 2022 hanno scritto e diretto, insieme a Iván Benavides, lo spettacolo “Develaciones, un canto ai quattro venti”. «Un lavoro realizzato su incarico della Commissione per la verità della Colombia, un organo governativo nato nel 2016 per fare chiarezza sui motivi della guerra civile che sin dagli anni Sessanta ha insanguinato il nostro Paese», spiegano i due coniugi. «Abbiamo accolto con grande entusiasmo l’invito che ci ha fatto la danzatrice e coreografa Enrica Spada, che sta svolgendo una ricerca per il corso di dottorato in Filosofia, epistemologia, scienze umane del Dipartimento di Pedagogia, psicologia, filosofia dell’Università di Cagliari».
Non è stata una toccata e fuga, bensì un’occasione di approfondimento di una serie di tematiche storiche e sociali. Per l’occasione è stato proiettato il video dello spettacolo “Develaciones”, nato nel 2021: in maniera coinvolgente e commovente, unendo teatro, musica, danza e videoarte, mette in scena le diversità culturali all’interno della Colombia e allo stesso tempo riunisce i saperi e i talenti di artisti e comunità di quel Paese, ben rappresentati da 102 persone sul palco. Uno spettacolo che riflette la metodologia de “Il teatro come ponte” che Nube e Bernardo hanno perfezionato lavorando a progetti educativi e teatrali nelle zone a rischio e con popolazioni vulnerabili, non solo in Colombia ma anche in Italia dove, dal 2005, hanno seguito numerosi giovani rifugiati vittime di torture. I progetti da loro diretti negli ultimi 25 anni sono stati finanziati dai ministeri della Cultura di Colombia ed Equador, dai Comuni di Bogotà e Ginevra, dalla Caritas di Roma, dal ministero degli Interni italiano, dal Consiglio italiano per i rifugiati, dall’Onu e dall’Unione europea. Per il loro importante lavoro, nel febbraio del 2016 gli è stato conferito a New York il premio internazionale “Ellen Stewart international Award”.
«La Commissione per la verità e la riconciliazione è un organismo che è stato creato in vari Paesi non tantissime volte», sottolinea Nube Sandoval. «Tra i casi più recenti cito quelli registrati in Sudafrica, dopo l’apartheid, in Irlanda, Cile, Canada e Nicaragua. La guerra civile in Colombia è stata una delle più lunghe nella storia moderna dell’umanità. L’obiettivo è quello di mettere in luce il comportamento del governo e di tutte le parti coinvolte in quel conflitto fratricida. Sono state effettuate 40mila interviste che hanno coinvolto politici, militari, guerriglieri, società civile, persino i narcotrafficanti. Lo spettacolo che proponiamo parte da un lavoro teatrale adattato per il cinema. Tratta le tematiche sociali che traducono ciò che è accaduto, nel tentativo di esporre non solo la parte razionale della società colombiana ma di raggiungere le viscere di quanti non erano informati su ciò che realmente stava accadendo nel nostro Paese».
«Abbiamo utilizzato i linguaggi e i mezzi di cui disponiamo per raccontare all’umanità 60 anni di dolore e atrocità», sottolinea Bernardo Rey. «Ci ha spinto la stessa sensibilità che ci ha guidati a Roma dal 2005 al 2016 nel laboratorio per rifugiati, persone fragili che hanno chiesto asilo all’Italia e hanno dovuti fare i conti con traumi psicologici devastanti. Il teatro e l’arte hanno dato a loro un’opportunità straordinaria di ripresa e integrazione. La scelta del vostro Paese è stata originata da tanti fattori: intanto, i nostri familiari vivono qui da oltre 40 anni; inoltre, sono scultore e amo realizzare maschere artistiche. Nel 2000 sono stato invitato ad Abano Terme da Donato Sartori, che è una celebrità a livello mondiale in questo campo. Lui e suo padre Amleto mi hanno fatto scoprire mille segreti della commedia dell’arte. Da lì’ è nata una collaborazione e poi un’amicizia forte. L’Italia è ricchissima di tradizione. Nei giorni scorsi abbiamo avuto modo di conoscere a fondo le antiche maschere della Sardegna, che affondano le radici a millenni fa».
L’Italia, dunque, è diventata la loro seconda patria. Ma Nube e Bernardo fanno la spola tra l’Europa e la Colombia. Hanno aperto un Centro di ricerca teatrale nel cuore della giungla dei Caraibi colombiani, costruito con le tecniche della bioarchitettura. «Abbiamo utilizzato soprattutto le canne di bambù», racconta lei. «Uno spazio in armonia con l’ambiente circostante e rispettoso delle tradizioni sociali e culturali di quella regione. Vi sviluppiamo progetti con i contributi del ministero della Cultura e di altri enti, sempre con l’obiettivo di conoscere se stessi e dialogare con gli altri popoli. In quell’area del nostro Paese sono stati uccisi tantissimi afro-colombiani».
Il Teatro come Ponte è diventato, negli anni, una pratica di grande rilievo alla quale hanno iniziato a interessarsi i media nazionali e un pubblico crescente. «Ci hanno dedicato anche sette tesi di laurea, studenti della Sapienza di Roma e di altre università europee», precisa con una punta di legittimo orgoglio Bernardo. «E si sono interessati a noi personaggi di grande levatura culturale, come Moni Ovadia, Andrea Camilleri, Erri De Luca, che si sono avvicinati incuriositi per i risultati ottenuti anche in campo artistico: in molti ritengono che la qualità del prodotto finale sia di livello professionistico. Questo ci fa enormemente piacere perché è molto importante il percorso compiuto, ma lo è anche il risultato raggiunto. La qualità e la bellezza sono le due facce della stessa moneta: entrambe aiutano a guarire e a scovare i diamanti, cioè le risorse che ciascuno di noi possiede. A volte non ne siamo consapevoli, eppure attendono di uscire attraverso il canto, la danza, il teatro e la poesia. Con “Il Teatro come ponte” ci sono riusciti tantissimi indigeni, semplici contadini che non si erano mai avvicinati all’arte».
Questo progetto, interviene Nube, «ha permesso di risanare tante ferite interiori e creare spazi di pace e armonia che hanno restituito momenti di condivisione sociale. Ebbene sì, siamo orgogliosi di questa realtà che si genera giorno dopo giorno. Noi siamo dei facilitatori che si trovano a guidare un gruppo eterogeneo di persone, ma i diamanti li scovano loro stesse. Nello spettacolo “Develaciones” hanno lavorato fianco a fianco 102 persone, comprese alcune Madres de Soacha, le mamme di vittime della guerra civile. Proprio pochi giorni fa hanno ricevuto le scuse ufficiali dal governo colombiano: il loro ruolo è stato importantissimo, quanto quello delle donne argentine nella drammatica vicenda dei desaparecidos. E poi hanno recitato con noi due ragazzi scampati per miracolo alle esecuzioni dei militari: migliaia di giovanissimi (6.402 quelli accertati), tra cui molti loro amici e parenti, sono stati uccisi e poi vestiti con gli abiti dei guerriglieri per esibire una vittoria effimera e non rispondente alla realtà. Un inganno disvelato, dopo la fine della guerra civile, da mamme estremamente coraggiose. La scena delle mamme è una delle più forti e toccanti dell’intero spettacolo. Le Madres de Soacha continuano a denunciare con grande dignità un sistema macabro che ha portato in carcere tanti generali».
Nube sorride, parlando del suo nome. «Non ho mai incontrato un’altra donna che si chiamasse come me. I miei genitori erano piuttosto alternativi, diciamo così», dice. «Però mi hanno aperto al mondo ed educato al dialogo. Ecco perché a me, ma anche a Bernardo, viene naturale adoperarsi per la pace tra i popoli. Ci crediamo e continueremo a batterci per questo».
Credits: foto Teatro Cenit e Juan Diego Castillo
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