Da quando ha iniziato a praticare yoga, Gaia Costantini si sente più leggera. «Ho una disabilità motoria, ho difficoltà sia di equilibrio sia di movimento nelle gambe e nel tronco. Dopo aver fatto tante terapie, mi sono dedicata allo yoga, ho visto che i miei muscoli riprendevano vita. La mia forte rigidità pian piano diventava sempre più leggera, ho visto che ci potevo convivere con meno difficoltà».
Costantini, come si è avvicinata allo yoga?
Nel 2005 andai a una lezione e mi appassionai. Non solo allo yoga, ma anche a tutto il modo di vivere che ruota intorno a questa disciplina, che è diventato il mio stile di vita interiore. Lo yoga si basa sull’introduzione del respiro, con il quale si calma l’intemperanza dei muscoli.
Lo yoga del suono come la aiuta a convivere con la sua disabilità?
È stata la mia disabilità a “muovermi”, ad avvicinarmi a questi studi. Senza di essa probabilmente non sarei stata così entusiasta nella pratica dello yoga. La mia disabilità è stata il mio motore, la ricerca la utilizziamo quando c’è qualcosa che non va e che ci spinge ad approfondire. Mi piacerebbe lanciare il messaggio che bisogna sempre cercare la propria strada, anche se abbiamo qualcosa che non va, se si pensa che quella sia la strada giusta. Per me con lo yoga e il suono è stato così. Poi nella vita ci sono anche delle coincidenze: mio padre era batterista, probabilmente la musica ce l’ho nel sangue.
Mi piace molto insegnare lo yoga ai disabili. L’importante è avere la consapevolezza del proprio corpo. Sulla sedia si accorciano le distanze, nel caso della disabilità motoria non si ha lo stress di non riuscire a fare qualche movimento
Per lei lo yoga è diventato più di una passione?
Da più di venti anni lavoro in Fondazione Telethon, dove ho scoperto che ognuno ha una propria storia, una propria disabilità, la propria rarità. Non mi piace utilizzare il termine “malattie rare”. Lavorare in Telethon mi ha aiutato a rispettare la storia e le differenze di ognuno. Per quanto riguarda lo yoga del suono mi sto diplomando come insegnante di yoga presso il Centro studi Bhaktivedanta – Università popolare degli studi indovedici, devo fare la tesi. È un tipo di yoga basato sui mantra, che sono un po’ come le nostre preghiere. Sono passata attraverso vari stili di yoga, quello che mi ha attratto verso questo tipo di yoga è l’introduzione del mantra e del kirtan, che è una recitazione di mantra raccontata in forma musicale per stimolare le divinità e lasciare che l’effetto di essi, unito con la musica, abbia una risonanza interna per aumentare la vibrazione energetica. I mantra si fanno all’inizio o alla fine di una lezione di yoga. Quando ho iniziato a praticare lo yoga, facevamo il mantra all’inizio con l’accompagnamento di uno strumento, l’armonium: lì ho capito che c’era una connessione tra me e il mantra.
L’unione di musica e yoga in che modo le dona benessere?
Per me il benessere è dedicarmi del tempo, grazie anche alle meditazioni. Ed è anche la speranza che tutte le altre persone, che fanno yoga insieme a me, possano provare lo stesso benessere. Per me la musica è sempre stata una forma di evasione, nei brutti momenti della vita. Ad esempio, quando faccio fisioterapia e sento dolore. La musica è il mio “balsamo dello spirito”, lo yoga mi fa stare bene. Nella lingua letteraria dell’India antica, il sanscrito, la parola yoga viene da una radice che significa “tenere assieme”. L’uomo è perso da mille problemi, se non ha una direzione spirituale e una pace interiore si sente perso, senza fili. Queste scienze cercano di riannodare i fili. Lo yoga del suono mi ha dato un senso, mi ha fatto capire che esiste un altro mondo possibile per calmare la mente. I suoni che si utilizzano sono diversi: dal tamburo alla campana tibetana ai flauti.
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Qual è il suo obiettivo?
Mi piace molto insegnare lo yoga ai disabili, ho già tenuto dei corsi, prima di iniziare il mio percorso di studi per diplomarmi ho seguito un corso di yoga accessibile. Gli asana, le posture o le posizioni di yoga, a volte possono essere difficili per gli anziani, per chi ha subito traumi o per chi è disabile motorio. Lo studio dello yoga sulla sedia, che viene dall’America, punta ad adattare le maggiori posizioni yoga, appunto, sulla sedia, in modo che le persone possano stare tranquille, non stressate. L’importante è avere la consapevolezza del proprio corpo. Sulla sedia si accorciano le distanze, nel caso della disabilità motoria non si ha lo stress di non riuscire a fare qualche movimento. Nello yoga non esiste una postura perfetta, l’importante è che ognuno lo pratichi secondo quello che riesce a interpretare. La pratica dello yoga è personale, intima; c’è anche il fisico che tramite la respirazione si “modella” ma ogni persona “traduce” i messaggi che vengono dati dal maestro. Lo yoga di tradizione non è una ginnastica, è un approccio emotivo, interiore. Non bisogna mostrare una performance, è un modo di essere. L’importante è anche il corpo ovviamente, che è come una macchina: se non è oliato bene, non parte. La benzina deve essere sempre l’aria, il respiro.
Lo yoga del suono è adatto a tutti?
Assolutamente sì. Io mi ispiro al natha yoga, la teoria indiana dello yoga del suono. Ci vuole passione, ascolto e allenamento per ottenere i benefici da questa pratica, che è per me una vera palestra di vita. Non c’è bisogno di un grosso sforzo, basta avere la forza e lo stimolo di provare, non bisogna essere schiavi dell’indolenza. E consiglio di provare con gioia. L’essere umano non si conosce molto bene, lo yoga e soprattutto lo yoga del suono, aiuta a conoscersi.
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