«Siamo una cooperativa sociale che si occupa da sempre dello sviluppo locale. Nel tempo ci siamo sempre più specializzati sulla dimensione economica, cioè ragionando di attività economiche sviluppate in un’ottica comunitaria e generativa». Così spiega la peculiare struttura della Cooperativa sociale Liberitutti di Torino, il presidente Daniele Caccherano, che aggiunge: «Oggi siamo un gruppo che comprende anche imprese sociali e benefit corp, quindi realtà for profit pure».
Nata nel 1999 come luogo di sperimentazione e sintesi di processi sociali complessi, in particolare in ottica di sviluppo delle comunità locali Liberitutti negli anni ha visto la propria mission svilupparsi mediante la progettazione e la realizzazione di servizi come soggetto singolo, in partnership o la gestione di servizi per conto di Enti Pubblici: operando nell’ottica di creare sviluppo di comunità tra servizio e territorio.
«Il percorso imprenditoriale vede oggi Liberitutti caratterizzarsi come impresa sociale, in grado di coniugare la dimensione “impresa”, attenta a gestire i propri processi produttivi, con modelli economici inclusivi in grado di rispecchiare la sua mission sociale», continua Caccherano, «la modalità di lavoro di Liberitutti è di tipo “generativo” sia per quanto riguarda il capitale umano e sociale sia nel suo rapporto con i territori di intervento».
La coop si pone l’obbiettivo di essere impresa etica, in grado di realizzare utile sociale e di destinare l’utile economico, eventualmente prodotto, al miglioramento delle condizioni di lavoro dei propri soci e di generare crescita sociale nei territori in cui opera.
«Siamo un attore di economia sociale, vissuta come capitalizzazione delle esperienze, delle risorse materiali ed immateriali, delle conoscenze delle persone che la compongono in sintonia e condivisione con le geo comunità su cui agisce il proprio impegno imprenditoriale», aggiunge il presidente.
I principali ambiti di intervento sono education, inclusione sociale, infanza, nuovi cittadini e sviluppo locale.
«C’è poi la partecipazione o il controllo di imprese for profit grazie ad un’impresa sociale che si chiama Glocal Factory e ad una b-corp che si chiama Blob, che gestisce una serie di punti vendita di abbigliamento i cui proventi sono destinati a sostenere progetti per lo sviluppo locale», spiega il presidente. Ma perché questa organizzazione così complessa? «Per rispondere ai bisogni dei territori: da un lato ci siamo aperti ai temi del lending e dell’equity, soprattutto sul fronte dell’occupazione, ma la forma cooperativa non era inadatta. Dall’altro ci siamo resi conto che le imprese familiari di seconda generazione vanno ormai avanti per stanchezza senza vocazione. Serviva portare innovazione e nuovo senso», conclude il presidente.
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