Claudio Imprudente

Il mio corpo in gioco contro la cultura dell’imbarazzo

di Veronica Rossi

Con i suoi articoli ha contribuito a cambiare lo storytelling sulla disabilità del nostro Paese. Ora un libro ripercorre le tappe di una storia decennale: «Molto è cambiato, ma la battaglia deve continuare, perché oggi c'è il rischio di tornare indietro»

«Non credo in Dio, è Dio che crede in me». Claudio Imprudente è una delle più importanti voci sulla disabilità del nostro Paese. Nato nel 1960 con una paralisi cerebrale, si esprime attraverso lo sguardo, una tavoletta di plexiglass e un interprete. Non cammina, ma nella vita di strada ne ha fatta tanta: è giornalista, attivista, scrittore, fondatore a Bologna del Centro documentazione handicap e della comunità Maranathà, dove vive tuttora. Attraverso il progetto Calamaio e gli incontri a cui partecipa, ha contribuito a diffondere la conoscenza sulla disabilità, andando oltre gli stereotipi e i pregiudizi, mostrando come sono i contesti e le persone che ti circondano a fare la differenza. Il suo ultimo libro, Scritti imprudenti (Edizioni La Meridiana) raccoglie alcuni articoli pubblicati negli anni su Superabile, la testata dell’Inail e sul Messaggero di Sant’Antonio.

Ci spiega il perché di questo scritto?

Il libro è una raccolta di articoli che spaziano su vari argomenti. Visto che ho una certa età, bisogna lasciare una traccia del proprio passaggio per il futuro e questo libro nasce proprio per questo. Ho visto tanti cambiamenti nel mondo della disabilità.

Per esempio?

Ho fatto le scuole speciali prima della legge del 1977 (quella che ha abolito le classi differenziali, ndr): “ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare”. Quella legge è stata una vera rivoluzione. Penso che neanche chi l’ha scritta credesse in questo cambiamento culturale. Comunque ha reso la disabilità più visibile: se una realtà non è visibile non ha voce in capitolo. Adesso è diverso. Ovviamente la battaglia deve continuare, perché il rischio è di tornare indietro.

Ho una certa età, bisogna lasciare una traccia del proprio passaggio. Nella disabilità tante cose sono cambiate…

Claudio Imprudente

C’è quindi un rischio adesso?

Sì, con i tempi che corrono.

La scuola quindi ha un ruolo fondamentale per l’inclusione?

Eh certo. La scuola è la seconda agenzia educativa, anzi, io credo che sia la prima.

Nei suoi articoli parla di un bel video realizzato dall’associazione Noémi che fa riflettere sulle diverse reazioni di adulti e bambini davanti alla disabilità. Gli adulti si ritrovano spiazzati, a differenza dei bambini.

Il video rappresenta bene la cultura dell’imbarazzo, che la gente prova sempre di fronte a una persona con disabilità. Io gioco con l’imbarazzo degli adulti. Coi bambini è tutto più facile.

Qual è la visione predominante della disabilità oggi?

Oggi è di moda. Quando sono andato nella trasmissione di Riccardo Bonacina, su Rai due (Il coraggio di vivere, ndr), forse ero uno scandalo. Adesso invece nelle trasmissioni la disabilità spesso è prevista in scaletta. Il che è un piccolo rischio. L’importante è non farsi usare. Le paralimpiadi hanno contribuito a sdoganare tanti pregiudizi, a lavorare sui limiti, sulla paura.

Si rischia di essere schiacciati su narrazioni stereotipate?

La persona con disabilità rischia di essere una persona di serie b o diventa un supereroe: quasi mai è una persona e basta.

Oggi la disabilità è prevista in scaletta in tante trasmissioni tv. Ma la persona con disabilità rischia di essere una persona di serie b o un supereroe: quasi mai è una persona e basta

Claudio Imprudente

La disabilità è una costruzione sociale?

Certo. È il contesto che detta le regole. Se un contesto è poco accogliente, aumenta la percezione della disabilità. Se invece è accogliente e inclusivo questo si ripercuote anche nel rapporto di quella persona con la disabilità. Io rimango sempre in carrozzina, è il contesto che si crea attorno a me che modifica anche la percezione.

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