Il giro degli USA in 90 giorni, quanti ne consente il permesso di soggiorno. Non tanto per stabilire un nuovo record, quello di toccare tutti i 50 Stati a stelle e strisce in un unico viaggio, quanto per incontrare tantissimi sardi emigrati in cerca di fortuna e farsi raccontare le loro storie e il percorso di integrazione sociale e culturale, tra l’immancabile nostalgia della loro terra e la prospettiva di una occupazione di qualità. Stefano Floris, 47 anni di Furtei (Cagliari), e Tiziana Nuvoli, 36 anni di Arborea (Oristano) sono al quinto giorno di questa nuova avventura. «In verità – precisano i due – in due Paesi il treno non arriva per niente, dunque ci muoveremo con mezzi alternativi, il più possibile ecologici. Ci attendono tanti circoli di emigrati e famiglie sparse tra grandi città, deserti e montagne».
Come e quando è nata l’idea di viaggiare per il mondo e fare questo genere di esperienze? «Ci siamo conosciuti undici anni fa, quando stavo preparando gli ultimi esami del corso di guida safari, in Africa», spiega Stefano. «Conoscevo abbastanza bene quel Continente, lei no. Ha partecipato a un safari fotografico con me e si è letteralmente innamorata dell’Africa». «La mia mente – sottolinea Tiziana – si è totalmente aperta a quel tipo di esperienza e ai viaggi a lunga distanza. L’Africa ti accompagna verso nuove culture, ti libera la mente. Amiamo moltissimo gli animali e la natura, ma nei nostri safari c’è sempre qualche giorno dedicato all’incontro con le tribù locali con cui interagiamo».
Da lì la decisione di varare il progetto “Basta, scappo in treno”, inizialmente proposto sui social. L’iniziativa ha incuriosito anche Licia Colò, al punto da diventare una rubrica della trasmissione “Il mondo insieme”, su TV2000. Il viaggio dal Portogallo al Vietnam è stato il primo step, la prima vera avventura: 20mila km in treno alla scoperta di luoghi e civiltà estremamente differenti tra di loro. «In quell’occasione – racconta Stefano – abbiamo dato fondo a tutti i nostri risparmi. Amiamo vedere scorrere il mondo dal finestrino di un treno, non è stata una faticaccia. Il treno è il mezzo ecologico per eccellenza, noi stiamo attenti a questi particolari: utilizziamo soltanto saponi solidi e materiali plastic free. Siamo partiti dall’idea di cercare gli italiani sparsi per il mondo, poi abbiamo iniziato a focalizzare l’attenzione sui tanti nostri conterranei emigrati nei cinque continenti. Così è iniziata questa nuova impresa: siamo registrati alla Camera di commercio come documentaristi di viaggio».
Raggiungere i sardi emigrati in ogni angolo del pianeta ha permesso ai due giovani di conoscere il loro stato d’animo e di percepire in quali Paesi si siano integrati meglio. «Sicuramente, i più felici sono quelli che vivono nei Paesi del Nord Europa, per la qualità della vita», spiegano i due giovani. «La maggior parte di loro ci ha detto di aver trovato lavoro semplicemente inviando il curriculum, cosa che in Italia è piuttosto difficile. Non mancano i sardi che hanno nostalgia della terra d’origine: sono soprattutto quelli che hanno lasciato la Sardegna per pura necessità. Sarebbero già rientrati nell’Isola, se ci fossero nuove condizioni di lavoro. Negli Stati Uniti, invece, nei primi quattro giorni abbiamo incontrato numerosi sardi, tutti felicissimi dell’esperienza americana e perfettamente integrati. Chi ha voglia di lavorare e idee, da queste parti trova le opportunità che cerca».
I sardi emigrati sono ormai alla quarta generazione. Che cosa è cambiato rispetto agli inizi del Novecento? «I nostri nonni e bisnonni viaggiavano con le valigie di cartone, non si inseguiva tanto il sogno americano quanto la necessità di lavorare per sfamarsi. La maggioranza dei sardi e degli italiani che si muovono oggi in cerca di lavoro, parte da condizioni economiche mediamente più agiate. I più giovani, spesso, sono aiutati dai genitori almeno nella fase iniziale, e comunque hanno dei risparmi con sé. È cambiato molto, insomma».
«Viaggiando per il mondo stiamo apprendendo tante lezioni di vita, per esempio il sorridere pur con il niente in tasca, tipico degli africani. Con loro impari a non sprecare niente, nemmeno una goccia d’acqua o un tozzo di pane. Ci ha poi sorpreso la tanta diversità che c’è nel mondo. Spesso siamo intrisi di luoghi comuni sui vari popoli e le rispettive culture. Viaggiando, puoi incontrare e abbracciare qualcuno dappertutto, ovunque trovi ospitalità e sorrisi. Abbiamo visto che c’è più voglia di socializzare di quanto emerga nei media, in particolare alla tivù. Inoltre, abbiamo imparato ad apprezzare la nostra casa, la semplicità dei nostri piccoli spazi, le amicizie vere. È bello viaggiare, ma è altrettanto bello tornare al proprio paesello. Però, dopo due anni di pandemia e restrizioni, ci manca molto l’Africa».
«La savana del Kenya, il deserto della Namibia, il lago Baikal in Russia, la Grande Muraglia cinese sono i luoghi più affascinanti che sinora abbiamo visitato», raccontano. «Bellissimi e, guarda caso, tutti spazi ampi, aperti, dove si respira un’aria di assoluta libertà, dove vieni abbracciato dal silenzio e dalla semplicità. Luoghi simbolici, introspettivi. Ma sono soprattutto le storie di donne e uomini che ci colpiscono nell’intimo. Non sempre è una scelta libera, quella di lasciare la propria terra per cercare lavoro a migliaia di chilometri di distanza. E molti finiscono col farsi sopraffare dalla nostalgia».
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