Italia Non Profit

Il sociale delle piattaforme: il futuro del Terzo Settore è nei dati

di Marco Dotti

Il settore non profit può essere «un motore fondamentale per comprendere i bisogni sociali e costruire una migliore convivenza civile». Ce lo spiega Mara Moioli, fondatrice e ceo, con Giulia Frangione, di Italia non profit, start-up a vocazione sociale che sta innovando - parecchio - il rapporto fra terzo settore, trasparenza e data analysis

Start up innovativa a vocazione sociale, Italia non profit è, tecnicamente, una società benefit. Che cosa significa?«Significa che, oltre a obiettivi economici, perseguiamo un beneficio comune». A spiegarcelo è Mara Moioli, con Giulia Frangione fondatrice di Italia non profit. Ogni anno, precisa, «dobbiamo produrre un rendiconto che misura il nostro impatto sociale e il modo in cui contribuiamo al benessere collettivo».

Fare il punto

Sono passati alcuni mesi dal lancio della vostra start up. Come sta andando?
Molto bene, siamo davvero entusiasti della risposta e dei riscontri avuti dalla piattaforma. Intorno ad Italia non profit si è creata una ampia community attenta e attiva, che ci sollecita a continuare nel lavoro di coinvolgimento e divulgazione rispetto ai temi del Terzo settore; si sono intensificate le collaborazioni con altri stakeholder su progetti nuovi, e abbiamo appena superato le 400 organizzazioni presenti nel database.

Le richieste da chi arrivano?
In questi mesi sono arrivate numerose richieste di collaborazione da una pluralità di soggetti fra cui fondazioni, aziende e centri di ricerca, accomunati dall’interesse e dalla necessità di informazioni qualificate sul Settore. Questo è uno stimolo per rendere la piattaforma sempre più adeguata alle necessità di tutti. Le richieste di iscrizione al portale arrivano da tutte le organizzazioni: su Italia non profit si registrano sia enti grandi e strutturati, con una raccolta fondi di dimensioni consistenti, sia enti di dimensioni ridotte, che con piccoli organici e risorse scarse sono attivissimi sui territori, sia enti giovani, molti quelli costituiti da pochi anni, attenti alla dimensione digitale! Si registrano da tutta Italia, da ogni tipo di causa sociale, e da enti con differenti forme giuridiche (associazioni, comitati, fondazioni, coop. sociali, etc..) e qualifiche fiscali. Questo ci conferma che la direzione presa è quella giusta, che il privato sociale e non solo, partecipa attivamente a questi luoghi di confronto, di narrazione e scambio coi cittadini. Le piattaforme sono strumenti portentosi in questo senso, creano opportunità, esternalità positive!

Cooperazione delle piattaforme

Oggi si parla molto di capitalismo delle piattaforme (platform capitalism), possiamo dire che c’è anche un sociale delle piattaforme. Forse la sfida è proprio questa: incidere fin dall’origine sul design del sociale…
Al platform capitalism, preferiamo il “platform cooperativism”, il nostro sforzo nella direzione dell’accessibilità delle informazioni è continuo e prioritario. La riflessione da fare
sarebbe lunghissima, permettimi però un breve inciso. Il Terzo settore, come quello Pubblico, non ha finalità di lucro, è regolato da precisi vincoli di reinvestimento e a differenza del Mercato, risponde a dei bisogni sociali, tutelando il benessere collettivo. L’efficienza, la resilienza e soprattutto l’efficacia di questi enti, contribuisce in misura rilevante alla vita di tutti. La sharing economy consente agli enti di potenziare il proprio capitale di fiducia, umano e sociale. La fiducia rappresenta una “scorciatoia cognitiva” capace di orientare gli individui nel sovraccarico informativo in cui sono talvolta immersi. La misurazione e il rendiconto, l’interazione proattiva fra cittadini ed enti, attraverso l’accesso diretto ad una informazione fruibile, sono solo alcune delle applicazioni positive delle piattaforme.

Voi come vi ponete in quest’ottica? Come un luogo, uno spazio aperto di mediazione o come un gruppo di pressione?
Italia non profit vuole essere un luogo di ispirazione ed emozione. Speriamo per questo di incontrare l’interesse di tutti gli enti che non si accontentano di avere ottime intenzioni, ma perseguono le loro finalità con competenza, convinti che il modo con il quale si fanno le cose, rappresenti l’essenza stessa delle cose. Perchè si rendiconta e valuta (dare valore), se non per cambiare il mondo?! Ridurre le disparità informative fra cittadini e organizzazioni, (avvicinarli!) sfruttando le opportunità digitali, è il nostro modo di contribuire al cambiamento in atto. Per questo produciamo mappe, guide, contenuti interattivi e grafici sul Settore, ma molto è in costruzione in questi giorni!

I dati come guida

A proposito di guide, ora la vostra piattaforma ne presenta una alla riforma del Terzo settore. Di che cosa si tratta?
L’abbiamo elaborata perché crediamo sia fondamentale comprendere la portata del cambiamento in atto, ed è quindi un’occasione – per tutti – per analizzare articoli di legge e decreti che incideranno profondamente sul Settore. Lavorando su più di 100 articoli, ci siamo messi nei panni degli enti non profit e dei loro bisogni di comprensione: per questo li abbiamo raggruppati per aree tematiche. In tal modo, anche i cittadini interessati alla Riforma (volontari, donatori, operatori) possono accedere a un contenuto divulgativo, completo e sempre aggiornato. Sono in corso in questi giorni le audizioni, seguiamo i lavori, per tenere la Guida aggiornata.

Semplificazione non significa banalizzazione…
La Riforma del Terzo settore segna un passaggio storico non solo per gli enti ma per tutta la società. Per questo il nostro lavoro è stato quello di rendere fruibile e comprensibile il linguaggio tecnico della norma, evitando l’eccessiva semplificazione e mantenendo un certo rigore formale.

Avete fatto un lavoro di ri-mediazione, per parlare in gergo tecnico…
Abbiamo scelto di analizzare tutte le aree di interesse della legge delega e dei successivi decreti (dalle regole per il 5×1000, al servizio civile universale, dalla nuova impresa sociale e dai centri di servizio per il volontariato fino alle nuove regole di deducibilità e detraibilità per i donatori). La conoscenza porta alla comprensione.

Terzo Settore: una sfida culturale

Il lavoro sui dati è la vostra peculiarità…
Le svolte culturali non avvengono quando ci sono i dati ma quando i tempi sono maturi e i bisogni molto forti. La splendida notizia è che le informazioni e la conoscenza possono facilitare questi cambiamenti e orientarli. Lavoriamo quindi sui dati per generare valore per tutto il Terzo settore, per la cultura del dono, per la filantropia strategica, per rafforzare il ruolo di chi si impegna nel dare risposte a bisogni sociali. Vogliamo fare da collettore di una grossa mole di dati che, rielaborati, possono dare quell’informazione trasparente, soprattutto chiara, che il Terzo settore e i cittadini chiedono. Non vogliamo sostituirci ai giornalisti per fare inchieste, non vogliamo proporci come operatori di raccolta fondi. Questo è il senso della nostra sfida. Ci piace farlo collaborando con altri soggetti del sistema che possono offrirci prospettive, stimoli e ponti diversi, per progetti sempre più utili.

Oltre che organizzativa e tecnica, al di là del fatto che si sia o meno d’accordo con il suo impianto, questa è fuori da ogni dubbio una riforma che chiede un rovesciamento di prospettiva culturale. Su questo cambiamento di prospettiva culturale, il Terzo settore non è sempre apparso preparatissimo…
Il Terzo settore è un insieme magmatico, multiforme di realtà incredibili e diversissime fra loro, con caratteristiche specifiche che verranno impattate dalla riforma in diversi tempi e modi. Dal nostro osservatorio, pensiamo che ci sia spazio per questo cambiamento, e che una grande svolta culturale sia già in atto: c’è fermento, curiosità, voglia di partecipare, voglia di rappresentazione degli interessi, e – ci piace pensare- un ritrovato desiderio di collaborare. Servono strumenti, capacity building, regole e – ancora una volta – l’educazione alla comprensione di temi complessi, all’uso delle informazioni. Servono “le guide”, perchè è sulla conoscenza dei fenomeni che devono agganciarsi le policy, i cambiamenti, le decisioni. Questo “rovesciamento di prospettiva culturale” non attiene solo la capacità di tutto l’ecosistema di rispondere in maniera adeguata alle sfide (alcune delle quali introdotte dalla Riforma), ma riguarderà sempre di più la capacità di tutti gli enti (enti erogativi, organi di rappresentanza, organizzazioni, enti della cooperazione, categorie professionali) di confrontarsi al proprio interno e soprattutto con l’esterno. Questo è qualcosa di molto più profondo della dimensione del dono, coinvolge tutti i cittadini, nella vita di tutti i giorni poichè riguarda il modo in cui tutte le persone compartecipano alla costruzione della loro idea di futuro.

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