Musica & Terza età

Il mio podio tra gli anziani, per riaccendere emozioni

di Sara De Carli

Francesco Corti all’Istituto Palazzolo della Fondazione Don Gnocchi

Francesco Corti è un direttore d’orchestra. Dal 2021 è volontario per la Fondazione Don Gnocchi e accompagna gli anziani in un percorso di ascolto guidato dell’opera. «Sono “un piazzista” di emozioni, a volte ho successo, altre no. Ma non importa. Non sono loro ad essere qui per me, sono io a essere qui per loro»

La signora Renata è seduta in prima fila. Ha una fascia gialla tra i capelli e tra le mani, in grembo, stringe una borsetta in tinta. È emozionatissima. Conosce tutte le arie e le canta con voce debole ma sicura. Aspetta con trepidazione Recondita armonia, la prima romanza della Tosca: «Adesso?», chiede ripetutamente. «Ci siamo», le sussurra finalmente il maestro Francesco Corti. «Ho già preparato il fazzoletto», risponde lei. Ma poi, invece di commuoversi, canta felice.

È un venerdì di luglio e all’Istituto Palazzolo di Milano, della Fondazione don Carlo Gnocchi, una trentina di anziani è radunata attorno al maestro Francesco Corti per ascoltare l’opera lirica. Il progetto è curato dal Servizio Smart- Servizio Musica e Artiterapie della Fondazione Don Gnocchi, guidato da Gianni Gandini: un vulcano di idee, che sempre in queste settimane ha coinvolto anche alcuni tirocinanti dell’Accademia di Brera in un percorso di arteterapia che vedrà gli anziani realizzare opere artistiche, quadri e installazioni per abbellire gli spazi comuni del Centro.

L’incontro di ascolto guidato all’opera, con gli ospiti della Don Gnocchi

Milanese, Corti ha debuttato come direttore d’orchestra nel 1986 con La Traviata al teatro Pergolesi di Jesi. Ha fatto carriera all’estero, dirigendo le principali orchestre europee, ha vissuto a lungo in Germania ed è rientrato in Italia nell’estate del 2017 per assistere il padre malato di Alzheimer. L’incontro con la Don Gnocchi nasce così.

Da due anni Corti è un volontario speciale della Fondazione: tiene degli incontri di “guida all’ascolto dell’opera”, mettendo le sue conoscenze al servizio di una platea non esperta ma molto curiosa e molto disponibile a lasciarsi toccare dalla musica. Racconta aneddoti sulla vita dei compositori, sottolinea le peculiarità di ciascun autore, spiega alcuni dettagli tecnici dei brani ma un secondo dopo fa una battuta. «Puccini, da grande amatore qual era, sapeva arrivare subito al punto quando voleva parlare dell’amore passionale… e si sente», dice. Il pubblico ride. Forse rivive dei ricordi. «Qui Caravadossi sta dipingendo il ritratto di una nobildonna romana, ma pensa alla sua amante, Tosca. Si sente il pittore che passa il pennello sulla tavolozza», spiega Corti. «È la vostra fantasia che lo deve creare, ma la musica dà un’indicazione chiara. Donizzetti per esempio è tutto un altro compositore, vi fa lavorare di più. Puccini vi mette tutto sul vassoio. Lo sentite il pennello? Sentite come tutto è smussato, non c’è una spigolatura da nessuna parte. Il canto e l’orchestra in Puccini sono un tutt’uno, è il matrimonio più riuscito della storia della musica».

Capita che qualcuno si alza e se ne va, oppure parla al telefono. Io sono come un piazzista, arrivo con la mia valigetta, qualche volta riesco a vendere la mia merce e qualche volta no.

Francesco Corti

Chi è Francesco Corti?

Vengo da famiglia di musicisti. Mia madre è stata un’insegnante di canto molto conosciuta, mentre mio padre lavorava in una ditta farmaceutica ma era un grande appassionato di musica. In casa sono sempre stato a contatto con la musica. Ho studiato al Conservatorio di Milano, mi sono diplomato in violino.

Come è arrivato allora alla direzione d’orchestra?

Ho avuto un problema ad una mano poco dopo il diploma, a quel punto di violinisti più bravi di me ce n’erano tanti. Mi sono accorto presto che quella del violino era la strada del violino la dovevo abbandonare. Ma non volevo speratemi dalla musica, d’altronde stavo comunque facendo anche studi di composizione… perché non provare? Ho debuttato nel 1986 e ho iniziato a lavorare, devo dire con l’innocenza della gioventù.

Un ospite della Don Gnocchi “dirige” durante l’ascolto dell’opera

Perché?

Perché questo lavoro cresce con te. Il gesto si impara in fretta, ma è tutto il resto che richiede tempo: la costruzione di quello che il gesto esprime. Sul podio porti le tue esperienze, la tua cultura, me ne rendo conto quanto riprendo in mano la partitura di un’opera dirette tempo fa. Che oggi eseguo in maniera spesso diversa. Se lei vede i video in bianco e nero dei grandi maestri, prendiamo Arturo Toscanini ma anche Leopold Stokowski, che ha collaborato con Walt Disney in Fantasia, quello che le balza all’occhio è il carisma del direttore d’orchestra, la sua leadership. Non è colpita dal gesto, ma dagli occhi, da quello che trasmette la persona. E questo è qualcosa che non si impara, ma che si matura. È come in tv, è evidente che c’è gente che ha carisma e altri no. Lo stesso anche nella direzione d’orchestra, l’orchestra reagisce più al carisma che al gesto del direttore. Il gesto fornisce una indicazione, ma si impara in fretta. Invece è il rapporto del direttore con l’orchestra ciò che fa funzione o non funzionare le cose.

Lei ha raccontato di aver rinunciato ad un certo punto della sua carriera ad una direzione stabile, per stare più tempo insieme ai suoi figli: una scelta non scontata.

Sono andato via dall’Italia nel 1993, ho vinto un concorso, era una grande occasione: all’epoca ero un giovane e allegro scapolo. Poi la vita va avanti. I miei figli sono nati nel 2006 e nel 2009. Nel 2007 ho iniziato a lavorare in Scozia, ero direttore alla Scottish Opera, mentre la mia famiglia viveva in Germania. Non ero mai a casa. Si fanno sempre tanti buoni propositi, ma la verità è che la famiglia aveva sempre il cerino più corto. A un certo punto ho deciso di continuare a lavorare come “direttore invitato”, per avere più tempo per la famiglia. A 50 anni passati, la gerarchia dei valori comincia a cambiare. Cominciavo anche a pensare che prima o poi, essendo figlio unico, ci sarebbe stato bisogno di me in Italia, dai miei genitori.

Nel 2007 ho iniziato a lavorare in Scozia, mentre la mia famiglia viveva in Germania. Non ero mai a casa. Si fanno sempre tanti buoni propositi, ma la verità è che la famiglia aveva sempre il cerino più corto. A un certo punto ho detto basta

Francesco Corti

Quando si è avvicinato al sociale?

È successo in Germania, nel 2010. Lavorando come libero professionista e avendo ormai maturato un repertorio tale per cui molte opere ormai le avevo studiate, avevo del tempo libero. Non avevo ancora in programma il rientro in Italia, mio padre si è aggravato solo più tardi, nel 2017, semplicemente sentivo il desiderio di rendermi utile. E sapendo che avrei dovuto affrontare la quotidianità della relazione con delle persone anziane, ho pensato che quello poteva essere l’ambito del mio volontariato. Ho iniziato in una casa di riposo della cittadina in cui vivevo, un paio di volte alla settimana: facevo compagnia agli anziani, li portavo a fare colazione, spingevo le sedie a rotelle. Gli ospiti non soffrivano di demenze, così si sono instaurate alcune relazioni, con qualcuno –devo dire – delle vere amicizie. Mi sono affezionato. È stata un’esperienza molto bella, ho incontrato una dimensione che fino a quel punto mi era sconosciuta.

Poi è rientrato in Italia…

Quando ho deciso di tornare in Italia non pensavo di continuare a fare volontariato qui. Sono tornato perché c’era una contingenza, dare supporto a mia madre nel gestire mio padre affetto da l’Alzheimer. Intanto diciamo subito che rientrare non è stato facile, dopo 24 anni fuori dall’Italia: non sapevo più come funzionasse il paese, c’è stato bisogno di imparare tante cose daccapo. La gestione della malattia di papà, la scuola e le attività per i due figli… Ma non sono solo gli aspetti amministrativi o burocratici: mi accorgevo che ormai io ragionavo in un modo diverso. Basta varcare le Alpi e la gente affronta le cose in un’altra maniera…

Come ha incontrato la Fondazione Don Gnocchi?

A un certo momento ci hanno chiamati dicendo che c’era un posto per papà alla Fondazione Don Gnocchi, al Girola. Purtroppo papà c’è stato solo tre settimane, poi è mancato. Ho iniziato a cantare nel coro del Girola e una cosa dopo l’altra ho incrociato Gianni (Gandini, il referente del servizio SMART, ndr): ci siamo immediatamente trovati in sintonia. Lui mi ha “sequestrato”. Nel 2021 abbiamo iniziato questo progetto di “guida all’ascolto dell’opera”: gli incontri non hanno una cadenza fissa, dipende molto dai miei impegni, ma ci sono gli operatori della Don Gnocchi e alcuni studenti del Conservatorio di Milano che danno continuità al percorso.

Nel 2021 abbiamo iniziato il progetto di “guida all’ascolto dell’opera”: gli incontri non hanno una cadenza fissa, ma ci sono gli operatori e alcuni studenti del Conservatorio che danno continuità al percorso

Francesco Corti

Perché proprio l’opera?

Perché è un percorso facile, immediato. Nessuno fra gli anziani che partecipano ha una formazione pregressa, ma ho notato fin dalla prima volta che alcune arie le conoscono tutti. Il tentativo poi è quello di andare oltre le arie più celebri, spiegare un po’ il musicista, la trama, qualche aneddoto. È una magia, ci sono giorni in cui li vedi proprio “accendersi”. La musica risveglia emozioni o ricordi sopiti. Quando abbiamo ascoltato la Cavalleria rusticana per esempio sono volate parolacce contro Lola, “la traditrice”. Al Centro Diurno ieri, con tanti ospiti malati di Alzheimer, ho fatto sentire delle arie della Carmen e due ospiti hanno iniziato a singhiozzare, altri a tamburellare a tempo con le dita. Qui oggi la signora in prima fila cantava. Sono reazioni piccole, ma che in questo contesto vogliono dire davvero molto, sono fiammelle di emozioni e di ricordi che si accendono.

E lei, che emozioni prova?

Adesso questa chiacchierata con lei è come una camera di decompressione. Ma a volte, soprattutto dopo gli incontri al Centro diurno, dove lavoriamo con persone magari non così anziane ma con l’Alzheimer, vedere uomini e donne che fino a un istante prima avevano lo sguardo perso nel vuoto e che invece appena sentono la musica cercano di canticchiare… Non nascondo che è un’emozione forte. Non è possibile premere il tasto “delete” e cancellare. Te le porti dietro per un po’, uscendo.

Al Centro Diurno, con tanti ospiti malati di Alzheimer, ho fatto sentire delle arie della Carmen e due ospiti hanno iniziato a singhiozzare. Altri tamburellavano a tempo con le dita. Oggi la signora in prima fila cantava. Sono reazioni piccole, ma vogliono dire molto

Francesco Corti

La “magia” scatta sempre?

Ovviamente no, ma questo fa parte del gioco. Io sono come un piazzista, arrivo con la mia valigetta, qualche volta riesco a vendere la mia merce e qualche volta no. Ovviamente non è qualcosa contro di me, è la condizione in cui queste persone vivono. A volte qualcuno si alza e se ne va, a volte suona il telefono nel bel mezzo dell’ascolto di un brano e iniziano tranquillamente a parlare con i parenti. Ma va bene così. Non sono loro ad essere qui per me, sono io ad essere qui per loro. Io qui sono soltanto Francesco.

Un combustibile c’è in tutti, sempre. Lo vedevo anche con papà, a volte mettevo dei brani che gli piacevano e riuscivamo a ritrovare un’intimità non turbata dall’Alzheimer. In quel momento lui era il papà di sempre.

Francesco Corti

Quando invece la musica fa breccia?

È imprevedibile, è diverso per ciascuno. Per alcuni la musica apre il canale giusto, per altri questa cosa accade con il disegno, con il racconto, vedendo ballare una bella ragazza… tutte proposte che qui alla Don Gnocchi fanno. La finalità è la stessa, accendere ciò che ancora c’è di “combustibile”, perché un combustibile c’è in tutti, sempre. Lo vedevo anche con papà, a volte mettevo dei brani che sapevo gli piacevano e riuscivamo a ritrovare un’intimità non turbata dalla malattia. Eravamo semplicemente figlio e padre. In quel momento lui era il papà di sempre. Quando succede, per me è motivo non tanto di orgoglio ma di gioia: sono felice del fatto di riuscire a dare a questi anziani qualcosa che neanche si aspettavano. Bisogna un po’ imparare a reagire al momento, non c’è routine in questa oretta che trascorriamo insieme. Quando abbiamo ascoltato l’Elisir d’amore, che alla fine è vino rosso, vedevo una signora che ogni volta che si parlava di bordeaux rideva… Chissà quali ricordi le si sono accesi. Le sono andato un po’ dietro, evidenziando dei particolari del libretto, alla fine sghignazzava. Ci siamo divertiti tanto in quell’ora insieme. Tutto questo pian piano passa: all’inizio ero molto “abbottonato”, adesso le signore mi aspettano, mi danno la mano, preparano i cartelloni.

Continuerà a fare volontariato? Perché? Cos’è per lei ora il volontariato?

Certamente sì. Non ho nessun motivo per interrompere la mia attività di volontario. Smettere sarebbe come tradire una relazione silenziosa, pur non propriamente definibile, ma che esiste. Sarei io il primo a soffrirne. Condividere con questo speciale e affettuoso “pubblico” musica che mi accompagna e emoziona da sempre e vedere la scintilla che inaspettata ne scatta mi aiuta a essere più maturo anche nel mio cammino personale, oltre al piacere di fare una cosa giusta e necessaria.


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