C’è un antico detto, a Cagliari, che – tradotto dal sardo campidanese – dice così: “Non è tanto importante svegliarsi presto, quanto azzeccare l’ora giusta”. Leonardo Pavoletti, attaccante del Cagliari di Claudio Ranieri, ormai prossimo alle 35 primavere (compirà gli anni il 26 novembre), dice di aver conosciuto questo proverbio soltanto quest’anno. E gli è piaciuto. Sarà che, appena pochi mesi fa, si è fatto trovare pronto all’appuntamento del gol al 94’ in uno spareggio con il Bari che ha regalato alla sua squadra la promozione in serie A, a discapito dei pugliesi. E, ancor più recentemente, è subentrato dalla panchina e ha firmato i due gol con i quali ha raggiunto e superato il Frosinone in pieno recupero, ribaltando il risultato parziale di 0-3 in un clamoroso 4-3. Si è fatto trovare pronto al momento giusto, e questo gli è valsa l’eterna gratitudine della tifoseria isolana. Ma l’uomo Pavoletti non è da meno. Ora il calciatore livornese è impegnato nel sociale. In queste settimane sta dando una mano d’aiuto alla Fondazione “Domus de Luna”, in particolare per la campagna “Piccolo abbraccio” a favore dei bimbi più piccoli.
Pavoletti, quando ha capito che era il momento giusto per dare una mano ai meno fortunati?
Bisogna tornare indietro di un po’. Ricordo uno dei primi anni in cui ero a Pavia, in serie C2. Avevo 20 o 21 anni, ogni tanto si andava a far visita ai bambini del reparto oncologico di quella città. Poi, per fortuna, le società di calcio hanno iniziato ad essere sempre più attente a queste dinamiche. L’anno in cui sono arrivato a Genova (2015) ho avuto modo di conoscere la Fondazione “Dottor Sorriso”, che proponeva la clownterapia nei reparti pediatrici. Così, anche io andai alcune volte negli ospedali con il nasino rosso da clown. Ricordo che si fece una bella cena per sostenere una raccolta fondi della Fondazione. Quindi altre due o tre esperienze a Milano. Arrivato a Cagliari, nel 2017, ho stretto amicizia con Luca Palmas, che un anno fa ha proposto il progetto “Più che atleti” alla società benefit “Fundraiser per passione” di Luciano Zanin. Mi ha illustrato le finalità di questa iniziativa che coinvolge atleti professionisti di tutte le discipline, per percorsi di filantropia sportiva. Ne sono rimasto piacevolmente colpito. Ho voluto saperne di più. La cosa difficile, per noi calciatori, è conoscere delle persone che abbiano i contatti giusti e riescano a organizzare eventi fatti bene, e soprattutto capire la strada da percorrere. A me piace aiutare i bambini. Ora con Luca abbiamo in mente un progetto sull’ambiente. Ecco, loro riescono a cucirti l’abito su misura su quello che desideri veramente fare.
Ci parli di questa esperienza al fianco di Domus de Luna, a Cagliari.
Ci siamo messi in contatto con il fondatore Ugo Bressanello, con cui ci siamo trovati subito in sintonia. Abbiamo programmato una serie di appuntamenti e siamo in procinto di fare anche altre cose simpatiche e importanti. Con la consapevolezza che non posso cambiare il mondo. Però ci sono tanti disagi che affliggono la nostra società e quindi siamo tutti chiamati a dare una mano, perché i problemi non si risolvono da soli. Il prossimo passo, dunque, è quello di coinvolgere altre persone.
È una questione di sensibilità personale oppure c’è qualche episodio, per esempio della tua infanzia, che l’ha portata a impegnarsi nel sociale al di là della retorica?
Oggi il calciatore, rispetto ai decenni passati, secondo me è cambiato. Siamo persone molto più acculturate e sensibili, siamo attenti ai problemi sia economici che sociali. Purtroppo ci sono stati giocatori che, con atteggiamenti sbagliati, si sono rovinati. Hanno bruciato il passato e anche il futuro: per loro il post carriera è stato traumatico. I loro errori, però, hanno insegnato a noi più giovani a comportarci in maniera più avveduta. Nella mia squadra attuale, Nicolas Viola si è appena laureato. Ma in futuro ci saranno sempre più calciatori laureati, perché iniziamo ad avere una visione più completa e concreta della realtà. Anche le società non cercano più il calciatore “ignorantello” purché bravo, come accadeva un tempo: lo vogliono dotato di un minimo di bagaglio culturale, perché è vero che in campo la tecnica è importante ma poi devi avere la testa sulle spalle, devi saperti comportare in tutti i frangenti, devi possedere una elasticità mentale e l’esperienza che ti permettano di non commettere certe fesserie che gettano discredito alla società che ti paga. Poi, naturalmente, c’è la sensibilità individuale, ma ognuno di noi ha la sua tempistica: uno può essere da subito molto sensibile a queste tematiche, mentre altri ci arrivano dopo.
Nel suo caso come è andata?
Sono sempre stato abbastanza sensibile, ma la voglia di impegnarmi seriamente nel sociale mi è venuta soprattutto quando sono diventato padre. Con la paternità ho capito quante esigenze hanno i bambini e di quante attenzioni necessitano. Quindi capisco quelle famiglie che magari hanno un solo stipendio e fanno fatica ad arrivare a fine mese. Penso, per esempio, a un genitore che torna a casa amareggiato perché non riesce ad accontentare i figli e ha bisogno di una mano d’aiuto. Nel tempo libero a mia disposizione posso dare un piccolo contributo, non tanto in termini di soldi o di pubblicità ma proprio mettendoci la faccia: perché si può parlare per ore di tante cose belle ma se poi non sei il primo a sporcarti le mani, a essere pronto sul campo, il messaggio non risulta così sincero e concreto.
Lei a Cagliari non ha certo bisogno di pubblicità: dopo quanto ha fatto può vivere di rendita, non ha problemi di immagine. Gli amici di Domus de Luna ci hanno confidato: Pavoletti lo sta facendo col cuore, lo si vede dall’entusiasmo che ci mette.
Sono sempre stato così: se mi piace fare una cosa, ci metto tutto me stesso. Nel bene e nel male. Però bisogna essere sinceri: alla lunga esce fuori quello che sei per davvero, e anche i piccoli atteggiamenti fanno capire la tua vera natura. Quando Luca mi ha parlato di questo progetto, mi è piaciuto ma non nascondo che un pochino mi ha fatto paura, perché mi stavo mettendo in gioco in un campo di cui sapevo poco. Non sapevo se fossi all’altezza, ma non lo sai sinché non ci provi. Però, una volta che fai una cosa e la senti vera, nel bene e nel male nessuno ti potrà dire nulla. Magari potrò sbagliare, ma l’importante è avere la coscienza a posto. E averci provato, senza artefatti e filtri. Ora che conosco un po’ meglio i bambini (i suoi figli hanno 5 e 2 anni, ndr), riesco ad arrivare al cuore anche con piccoli gesti. Di recente siamo andati in una Casa famiglia di Domus de Luna che accoglie mamme con bambini vittime di abusi. È stata un’esperienza che mi ha toccato moltissimo. Siamo stati lì due ore, a giocare. Una giornata normalissima, con bambini che oggi vivono serenamente in famiglia, senza mostrare apparentemente le ferite emotive provocate da un padre violento o da altre terribili esperienze. Li ho visti felici. Ma hanno vissuto dei momenti durissimi che io non ho mai conosciuto. Questo mi ha spronato a dare loro una mano.
Significa che presto tornerà a trovarli?
Farò di più: abbiamo un bel progetto per loro. Stiamo organizzando una serata alla “Locanda dei Buoni e Cattivi”, un’altra realtà di Domus de Luna, per permettere a queste mamme e ai loro bambini di fare una cosa che per loro non è la normalità: trascorrere una serata fuori a cena. E poi una sorpresa che faccia dimenticare loro, anche solo per qualche ora, il contesto familiare in cui hanno vissuto in passato.
In quale contesto è invece cresciuto Pavoletti?
La mia è una famiglia tranquilla, normale, di persone che hanno sempre vissuto del lavoro. Mio padre era maestro di tennis, lavorava solo la mattina o il pomeriggio, dunque aveva del tempo per seguirmi. Mi stava dietro, lasciandomi però la libertà di poter sbagliare qualcosa. Mia mamma, una volta laureata in Scienze della formazione, ha iniziato a insegnare alla materna. Poi ha superato il concorso per diventare dirigente scolastico. Ora, a Livorno, dirige alcune scuole elementari e medie. Tutte le sere si mangiava insieme e la domenica si trascorreva tutta la giornata insieme. Io faccio lo stesso con i miei figli. La presenza costante dei genitori è fondamentale, dà le basi per non sbagliare troppo in certi frangenti. Ti dà quella sicurezza e quegli strumenti che ti torneranno utili quando starai per farla grossa e tuo padre e tua madre non sono lì con te. Allora capirai e ti accorgerai che devi fare un passo indietro. Capita a tutti di essere influenzati da fatti o amicizie negative, però devi essere bravo a non seguire il branco, come stava accadendo a me.
È vero che lei è un tipo molto preciso e puntuale?
Sì, credo di aver preso questa qualità da mia madre. Ha una mentalità tedesca, viene da una famiglia militare e quindi è super applicata in tutto. È una persona che, se non porta a termine un lavoro, non esce di casa. Anche per tre o quattro giorni di fila. Ricordo che, quand’ero un ragazzo, studiavo il minimo indispensabile e lei era talmente preoccupata che quasi non mi voleva far andare a scuola perché, diceva, avrei fatto fare una figuraccia alla famiglia. Negli anni, mi ha insegnato e trasmesso certi princìpi. Ecco perché non mollo mai di un centimetro, cerco sempre di trovare strategie nuove e di non accontentarmi di fare il minimo indispensabile. Mio padre è stato un buon giocatore di tennis però si perdeva nelle compagnie. Non è mai stato puntuale. Nel calcio, anche mezz’ora fa la differenza: se arrivi in ritardo prendi una multa e un rimprovero. Per questo motivo, quando ero giovane, ho preso metaforicamente un po’ di schiaffi. A un certo punto ho detto basta.
Le è mai capitato di dover chiedere scusa per qualcosa di importante?
Una volta mi sono rotto un legamento crociato, stupidamente, giocando dopo cena con un compagno di squadra. Ho fatto una delle più grandi sciocchezze della mia vita. Quindi, oltre a rimetterci un po’ di soldi, ci stavo perdendo la faccia: perché, in un mondo come questo, ogni giorno è denaro per la società e per tutte le persone che ci lavorano. Oltre al danno che mi sono procurato da solo, ho creato problemi alla società e alla squadra. Non ho bluffato, ho detto la verità e chiesto scusa, assumendomi le mie responsabilità. Oggi sono molto cambiato.
Alla soglia dei 35 anni, Pavoletti pensa al dopo calcio?
È inevitabile. Il mio obiettivo principale è di trovare qualcosa che mi permetta, la sera, di stare a casa con la mia famiglia. Una presenza attiva, non tanto per esserci. I figli devono sapere che, se sbagliano o comunque hanno necessità, ci sono i genitori. Un punto di riferimento vero, insomma. Soprattutto ora che sono piccoli.
Credits: foto gentilmente concesse da Domus de Luna e Luca Palmas
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