Sono ormai tre settimane che l'emergenza Covid19 è l'argomento principale di ogni media della terra, Ma mentre prima il virus era una vicenda del lontano Oriente oggi, dopo che l'asia ha di fatto archiviato velocemente l'emergenza, nell'occhio del ciclone c'è l'Occidente. Con l'Europa, oggi il centro dell'emergenza e gli Stati Uniti che lo diventeranno presto. C'è chi però non si limita al conto dei malati o al conteggio dei danni economici. Moni Ovadia, intellettuale italiano di origini ebraiche, che come tutti è chiuso in casa, «lascio andare i pensieri, leggo molto e cerco di guardare al di là del contingente, per afferrare un'orizzonte».
Come vede gli italiani in questa situazione?
Molto onestamente sono in genere infastidito dalla retorica patriottarda dei politici. Trovo però che queste manifestazioni da balconi e finstre siano il frutto di una reazione collettiva che cerca di ritrovare il senso di comunità. Quello che però dovremmo ricordare è che in Italia ci sono 12 milioni di evasori. È bello cantare e condividere un momento come questo. È un modo di sentirsi vicini. Ma mi piacerebbe che insieme a questo si attivassi un processo di rimessa in questione di come viviamo, non “al tempo del coronavirus”, ma normalmente. E di conseguenza del senso cui apparteniamo. Oggi il nostro baricentro è lo sfrenato consumismo. Al limite il piagnisteo diffuso quando ci è impossibile esercitarlo. Dobbiamo ritrovare il senso della centralità della vita, della centralità del bene comune, della centralità della comunità sociale umana unica. Mi piacerebbe se si attivasse una profonda riflessione su questo. Sarebbe bello ritrovare il senso della vita, della fratellanza, della solidarietà. Non voglia fare il grillo parlante sia chiaro.
Però lo sta facendo…
Forse è vero (ride). Ma deve essere il fatto che sto facendo un reading dell'Enciclica di Papa Francesco che credo sia un documento che dovrebbe diventare patrimonio comune. Se c'è uno che non crede e che non è cattolico né cristiano sono io, però accidenti bisogna dire che è un'Enciclica prima di tutto sociale e quindi anche coerentemente ecologica. In quel testo noi ritroviamo il senso di quello che è definirsi “esseri umani” e di quel grande cammino verso una società di giustizia sociale che abbiamo intrapreso da migliaia di anni ma che è stato cortocircuitato dall'economia iper liberista che il Pontefice definisce “economia di morte”. È così vero. Basterebbe pensare che il Governo ancora a una volta mette in campo protezioni per tutti tranne che per gli operai della logistica. Ancora una volta la spina dorsale del sistema produttivo, la classe operaia, viene dimenticata in ragione del profitto. È una malattia da cui dobbiamo guarire.
Lei che si è sempre definito di sinistra radicale divulga un'Enciclica papale?
(Ride) Ai miei amici di sinistra quando l'ho letto ho detto: “Fate un po' come cazzo volete ma io vado a prendere la linea del Vaticano”. La verità è che abbiamo bisogno di meticciato culturale. Non ne usciamo se no facciamo un'alleanza. Come diceva Papa Giovanni XXIII servono “tutti gli uomini di buona volontà”. Senza settarismi. Non è il momento.
Può essere il Coronavirus l'imprevisto che ci dà la chance di rivedere i nostri modelli ed equilibri?
Assolutamente. Prima di tutto però dobbiamo dire che questo virus ha l'aspetto tragico delle morti. Non si può dimenticarlo. Detto questo è una grande chance. Soprattutto perché dimostra che noi dobbiamo fondare il nostro progetto umano sulla fragilità non sulla forza. Ci può insegnare a porre come pivot, come perno, della costruzione della nostra società, la forza della fragilità. Che è solo apparentemente un'ossimoro: se ci riconosciamo fragili evitiamo di cadere vittime dell'arroganza, dell'hubris.
Per citare Vaclav Havel “Il potere dei senza potere”…
Esattamente. Siamo creature fragili e questo virus ce lo sta dimostrando in modo drammatico. Oggi la cosa più sensata è accettarlo. Sarebbe bello, e lo dico in senso laico, che questo obbligo forzato di stare nelle proprie case con le proprie famiglie diventi l'occasione di un ritiro spirituale. Cioè di riflessione sul valore delle relazioni umane e di ciò che è l'autenticità che la vita ci offre che abbiamo barattato con il consumo. Anzi tramutato in consumo.
Ha citato la fragilità, l'hubris, il mondo classico che è la culla di quel pensiero e di questo modo di guardare all'uomo. In questo senso il mondo latino, mediterraneo, può tornare a indicare una strada che si è persa per inseguire una visione più calvinista della vita, sempre più chiara guardando a Boris Johnson e Donald Trump?
Come ebreo approfitto di questa domanda molto giusta per dire che, in termini weberiani, l'unica fede che ha stabilito una relazione tra accumulazione capitalistica e redenzione è cristiana: il calvinismo. Non gli ebrei. Nonostante le barzellette (ride). Mai nel Talmud né nella Torah si troverà un riferimento all'accumulo di danaro come valore. Venendo al punto questa domanda mette il dito in una grande piaga. Tutto ciò che ha formato la civiltà dell'Occidente, del vicino Oriente e attraverso l'Islam anche a parte dell'Oriente è nato tra la Mezzaluna fertile e il Mediterraneo. Ebraismo, grecità, Cristianesimo, Islam. Sono nati in quel magico luogo. Il cristianesimo ha preso una deriva che lo ha portato a perdere i valori originali quando si è occidentalizzato, quando ha smarrito l'elemento della sapienza mediterranea orientale. Oggi l'Occidente cos'è a parte denaro, mercato e questo tipo di idolatrie? Ha una proposta spirituale? No.
L'Occidente ha anche grandi meriti però, o no?
Certamente. L'Occidente ha fatto grandi cose e dobbiamo essere onesti. Come i diritti, l'immensa cultura dei diritti. Ma di quella cultura, a parte i diritti civili che non disturbano il potere vero, non si può allo stesso tempo dire che ha abbandonato quel cammino dei diritti? Addirittura qualche solone ha scritto che a causa dei problemi economici non ce li possiamo più permettere i diritti sociali. Dobbiamo tornare al senso primo, quel cammino di conoscenza. Come diceva Emmanuel Lévinas “la filosofia parla greco. L'etica parla ebraico” e latino per via del contributo decisivo cristiano, dico io. Allora se noi ritroviamo quell'humus orientale, quell'aria desertica e quei venti del Mediterraneo, quel calore che è anche un calore intellettuale e spirituale, possiamo riprendere il cammino di redenzione dell'umanità. Se accettiamo di partire per la tangente occidentalista siamo persi. Teniamo conto che il cristianesimo diventa potere in Occidente. Ecco perché Papa Francesco è odiato dal potere, e anche da metà della sua stessa Chiesa.
In che senso?
Papa Francesco viene dall'altra parte del globo. Ma come chiamiamo le culture del Sud America? Latinoamericane. Perché c'è tutta la radice ispanica, quel clima di cui parlavo. Dove una parte del cristianesimo ha addirittura trovato la sua radice rivoluzionaria con la Teologia della Liberazione con il grande vescovo Hélder Câmara. Ma perfino il vescovo Óscar Romero è stato ucciso, nonostante non fosse un progressista. Il motivo è che difendeva il diritto dei poveri. Câmara diceva: «quando faccio l'elemosina ai poveri mi chiamano santo. Ma quando combatto la povertà mi chiamano comunista». Francesco viene da quel contesto. Quindi tronando al punto: noi europei mediterranei guardando al Medio Oriente, con rispetto invece che con aggressività, possiamo ricominciare un cammino. Ritessere quella parte interrotta per andare avanti. Dobbiamo ritessere l'infranto per poi proseguire.
A proposito della relazione Occidente e Oriente, l'economista Marcello Esposito, sostiene che questa emergenza sancisca il sorpasso orientale nei nostri confronti. È così?
Il problema è l'arroganza dell'Occidente che pensa di poter dare lezioni a tutti. C'è invece un enorme mondo, quello del lontano Oriente, che ha avuto grandissime spiritualità, verso cui noi continuiamo ad avere questo atteggiamento osceno di superiorità. Penso anche alla russofobia americana. Credo si debba piuttosto ridefinire la condizione geopolitica attraverso una pluralità di voci.
L'emergenza coronavirus potrebbe ridare la centralità perduta alla politica rispetto all'economia?
Assolutamente. Ma abbiamo bisogno di ridefinire il concetto di democrazia. Non può voler dire solo andare a votare ogni cinque anni. Questa è una scorza di democrazia. Un guscio vuoto. Per farlo serve ridefinire il senso della politica. Per me i partiti non hanno più senso, guardo ai movimenti. E guardo al Terzo settore, al sociale. Che oggi di fatto sopperisce all'abdicazione dello Stato. Quella è politica. Quella è la politica di cui abbiamo bisogno. Non i partiti. Con nuove forme da inventare. Pensiamo alla deriva della privatizzazione del mondo cominciata con Bill Clinton, tanto adorato dalla cosiddetta sinistra riformista. Bisogna ricordare che “privato” significa anche “tolto”. Cioè privare qualcuno di qualcosa. Abbiamo bisogno piuttosto di “privato sociale”, cioè di un privato che non pensa che cose come la sanità e l'acqua siano delle commodities, cioè beni negoziabili.
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